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“Dov’è il ristorante e quanti siamo a cena?”

Giovedì 23 Marzo 2017 — 04:54

Svelate le intercettazioni che sono risultate determinanti per il successo dell'operazione "Akuarius" che ha portato i carabinieri all'arresto di dieci persone legate ad un traffico internazionale di cocaina

L’indagine Akuarius, condotta dal Nucleo Investigativo del comando provinciale di Livorno con il Nucleo di Polizia Tributaria della Finanza di Pisa, culminata con dieci arresti (clicca qui) era iniziata nel settembre del 2015 quando i Carabinieri avevano posto l’attenzione su un cittadino dominicano e un italiano che si spacciavano per rappresentanti della cocaina di qualità sulla piazza di Livorno, Giuseppe Raucci e Rincon Amin. I due (come si legge in questo comunicato, il secondo inviato dai carabinieri in merito a questa operazione, contenente le intercettazioni) si muovevano per lo più tra Livorno e l’intera regione Toscana e navigavano in acque pericolose perché avevano dei contatti con la criminalità locale livornese tra cui i vari Riccardo Del Vivo, Yuri Cambi e l’ex finanziare Carmine Balzano, ma anche con la criminalità organizzata, in particolare la ’ndrangheta.
Ormai dai frenetici movimenti degli indagati e dalle frasi in codice intercettate, gli inquirenti, verso settembre, sono convinti che un grosso carico della criminalità organizzata stia per arrivare a Livorno e sarà gestito dal gruppo di Del Vivo. Le frasi in codice per l’arrivo della nave: “Simona sta entrando a lavoro”, per l’intera operazione: “Stasera si va a ballare”, per la fase del recupero della droga: “Dov’è il ristorante (il container) e quanti siamo a cena (quanti uomini per il recupero) ”; o frasi meno criptiche: ” oggi ci dicono, dove è (il container) e ce lo mettono dove vogliamo”, per dimostrare ancora di più il loro peso criminale nel porto di Livorno. Ad un certo punto, gli inquirenti capiscono che il momento topico è arrivato e si registrano in serie: il reperimento della macchina pulita da parte di un solidale all’organizzazione, i contatti con le guardie giurate poste all’ingresso del porto, la consegna delle divise da portuali in via della Bassata, catturate dalle telecamere degli investigatori, il frenetico via vai nella casa di Del Vivo, le discussioni sulla spartizione dei guadagni tra i partecipanti all’organizzazione.
Il giorno 12 settembre arriva il momento del carico ma ad un certo punto tutto sembra bloccarsi: Lentini prega Del Vivo di non andare perché sente che c’è un pericolo in agguato: “A ballare non ci andare senza il mio permesso non ci andare”, ma Del Vivo sicuro del fatto suo gli risponde: “Se non si balla stasera non si balla più, se non risichi non rosichi, dove te la porto la bimba?”. Ora tutto è pronto ed il commando che deve effettuare il recupero parte di notte da casa di Del Vivo. Il piano prevede di recuperare la droga e di posteggiare il carico sotto casa di Del Vivo con la guardia di due uomini armati sino alla mattina seguente quando il carico sarà consegnato ai calabresi. Lungo il tragitto che porta il commando in porto i tre sono euforici e già parlano della loro parte di guadagno: “Ce li deve dare subito quello che ci spetta”.
La macchina entra in porto con la complicità delle due guardie che nel frattempo si erano sbarazzate di eventuali colleghi non avvezzi a queste operazione: “Se si dovesse entrare in scena lo mando via…hai capito”. La macchina con il carico esce da dove era entrata e non si accorge che 4 macchine in borghese la seguono a distanza. A quel punto le forze dell’ordine decidono di intervenire per essere sicuri che non ci sia pericolo per gli automobilisti e per loro. Il comandante decide di bloccare l’auto sotto casa di Del Vivo, cioè nel momento in cui i tre si sentono ormai al sicuro, e proprio nel momento del blitz il capo è affacciato al balcone ed osserva la scena. Addirittura tenta la fuga convinto che subito dopo tocchi a lui, ma quella non è l’intenzione degli inquirenti che lo andranno a prendere il 20 marzo con il resto dell’organizzazione e con il mandante calabrese Lentini.

Sarà proprio dal connubio tra criminalità labronica e calabrese che nascerà l’episodio che porterà all’omicidio di Giuseppe Raucci (clicca qui). Lo sgarbo dei tre chili di zucchero presi a Roma non sarà digerito dal gruppo “Calabronico” e porterà all’omicidio di Tirrenia e al rinvenimento del cadavere a Ginestra fiorentina. Per quell’omicidio sono tutt’ora in carcere Yuri Cambi, Carmine Balzano, Giovanni Zaccuri (condannato per il 416 bis) e Tropea Emilio, omicidio aggravato dall’articolo  7 del metodo mafioso. Carabinieri e Finanzieri riuscirono a monitorare e ricostruire tutto, compreso un passaggio di 7 chili di hashish, sino alle 20 ordinanze del giugno del 2016. Da quella data l’indagine ebbe una svolta determinante, perché già nella prima fase gli inquirenti si erano convinti che da anni, quasi tutta la cocaina che arrivava nel porto di Livorno aveva una sua logistica esclusiva gestita da un organizzazione (denominata i Pesci) con a capo Del Vivo. Anche tutte le fonti confidenziali e le precedenti indagini fatte da altre forze di polizia, benché non fossero riuscite a colpire detta organizzazione, portavano Carabinieri e Finanziari in quella direzione e su quel soggetto che nella mala locale aveva un peso specifico notevole.
A quel punto gli inquirenti decidono di saturare, temine usato per monitorare ogni spostamento e ogni parola “detta”, Del Vivo ristretto ai domiciliari in via Passaponti quartiere Corea, e di controllare il circolo da lui gestito in via della Bassata. Ben presto i video e l’ascolto delle conversazioni degli indagati trovano ampio riscontro: casa Di Del Vivo è un continuo via vai di personaggi partecipi all’organizzazione con precedenti specifici, personaggi che partono dal circolo di via della Bassata. Del Vivo nonostante fosse ai domiciliari usufruiva di un permesso di due ore nel pomeriggio e proprio durante quei permessi, seguito dai Carabinieri e Finanzieri, si recherà a incontrare il Lentini prima sul lungo mare di Tirrenia e poi tra le lapidi del cimitero dei Lupi.

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