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“Li Romani in Russia”, tutto esaurito in piazza per lo show di Cristicchi

Sabato 9 Settembre 2017 — 08:32

di Claudio Fedele

Dinnanzi ad una piazza Cavallotti affollata e trafficata va in scena il primo spettacolo della nuova rassegna promossa dalla Fondazione Goldoni “Scenari di Quartiere”, una serie di appuntamenti che si svolgeranno lungo tutto l’arco del mese di settembre, al crepuscolo, il cui obiettivo è quello di portare “il teatro laddove non ci si aspetterebbe mai di vederlo” facendo tesoro delle parole di presentazione di Marco Leone, salito sul palco per presentare la prima tappa di questa seconda edizione che per il 2017 vanta ben nove date in contrapposizione alle tre dell’anno precedente. Un incremento da non sottovalutare che  dimostra la buona riuscita di iniziative di questo stampo di ambito artistico-culturale

Con “Li Romani in Russia”, per la regia di Alessandro Benvenuti, Simone Cristicchi inaugura l’iniziativa labronica, tornando sul suolo livornese e parlando ancora una volta con spirito critico di un passato, quello del nostro paese, ancora troppo recente per poter essere dimenticato o passato in rassegna con leggerezza, scomodo eppur al contempo necessario, cercando di sfruttare al meglio il monologo in versi di Elia Marcelli e raccontando in questo modo l’orrore che travolse le truppe italiane nella campagna bellica di Russia, che tante vittime fece tra le fila dell’esercito italiano.

Menzogne, promesse, aspettative e sogni di gloria, tutti elementi di una propaganda fascista architettata a puntino che oggi agli occhi di chi la guarda assume contorni ridicoli e dal retrogusto grotteschi, quasi parodici, peccato che i protagonisti di questa grande “buffonata” che veniva sventolata ai quattro venti fossero proprio gli italiani, le persone comuni, quegli uomini e quelle donne non tanto diversi da coloro che vivono la propria esistenza nelle strade che percorriamo a piedi tutti i giorni.

La guerra, così come tutto ciò che si porta dietro, sia sul piano morale che su quello sociale, antropologico, fisico e psicologico non sembra avere età e colpisce le generazioni di ieri così come quelle di oggi. Senza volerne fare un ritratto stereotipato, approfittando della forza drammatica ed espressiva della metrica dell’ottava classica, la metrica dei “grandi poemi”, Cristicchi pone la lente di ingrandimento su un gruppo di romani raccontandone la tragica fine, sensibilizzando ogni strofa il giusto e non scendendo nel banale, coinvolgendo il pubblico e passando in rassegna tutta una serie di scene cariche di pathos che rimangono ben impresse nella mente di chi lo ascolta: la partenza dei soldati dalla stazione di Cecchignola, il paesaggio urbano alla stazione dei treni carico di quel vociare e quel trambusto tipico delle grandi città che in seno cova un malcontento inesprimibile, il lungo cammino attraverso l’Europa dell’Est sconquassata dal conflitto.

Dopo quasi un’ora di versi conclamati e recitati, analizzati dietro ogni loro singola sfumatura, l’attore-cantante conferma ancora una volta di essere un carismatico interprete ed un ottimo intrattenitore, capace di ricercare una sua personale visione della storia, mostrando una coerenza ferrea negli spettacoli che propone e dimostrando di tenere a cuore il destino degli oppressi, gli outsider, coloro che, vittima o in balia dei poteri forti, non sono padroni del proprio destino, non i vincitori del proprio tempo, ma i vinti.
Scenari di Quartiere fa letteralmente rimbombare in piazza Cavallotti tutta la frustrazione, la miseria, la rabbia e l’orrore di un inverno come quello vissuto negli anni della II Guerra Mondiale nella campagna di Russia dalle truppe della Divisione Torino, impegnandosi in un intrattenimento dal sapore di un Teatro di impegno civile e storico, esaminando l’umanità e la straziante metamorfosi che ha portato l’essere umano ad un passo dal baratro della follia, ad una incoscienza di massa di tale portata da ridurlo ad essere una bestia sotto ogni suo punto di vista.

La postura dondolante, quasi immobile, accompagnata dai continui cambi di toni vocali ed i registri linguistici puramente romaneschi, richiami delle borgate di Pasolini, rendono caratteristica una storia che lascia l’amaro in bocca e ci porta a riflettere sui tempi che viviamo in questo presente che sembra dare fin troppe cose per scontate, prima di tutte: la nostra “totale” libertà dietro in ogni sua angolazione.

Un inganno ed un’odissea che ha portato alla disfatta una generazione, coronata da un sogno di trionfo che, come un vetro appannato, celava dietro ad esso una condizione di inadeguatezza e beffa spinta da una politica espansionistica di cui a pagarne lo scotto furono i più “umili”, gli abitanti di quegli scenari di quartiere ben evocati da un Cristicchi sempre nella parte, continuamente in grado di dar vita a suggestioni visive e uditive che per quarantacinque minuti ininterrotti ci hanno fatto prender memoria, ancora, di un pezzo della nostra storia recente, quella che non dovrebbe venire mai messa in un cassetto e lasciata riposare, ma studiata ed analizzata e guarda con lucidità. Anche solo per rispetto e memoria di chi, quella vita e quel futuro, andando a morire, non l’ha mai vissuto ed in nome di cosa? Di una vile bugia.

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