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Nabucco: il “Va, Pensiero” torna trionfante a Livorno. E oggi il bis al Goldoni

Giovedì 23 Novembre 2017 — 07:25

La rappresentazione si ripeterà domenica 26 alle 16.30. L'opera di Verdi torna sul palco in città dopo 129 anni. Una menzione speciale va fatta per Dimitra Theodossiou nelle vesti di Abigaille

di Claudio Fedele

Testo manifesto di un autore e di un preciso periodo della storia d’Italia, Nabucco di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera torna finalmente a Livorno, al  Goldoni, dopo più di cento anni: correva infatti il 1888 l’ultima volta che fu rappresentato nel regio teatro.

E’ stata un po’ una scommessa, un po’ un azzardo portare sul palco uno dei drammi lirici che più hanno influenzato il panorama e l’immaginario collettivo italiano, ma che, a guardar bene, musicalmente sono di ispirazione a tanti maestri d’orchestra che ancor oggigiorno danno alla luce colonne sonore per pellicole cinematografiche ed affini debitrici di questa monumentale pièce. Laddove infatti si identifica un preciso pubblico per l’ambito lirico nel teatro, è altresì vero che tutti nella vita, vuoi per un motivo o per un altro, hanno sentito parlare di Nabucco (anche e probabilmente) non conoscendone affondo la storia; in egual misura si può affermare che la sua notorietà sia rappresentata dal fatto che musiche e  parole, si vedano le sempre acclamate “ali dorate”, non passino sottobanco anche a quel pubblico non avvezzo alla musica dei teatri o delle grandi occasioni.

Nabucco è indubbiamente un’impresa titanica ed una grande responsabilità che grava sulle spalle di chiunque si prefissi l’obiettivo di dare alla luce una sua rappresentazione. Le aspettative sono sempre alte e la complessità tecnica che fa da sfondo alla storia necessita di un cast di tutto rispetto.
Nabucco, però, dal 1842, anno in cui fu rappresentato a Milano per la prima volta, conserva ancor oggi una freschezza, un brio, una potenza visiva e musicale ineguagliata e difficilmente raggiungibile. Contemporaneamente si pone come materia versatile e che si presta a molteplici chiavi di lettura a seconda del bagaglio culturale del singolo individuo.

Non si tratta di puro retorico sentimento patriottico o di una serie di discorsi nazional popolari, questo è il dramma dove la maggior parte del pubblico del “bel paese” si sente a casa, a proprio agio e ancor oggi si identifica in quanto popolo,  a volte senza un valido motivo, quasi fosse un’associazione insita nella nostra mente con cui siamo cresciuti e con cui conviviamo. Proprio per questo motivo l’opera di Verdi è tanto vicina a noi, contemporanea, pericolosa nelle sue molteplici interpretazioni e ricca di aneddoti che hanno arricchito la sua fama.

Riguardo alla prima tenutasi il 24 novembre al Goldoni non è lecito chiedersi quanto ancor oggi Nabucco sappia dirci o affascinarci in senso assoluto, ma capire cosa in particolare affascini e dica la versione di Marco Severi e Matteo Anselmi.

Grazie all’ausilio di un set contraddistinto da idoli e strutture architettoniche in secondo piano imponenti, ma privo di eccessi o barocchismi estetici, a cui è ben aggiungere la cura dei costumi sul corpo degli interpreti, privi di sfarzo e ad una direzione delle luci contenuta, dove i giochi e le tonalità tra caldo e freddo hanno una rilevanza decisiva e ben dosata, questa riproposizione di Nabucco si dimostra convincente e appagante senza apparire rivoluzionaria o particolarmente innovativa.

E’ tutto molto tradizionale, ogni elemento sta dove ci si aspetterebbe che sia. Le scenografie sembrano esser uscite da un sito archeologico di qualche millennio fa, eppure l’effetto è sempre lo stesso: stupore e immedesimazione. Non siamo di fronte ad un’opera fredda, anacronistica o staccata ormai dalla nostra realtà, ma ad un prodigio che vive pari passo con noi; il pubblico, dalla sua, non sembra sentire nella maniera più assoluta le difficoltà legate alla lettura o alla comprensione del libretto di Solera, di quasi due secoli, o la durata complessiva del dramma suddiviso in quattro atti.

Severi tiene le redini di un’orchestra che fa sentire la sua presenza in ogni istante, fa ripetere il “Va, pensiero” (qualche brivido magari a qualcuno sarà venuto nel sentirlo intonare, c’è da scommetterci),  si destreggia con esperienza nelle insidie di una storia di potere, personalità, egoismo e amore. Gli attori rispondono alla musica sfruttando appieno le proprie parti in modo che per ogni personaggio, da Nabucco a Abigaille, da il gran sacerdote di Belo a Zaccaria, ci sia un momento di altissimo soliloquio canoro con cui dar prova delle abilità che li contraddistinguono.

Senza ombra di dubbio una menzione speciale va fatta per Dimitra Theodossiou, nelle vesti di Abigaille. Contorta, assetata di potere, rifiutata in amore e vittima di un’epifania spiazzante riguardo i suoi natali. E’ l’antagonista, se volessimo identificarla in una precisa posizione narrativa, eppure nella storia assurge a vera protagonista del dramma in questa rappresentazione. Theodossiou è eccezionale nel cambiare toni e registri vocali, efficace sia in veste di cantante che in veste di attrice, mantiene il sangue freddo in ogni scena e mette in secondo piano Mauro Bonfanti il cui Nabucco, in alcuni momenti tentennante nella parte finale, qui, è più un traghettatore dell’intreccio, durante il terzo e quarto atto, che vero e proprio protagonista.

Il carisma di Dimitra Theodossiou, i suoi interventi, la padronanza della scena e del proprio corpo sul palco rischiano di essere la vera grande rivoluzione di questa rappresentazione, laddove se da un lato manca il dovuto carisma di colui che dà il titolo all’opera, dall’altra abbiamo una spalla che regge e supporta il dramma sotto molteplici sfumature e non scende a compromessi nel volersi accaparrare il ruolo di one-woman-show.

La perversione e la rivalsa di una schiava sul suo sovrano, la depravazione e sete di potere alimentano la fiamma vitale di una co-protagonista affascinante a cui Verdi non ha risparmiato, nella sua messa in scena, un contorno ed un’introspezione psicologica che, seppur non particolarmente innovativa, gode sul palco di quella complessità che è possibile percepire nel volto e nella voce di chi la interpreta. La Theodossiou in questo, è bene ripetere, è straordinaria.
Divisa tra il raccontare le sofferenze di un popolo vinto e di un popolo vincitore, nel mettere in evidenza le conseguenze di chi si innalza a divinità terrestre e rivendica il titolo di Dio sceso in terra, Nabucco è storia di angoscia ed passione, storia che trasporta e trascina lo spettatore in una corsa intervallata unicamente dai numerosi cambi di scena dovuti ai continui spostamenti da un’ambientazione all’altra.

Senza questi brevi, ma essenziali momenti di pausa, a cui si alternano la componente musicale e quella recitata, con la presenza continua di un coro che rivendica una posizione privilegiata nell’economia del dramma, si correrebbe il rischio di perdere quella finzione narrativa e credere di assistere alla storia originale, toccare con mano l’elevazione e la conseguente caduta di Nabucodonosor, tanto Nabucco riesce con ogni suo elemento a dare quella scossa emotiva e coinvolgere. Sensazione, magnifica e puramente teatrale, di cui gode anche questa produzione.

Nabucco torna a Livorno con una direzione artistica di tutto rispetto, offre un momento irripetibile non solo nella storia del teatro cittadino, ma anche della città intera ed i numeri e le date, conti alla mano, sembrano confermarlo. Severi e Anselmi firmano una rappresentazione che non rivoluzionando, non correndo rischi, si adegua al volere di mettersi al servizio di Solera e Verdi e omaggia i maestri di ieri guardando al futuro in modo tradizionale, ma genuino, lontana da chiavi di lettura politiche distorte, fuori da un qualsiasi tipo di retorica contemporanea.

A funzionare in modo eccelso è la direzione degli attori e dell’orchestra e nel complesso c’è da rimanere pienamente soddisfatti. Forse unico neo è un Nabucco un po’ troppo messo in ombra dagli altri sul palco che vive di luce riflessa delle azioni e delle parole di chi sta al suo fianco.

I “bravi” si susseguono uno dopo l’altro, la folla applaude ad ogni chiusura di scena ed il pubblico fa un’ovazione meritata a Laura Brioli e Dimitra Theodossiou, il cui straordinario talento sembrano aver fatto del Nabucco una versione tutta al femminile dove al cui centro siede una rivalità individuale tra sorelle, una lotta tutt’altro che scontata e manichea che tocca persino i confini del divino. Severi e Anselmi scavano nell’epica religiosa quasi ad enfatizzare un aspetto psicologico nascosto, una rivalità interna ai personaggi che ha la meglio su altri aspetti dell’opera, mettono da parte il divino ed elevano a nucleo narrativo l’umano. Il “Va, pensiero” sembra quasi un’aggiunta, un inciso a sé stante, in un dramma in cui a prevalere è la storia di due donne e di due popoli che vivono in funzione delle scelte e gli atteggiamenti di quest’ultime.

Da grande classico, Nabucco, fornisce allo spettatore innumerevoli angolazioni con cui assaporarlo e interpretarlo, ma le tante prospettive si possono cogliere e adottare solo se siamo di fronte ad una messa in scena di qualità e, laddove c’è stata, Severi e Anselmi hanno saputo offrire diversi punti di vista su cui riflettere.

Sarebbe un peccato dover aspettare un altro centinaio d’anni prima di dover assistere di nuovo al Nabucco di Verdi al Goldoni. Questa consapevolezza, rimane forse, l’unica vera grande nota dolente, perché come per tutte le grandi narrazioni, calato il sipario, il teatro ci mette di fronte ad una realtà glaciale, che ne segna anche la sua forza irripetibile: la magia a cui abbiamo preso parte in modo attivo, in un modo o nell’altro, è finita.

 

 

 

 

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