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Carnevale: l’inno scritto da un livornese, i 4 Mori divenuti carro e le maschere di Kahlo

Domenica 17 Febbraio 2019 — 00:00

Tornano le STORIE QL. Ecco un viaggio nelle radici del carnevale grazie ai racconti di Pierfrancesco Giunti che fanno emergere gli storici intrecci tra la nostra città e le tradizioni viareggine

di Tommaso Lucchesi

Come è noto a Viareggio è iniziato il Carnevale, festività principe dell’inverno versiliese che vede nella sfilata di giganteschi carri allegorici in cartapesta il punto culminante dello spettacolo. Ma probabilmente in pochi sapranno che la prima costruzione del Carnevale di Viareggio è stata un omaggio a Livorno e al suo monumento più rappresentativo: i “Quattro Mori”. Il celebre complesso scultoreo di Giovanni Bandini e Pietro Tacca con protagonista il granduca Ferdinando de’ Medici fu infatti riprodotto quasi in scala dai carpentieri e maestri d’ascia viareggini riuniti nella Regia Marina nel 1883 e fatto sfilare lungo la via principale durante i 2 corsi in programma quell’anno (nella foto principale in pagina).
La vittoria fu assicurata. Ma i punti di incontro tra Viareggio e Livorno sul fronte carnascialesco non si esauriscono a questa pionieristica costruzione. Infatti nel 1921 il Comitato Carnevale, ente organizzatore dei festeggiamenti a Viareggio, decise di commissionare ad un esperto musicista la canzone ufficiale di quella edizione; la scelta ricadde sul lucchese Giacomo Puccini che, oberato di lavoro in quel periodo, declinò cordialmente l’invito facendo però il nome di Icilio Sadun, straordinario compositore di origine livornese amico del maestro. Sadun accettò di buon grado l’offerta dei viareggini e firmò in poco tempo la canzone che sarebbe diventata l’inno del Carnevale di Viareggio: “Su’ la coppa di champagne!”.

Icilio Sadun

In tempi molto più recenti Livorno ha fatto di nuovo parlare di sé lungo i viali a mare di Viareggio con il debutto come costruttore del “nostro” Pierfrancesco Giunti, cuore amaranto e albero genealogico saldamente labronico, che negli ultimi anni si è cimentato nella costruzione di maschere isolate in gara ai corsi mascherati e pure quest’anno non è mancato il suo apporto alla sfilata con un’opera dedicata a Frida Kahlo. E’ proprio Giunti a raccontarci qualche aneddoto sul semi sconosciuto Carnevale di Livorno, molto in voga tra inizio ‘700 e fine ‘800, addirittura in largo anticipo su quello viareggino: “Sono numerosi i disegni e le incisioni – ci spiega Pierfrancesco che si è interessato profondamente alla ricerca di materiale sull’argomento – che testimoniano la presenza a Livorno di sfilate allegoriche e grandi celebrazioni carnevalesche, soprattutto dopo il voto alla Madonna di Montenero per il maremoto del 27 gennaio 1742.

L’Albero della Cuccagna (foto del 1889)

Già prima di quella data appaiono nella piazza davanti all’attuale Comune diverse rappresentazioni dell’albero della cuccagna e di veri e propri monumenti costruiti per le feste carnascialesche, come dimostra anche una fotografia più tarda scattata nel 1889. Un’immagine del 1886 certifica invece la presenza di luminare in via Vittorio Emanuele (oggi via Grande). Infine svariati dipinti, molti dei quali del livornese Renato Natali, ritraggono i colorati veglioni tipici della Livorno “bene” di inizio ‘900 svolti nei teatri cittadini, con le caratteristiche maschere povere livornesi come la Puce, il Mugnaio e Mangiauno-Mangiadue”.
Alla fatidica domanda sul perché i grandi festeggiamenti del Carnevale siano completamente scomparsi da Livorno, Giunti rammenta il catastrofico bombardamento alleato durante la guerra di quasi tutti i teatri della città, vere e proprie incubatrici dell’organizzazione del baccanale e sedi della maggior attrattiva cittadina, ovvero le eleganti feste notturne.

“Il Veglione” di Renato Natali

Dopo la distruzione di queste importanti strutture ricreative (eccetto poche sopravvissute come il Goldoni) è stato estremamente difficile e faticoso far rivivere lo spirito carnevalesco dell’anteguerra, seppure anche a distanza di decenni, come se si trattasse di una celebrazione ormai ancorata al passato e non più in grado di essere rievocata, malgrado siano rimaste inalterate nella cultura e nel carattere livornese le peculiarità proprie di questa festa come la satira graffiante e le immancabili battute goliardiche.

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