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Dalla corsia in ospedale al bordo ring: Davide “Big Bear” cutman

Domenica 14 Aprile 2019 — 00:00

Dal liceo Enriques alle corsie degli ospedali di mezza Europa come medico internista specializzando in pneumologia. E nel weekend si leva il camice e si tuffa a bordo ring accanto ai pugili campioni del mondo per diventare "Big Bear Cutman Bianchi"

di Giacomo Niccolini

Per stare su di un ring, come nella vita, bisogna imparare l’arte di incassare. Bisogna non aver paura del sangue, bisogna sapere che il dolore fa parte del gioco, che c’è un tappeto dove si cade e grazie al tappeto ci si rialza. Il dottor Davide “Big Bear” Bianchi lo sa bene. Lo sanno bene le sue scarpe che hanno macinato chilometri da Livorno fino a Ginevra passando dalla Francia, nella regione dello Champagne, fino ai monti della Svizzera fatti da prati verdi e cloni di Heidi e piccole Annette. Lo sanno bene i suoi libri, studiati e sdruciti, mangiati e digeriti tra un lavoro da casellante come quello del padre e un esame di anatomia dato con tre ore di sonno una settimana dopo un match di pugilato. Davide, un ragazzone classe 1981, un gigante buono dalla voce baritonale, cresciuto all’ombra di piazza Dante a due passi dal cavalcavia delle Terme del Corallo tra il liceo Enriques e una palestra di boxe, figlio di dipendente autostradale, ha sempre voluto fare il dottore un po’ perché affascinato dalla “fantastica macchina che è il corpo umano”, un po’ per il sacro fuoco che c’è dentro ogni medico sin da piccolo: “quello di aiutare gli altri a star bene”.
Davide si diploma in via della Bassata e senza paura si iscrive all’università di Pisa porta avanti lo studio della medicina e il lavoro stagionale (“ma a volte la stagione durava anche sette o otto mesi”) come dipendente tra asfalto e caselli per 11 lunghi anni, già prima di cominciare l’università. “Alla fine mi trasferisco a Firenze perché anche mia sorella aveva deciso di intraprendere la strada universitaria e in due ottenevamo uno sconto sulla retta. Nell’ultimo anno di corso, in seguito a seri problemi burocratici di convalida legati a un mio anno passato in Erasmus all’estero fui costretto a emigrare a Perugia dove mi sono laureato con una tesi in chirurgia toracica”.
Ma l’Italia stava stretta al dottor Bianchi e così via, passaporto in una mano, dizionario nell’altra e una valigia piena di voglia di non arrendersi. “Non mi piaceva quanto avevo percepito intorno al concorso italiano per entrare in specializzazione. Seimila posti disponibili su 15mila iscritti il solito giro giusto per piazzarsi in pole position e cose simili. Così provai la via della Francia. Ed entrai. Iniziai nella regione dello Champagne. Un posto in medicina generale. Ma la vita era molto dura. Un clima orrendo, un pronto soccorso dove dovevamo fare le guardie insieme alla vigilanza per la paura che venissimo aggrediti, e spesso succedeva. Una lingua, il francese che già imparai nel mio anno di Erasmus in Francia. E così decisi di provare altrove”.
E’ stato facile?
“Tutt’altro. Ma se c’è la voglia di adeguarsi e di provare i risultati non mancano. Io per lavoro ho imparato quattro lingue. Chiaramente l’italiano, poi il francese, l’inglese e un po’ di tedesco. E lo spagnolo lo capisco e mi faccio capire. Basta avere la voglia di imparare e la fame giusta per farlo. E quindi mandi curriculum a destra e sinistra, e alla fine qualcosa trovi, una chance prima o poi te la danno, basta saperla poi sfruttare”.

IL DOTTOR BIANCHI SUI MONTI DELLA SVIZZERA NEL PAESINO DI SAINTE CROIX

E tu cosa hai trovato?
“Ho trovato un posto sui monti Svizzeri, un ospedale di un paesino di cinquemila anime dove il dottore è trattato alla stregua del sindaco, ma che mi avrebbe permesso di entrare nel sistema svizzero di formazione e di ambire in futuro ad altre vette. Ho imparato molto è stato formativo. Anche se dal punto di vista di qualità della vita è stata una catastrofe: sette mesi di neve all’anno, sistematicamente impantanato in macchina in mezzo a tempeste di neve e scivoloni memorabili… un incubo”.
E poi finalmente la svolta…
“Si sono riuscito a trovare un posto a Ginevra agli Hôpitaux Universitaires de Genève, chiaramente a Ginevra per la specializzazione di medicina interna. Attualmente lavoro nel reparto di pneumologia di un ospedale cantonale ma a novembre mi trasferirò in una clinica privata di Ginevra e da settembre sarò allo stesso tempo dottorando in trapianti polmonari al CHUV di Losanna (9° ospedale al mondo secondo Newsweek, ndr). Nel frattempo ho iniziato anche la specializzazione in pneumologia e ho portato a termine diversi master in giro per l’Europa all’Hôpital Européen Georges Pompidou, al Centre chirurgical Marie Lannelongue, entrambi a Parigi, e perfino nella nostra Firenze, nei quali ho portato avanti la passione per la broncoscopia, l’oncologia toracica e i trapianti polmonari. Insomma, non mi sono mai annoiato”.

DAVIDE BIANCHI A BORDO RING MENTRE ESEGUE IL SUO LAVORO DA CUTMAN

E in tutto ciò la passione smisurata per la boxe…
“Me la sono sempre portata dietro. Non ha mai smesso di battere in me. E da modesto dilettante dalle mani pesanti ma condizione atletica spesso altalenante, adesso sono riuscito a coniugare il mio lavoro con la mia passione. Facendolo diventare praticamente un secondo lavoro che mi dà grandissime soddisfazioni ma mi riduce molto lo spazio e il tempo per la vita privata impegnandomi i weekend liberi in toto se si considera che i turni di lavoro sono di almeno undici ore al giorno…”.
Com’è lavorare all’estero?
“Non so come sia lavorare in Italia come medico perché nello Stivale ho lavorato poco. Posso dire che lavorare qua è molto stimolante perché sei sempre sottoposto a degli obiettivi da raggiungere e a degli standard qualitativi elevati. Qua pretendono una resa obbligata. Se non mantieni o non raggiungi ti possono far fuori senza troppe scuse. C’è da macinare senza tanti discorsi”.

A SINISTRA LUCA TASSI INSIEME A DAVIDE “BIG BEAR” CUTMAN BIANCHI

Davide  pugile. Come e dove nasce?
“Nasce a Livorno con il grande Luca Tassi. Per me il vero e unico campione che ha ispirato la mia modestissima carriera e il mio modo di far pugilato. Ho combattuto nella categoria dei massimi -91 kg negli anni che io chiamo i miei anni d’oro, di massimo agonismo. Poi tra Francia e Svizzera ho combattuto in tornei di poco conto per tenermi in forma, ma niente di più”.
Luca “Lo Scorpione” Tassi? Una vera eccellenza del pugilato livornese…
“Esatto. Per me Luca poteva togliersi tantissime soddisfazioni a livello di carriera. Poteva vincere cinture ancora più prestigiose anche se è stato in ogni caso campione italiano dilettante e professionista e campione internazionale IBF. Forse avrebbe dovuto andar fuori dall’Italia. Avrebbe avuto sicuramente più successo. In Italia la boxe non ha la stesso appeal e le stesse platee che trovi nel Regno Unito o in Germania, per esempio, o in Polonia. Ciò non toglie il giudizio che ho di Luca Tassi come pugile e come persona: un grandissimo esempio in entrambi i campi, un vero e proprio punto di riferimento per tantissimi”.

IL DOTTOR BIANCHI MENTRE ESEGUE I BENDAGGI ALLA BOXEUR ORNELLA DOMINI

Sui social e come soprannome ufficiale ti fai chiamare Big Bear, grande orso… Come mai?
“Beh diciamo che tutto nasce da un aneddoto che risale al 2009, anno del mio primo combattimento sul ring. La boxe dilettantistica è anche detta olimpica. Qualcuno mise le immagini di quel mio primo match su youtube e un utente commentò così: E voi la chiamate Boxe olimpica? Ma se quello che è sul ring si muove come un orso… Poi ci si mise un giovanissimo Fabio Turchi, attualmente una grande speranza del pugilato italiano, un vero campione, che attualmente si allena proprio nella nostra Livorno, che cominciò a chiamarmi così. E da lì ecco fatto: Big Bear“.
E te lo sei portato dietro anche ora che sei un cutman…
“Si ormai fa parte di me.  Ci sono affezionato”.
Cosa significa essere cutman e che differenza c’è tra medico a bordo ring?
“Il cutman è quello che si occupa del pugile tra una ripresa e l’altra: cerca di fermare le ferite e schiacciare gli ematomi avendo a disposizione rispettivamente dei q-tips, dei cotton fioc imbevuti principalmente di adrenalina diluita o di altre soluzioni emostatiche, e delle piastre d’acciaio chiamate noswell, senza dimenticare la vasellina. E’ colui che prima del match fa i bendaggi alle mani dei boxeur, il cosiddetto rituale del bendaggio. Un ruolo molto importante e delicato. Pensa se un pugile si fratturasse un dito o un polso durante un combattimento. Sarebbe la fine. In caso di ferita sta a lui trovare il modo di dare al pugile un altro round, one more round, prima che sia fermato perché malconcio, magari mentre sta vincendo un titolo importante. Il medico a bordo ring invece fa tutto il contrario, è quello che deve vigilare affinché tutto si svolga correttamente e deve essere pronto a valutare se un combattente è in grado o meno di continuare un match ed eventualmente interrompere il combattimento. Mentre il primo lotta per farti andare avanti, il medico ti ferma”.
E si guadagna bene?
“Ricco non ci diventi, più che altro si gira molto. Io stando a Ginevra ho la fortuna di essere a tre ore di treno da Milano, a un’ora di aereo da Londra o Berlino: le mete più importanti per la boxe internazionale. Sono entrato nel giro e ho già fatto un match per il titolo mondiale femminile nelle vesti di cutman all’angolo con la svizzera Ornella Domini (nella foto principale accanto al dottor Bianchi, ndr), atleta con la quale abbiamo vinto un titolo europeo in Polonia pochi giorni fa nella categoria welter. Come guadagno è maggiore se vieni ingaggiato come medico a bordo ring ma essere cutman è molto più cool“.
Spiegati meglio…
“Beh il cutman fa parte direttamente dello staff del pugile e arriva nei palazzetti e nelle arene vestito a festa, viaggi e stai a stretto contatto con i campioni, partecipi alla cerimonia del peso, parli coi giornalisti, respiri il sudore, l’adrenalina a mille. Insomma tutta un’altra cosa”.
Quali, tra i tanti, i pugili che hai seguito come cutman?
“Tra i tanti nomi posso fare, oltre a quello di Ornella Domini peso welter, campionessa europea attuale e sfidante al mondiale WBC quello della polacca Ewa Brodnicka peso superpiuma, attuale campionessa mondiale WBO che difenderà il titolo il prossimo 25 maggio. Per quanto riguarda il pugilato maschile Nika Smojan, svizzero-georgiano, peso massimo leggero, sfidante al titolo nazionale svizzero e lo svizzero Jason Macedo, Muay Thai medio leggero, campione WBC svizzero”.
Come hai iniziato questa tua nuova carriera medico-sportiva?
“Quando arrivai a Ginvera andai a bussare alla palestra del Boxing Club Genevois e mi aprì Samir Hotic, un allenatore e manager di grandissima esperienza. Iniziai ad allenarmi un po’ la sera per tenermi in forma, senza velleità di voler combattere. Facemmo amicizia e seppe che lavoravo come medico proprio a Ginevra e che conoscevo bene il mondo del pugilato. Poi un giorno mi chiese di partecipare come medico a una riunione di pugilato organizzata da lui, capitò di soccorrere una ragazza che si era sentita male sul ring durante un match duro e tutto si risolse per il meglio. Qualche mese dopo arrivò una sua proposta strana: fra 15 giorni ho bisogno di un cutman, mi disse. Voglio te all’angolo. Abbiamo un match importante: era il mondiale WBC dei pesi welter, ma me lo disse solo dopo un po’. In due settimane studiai come un forsennato per essere all’altezza della situazione. Contattai i migliori al mondo nel settore e mi aiutarono molto. Dormivo pochissimo tra ospedale, allenamenti e studio per poter essere un cutman degno di questo nome. Arrivò il giorno del combattimento. Perdemmo, ed ebbi da lavorare parecchio. Ma non sfigurai. Nonostante un’epistassi importante portai Ornella alla fine delle 10 riprese. Da quel momento non ho più smesso”.
Quanti match hai fatto a bordo ring?
“Come medico di bordo ring sono ad oltre 100 match tra dilettanti e professionisti. Come cutman professionista invece sono membro del team Catizone in Italia, e membro della World Cutman Association, WCA – associazione professionistica dei cutman di tutto il mondo”.
Progetti per il futuro? C’è l’Italia nel mirino?
“Chiaro che l’Italia mi manca, come mi manca Livorno, il suo mare e il suo clima. Ma per tornare ci devono essere i presupposti giusti altrimenti, da un punto di vista professionale, sto bene qua. E per quanto riguarda la boxe… magari fare un salto negli Usa e farmi qualche altro titolo mondiale a bordo ring non mi dispiacerebbe. Sarebbe anche molto bello seguire qualche giovane professionista livornese. In questo senso qualcosa si sta già muovendo. Io ci sono”.

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