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Goldoni. Jesus chiama… Livorno risponde

Lunedì 15 Ottobre 2018 — 11:33

Giunto al Goldoni per la sua serata inaugurale della stagione 2018/19 il cult di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice ha fatto risuonare tutta la grinta di cui è noto. Un inizio con il botto

di Claudio Fedele

Per alcuni rappresenta il musical per eccellenza, un composto vincente che, da anni, propone una formula che ha dato vita alla più duratura delle ricette pop del musical, approdando ovunque in ogni parte del mondo e riscuotendo unanime successo da parte di critica e pubblico.

Pellicole cinematografiche, interpretazioni innovative e chiavi di lettura originali ad ogni sua messa in scena hanno fatto di Jesus Christ Superstar un’opera che è diventata quasi un concetto astratto con cui si indica uno specifico spettacolo, che si amino o meno i musical, che si sia visto una volta nella vita o non si sappia nemmeno un testo presente al suo interno, dei millanta prodotti che l’America e l’Inghilterra sfornano ogni anno, attingendo dalle fonti più disparate, che spaziano dal cinema alla letteratura, questo racconto delle ultime settimane di Cristo è una pietra che sembra essersi incastonata nel nostro bagaglio culturale teatrale.

Gesù chiama e Livorno risponde, a suon di effetti e giochi di luci che spingono l’acceleratore su un’estetica urbana, sporca e degradata da un lato e classica dall’altro, sebbene minimalista, con la sovvenzione di sfondi animati e digitali, dietro ad una cavea di marmo affiancata a sinistra del palcoscenico da una piattaforma rotante su cui è posizionata l’orchestra, composta da qualche strumento essenziale, grazie al quale la musica dal vivo ha un effetto live ad hoc sugli spettatori.

La lingua parlata è sempre e solo l’inglese, cantato e recitato, i pezzi che aprono e chiudono le varie sequenze sono storia, orecchiabili e dal tocco rock, senza mettere in ombra cori, monologhi e esecuzioni soliste dove i toni drammatici la fanno da padrone.

Di fronte ad un primo atto dove si deve prendere dimestichezza con il ritmo della storia biblica, quest’ultima nota a chiunque (si suppone!), lo show lascia spazio ad una conclusione carica di pathos e drammaticità, mai eccessiva, seppur sempre scatenata ed esaltante.

Nella lettura offerta da questa produzione, per la regia di Massimo Romeo Piparo, si resta ancorati al classico per quanto concerne le affinità con le rappresentazioni precedenti  che l’hanno preceduto.
Degna di nota è la presenza del brano di cui è protagonista Erode, la sorpresa che non ti aspetteresti da un personaggio di minore importanza di fronte al campionario proposto di attori e comparse, ma il tocco kitsch e Elton John (nel suo massimo splendore estetico) alzano la qualità e osano fare un azzardo verso quel pubblico meno restio alle aperture mentali, chissà se, a voler guardare il tutto in prospettiva, peccare ancor di più di tracotanza, dal punto di vista della forma, non avrebbe giovato alla pièce, ma tant’è…

Giunto al Goldoni per la sua serata inaugurale della stagione 2018/2019 il cult di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice ha fatto risuonare tutta la grinta di cui è noto e di cui si è parlato e si parla da tanti anni, un inizio con il botto, che apre una nuova stagione per il teatro cittadino.
Il pubblico è uscito di sala emozionato, ricompensato e coinvolto all’inverosimile da un’inaspettata operazione meta-teatrale sul finale, audace, non c’è che dire, perché a smorzare i toni tragici del calvario, della passione e della morte del figlio di Dio ci hanno pensato parte dei comprimari, in primis Giuda mattatore dello show, i quali son riusciti a non appesantire un’opera, nella sua climax massima, che non si identifica mai in un concetto didascalico ma trova la sua più semplice essenza nel dare un tocco pirotecnico e d’avanguardia alla vita di Cristo.
Una signora in sala alzatasi in piedi, di fronte ad una stizzita spettatrice alle sue spalle che era restia a lasciarsi andare dall’applaudire sulle note finali del musical, brontolando in quanto privata dalla sopracitata della visuale, ha esordito con una sentenza che nel celare una pacata minaccia di circostanza riassume l’animo della produzione: “Signora è un musical, se non si lascia trasportare vada a vedere una tragedia”.
Anche la signora nella fila dietro, dopo questa imbeccata, s’è messa a ballare. Più della prima. “Amen”.

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