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Un augurio ai ragazzi ricoverati in unità spinale

Venerdì 8 Dicembre 2017 — 09:05

Una mattina di dicembre come tante, pioggia e pochi gradi di temperatura…una poca nebbia lascia intravedere la luce bianca di alcuni faretti posizionati sul muretto che delimita il piazzale con i suoi numerosi posti auto gialli, riservati… piazzale deserto…

Lontano la porta in alluminio verde, i classici fogli in A4 prodotti da una fotocopiatrice appiccicati con cerotto di carta anallergico ai vetri opacizzati…neppure un’anima dannata gira intorno a questo reparto ospedaliero a 400 metri dalla strada che rumorosa si riempie di auto e di scooter.

La porta di ingresso ha perduto anche la serratura, così come i fili elettrici in alto orfani del segnale luminoso dell’uscita di sicurezza; la palma senza terra all’ingresso che vede legate le sue frasche con il tubo trasparente ricavato dai sacchetti per urina da letto.
Corridoi freddi in linoleum , grigi, con i carrelli lasciati su un lato con sopra le federe e le lenzuola ruvide, le porte scorrevoli e dietro le tante voci , quelle degli infermieri che si mescolano a quelle dei pazienti …odore di disinfettante e medicinali.
Non riesco a tornare indietro nel mio tempo, non riesco a ricordare perché il passato è stampato su quelle pareti… colori, colonna sonora e aromi che restano sempre quelli, quelli di sempre .

Saluti e battute con citazioni labroniche, lo sfottò senza fine ed immancabile la battuta sui pisani … strette di mano e qualche commento sulla politica locale e nazionale.

Ecg…prelievo di sangue…colloquio con anestesista e prima di riprendere la strada del ritorno mi affaccio nella “palestra” dove quindici , forse venti, giovani occupano i letti, carne con indosso la tuta da ginnastica, i piedi che, abbandonati alla gravità, mostrano evidenti i segni di una paralisi…così come quei “pesi leggeri” legati con fasce elastiche alle mani di chi ha incontrato una lesione mielica alta.

Non ero abituato a tanta particolare folla, un silenzio strano accompagnato dal suono di una radio che cerca riempire tanto vuoto.

Mi sento un estraneo, un invasore con tanto di scarpe , pantaloni e maglia profumata, i miei bracciali che suonano sul corrimano e non posso che uscire per lasciar loro a quella privacy che avevo violato con la mia “ritrovata normalità”… uno stanzone impregnato di dolore e roboante di afasica speranza…basterebbe anche solo un piccolo impercettibile movimento…per iniziare a sperare o per continuare a sperare ancora.

Percorro a testa bassa il corridoio lucido ed appena lavato compiendo uno slalom tra una ragazza di colore, seduta su una carrozzina superleggera viola, ed un suo connazionale su una sedia a ruote elettronica nera… fermi come due statue abbandonate, senza una strada , senza una direzione da percorrere…quelle gambe ferme…il loro futuro incerto…lo smarrimento di chi viene catapultato lontano in un pianeta dove puoi solo respirare…puoi solo respirare…solo respirare.

Ti senti osservato e speri che ciò che vedono non sia solo una condanna da odiare ma esempio da seguire.

Auguri ragazzi

Fabrizio Torsi 

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