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Levy, il giovane fotografo che racconta il “non detto”

Sabato 29 Aprile 2017 — 17:11

Dal 5 maggio le sue immagini in mostra ad un importante festival a Reggio Emilia. “Dall'arte nasce arte ed essere curiosi in questo ambito è di vitale importanza”

di Jacopo Razzauti

Si chiama Francesco Levy, ha 27 anni ed è di Livorno. Ha all’attivo molti successi nell’ambito della fotografia e sarà uno degli autori per “Loop – Giovane Fotografia Italiana #5” nell’ambito del Festival Fotografia Europea di Reggio Emilia.
Dal 5 maggio prossimo le sue immagini, insieme a quelle di Paolo Ciregia, Giorgio De Vecchi, Maria Paolini, Claudia Petraroli, Marco Maria Zanin Alba Zari saranno esposte al Palazzo dei Musei, fino al 9 luglio.
Tra i mille impegni di questo giovanissimo artista siamo riusciti a raggiungerlo per far svelare la sua creatività ai lettori di Quilivorno.it .

Chi sei?
Sono Francesco Levy, nato a Livorno il 23 gennaio del ’90. Una volta diplomato nel 2009 al mitico Liceo scientifico con indirizzo artistico Francesco Cecioni, mi sono trasferito a Venezia dove ho frequentato l’Accademia di Belle Arti laureandomi nel 2013 con una tesi in Estetica dei New media. Gli anni veneziani sono stati molto importanti per me dal punto di vista formativo, ma anche personale: sono rimasto molto legato alla città e ci torno spesso.
Dal 2013 al 2016 ho frequentato la Fondazione Studio Marangoni di Firenze conseguendo il diploma e una borsa di studio ex aequo come miglior studente del triennio.

Quando hai scoperto la fotografia? E come?
Durante gli anni dell’Accademia a Venezia ho iniziato ad avere i primi ingenui approcci con il mezzo fotografico, ma non sapevo ancora che avrei scelto quella strada successivamente. Usavo la macchina in maniera molto istintiva, incurante di quelle che sono le regole basilari della fotografia. Devo dire che ero abbastanza ignorante in materia.

Ricordi la tua prima foto?
La mia prima foto in assoluto? Sinceramente no, ma ricordo quali sono state le prime fotografie scattate con cognizione di causa. Avevo appena iniziato a frequentare la Fondazione Studio Marangoni di Firenze ed il primo esercizio pratico assegnatoci fu di sviluppare un piccolo progetto riguardante le texture.
Abbiamo iniziato il primo anno scattando solamente in analogico e questo ci serviva per affinare la tecnica ed iniziare un processo conoscitivo che avesse come obbiettivo ultimo il controllo totale sul mezzo in questione. I miei primi scatti sono quindi nati in quest’occasione.

Raccontaci il tuo percorso di formazione dell’arte fotografica.
E’ stato un percorso molto articolato. Diciamo che ho sempre avuto una certa attitudine all’immagine.
Fin da piccolissimo trascorrevo le mie giornate disegnando, cosa che purtroppo, adesso, non riesco più a fare con la stessa costanza. L’amore per l’arte e per la pittura in primis ha decretato la scelta di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove ho trovato un ambiente fantastico, ricco di stimoli, occasioni di condivisione e di crescita intellettuale.
Durante quei tre anni ho approfondito le diverse competenze necessarie ad una consapevole attività autoriale, critica e curatoriale rispetto ad espressioni artistiche come il video, la narrazione multimediale e sviluppando competenze concettuali, storiche ed estetiche nell’ambito dell’arte.
Durante l’ultimo anno ho incominciato ad interessami alla fotografia come mezzo espressivo, ma quando mi sono accorto che L’Accademia non poteva fornirmi gli strumenti adatti ad una piena padronanza tecnica del mezzo, ho deciso di iscrivermi alla Fondazione Studio Marangoni di Firenze (dopo aver passato al vaglio numerose altre scuole), dove ho frequentato il Corso Triennale di Fotografia che mi ha aiutato a sviluppare la mia visione fotografica personale, preparato alla professione ed all’inserimento nel mondo della fotografia contemporanea.

C’è stato un incontro che si è rivelato importante per la tua crescita artistica?
Non solamente uno! Numerose sono state le persone importanti da un punto di vista formativo, ma non solo, che ho incontrato nell’arco del mio percorso di studi a partire dal mio professore di progettazione multimediale all’Accademia, Luigi Viola: devo molto della mia poetica a lui anche se l’ho capito tardi.
Alla Fondazione Studio Marangoni ho avuto la fortuna di incontrare e confrontarmi con moltissimi professionisti del settore come Paolo Verzone, George Tatge, Jay Walke, Simone Donati ed il collettivo Terraproject, Giorgio Barrera e Andrea Botto. Se penso però alla persona che mi ha lasciato di più è sicuramente Paolo Woods, un fotografo che si occupa principalmente di fotogiornalismo e fotografia documentaria, con cui ho avuto la fortuna di fare due workshop.
Penso che abbia stravolto un po’ il modo in cui noi studenti concepivamo e guardavamo la fotografia e il ruolo del fotografo nel mondo odierno. Menzione d’onore a Martino Marangoni che ha seguito passo passo me e gli altri studenti della Fondazione Studio Marangoni, durante il nostro percorso formativo. È stata una presenza costante e fondamentale nello sviluppo del nostro lavoro e della nostra identità di fotografi.

Quanto è difficile per un fotografo di 27 anni affermarsi?
Ve lo saprò dire quando sarò affermato!

In termini emotivi cosa deve esprimere per te la fotografia?
Mi piacciono le immagini che mi portano altrove, che raccontano lasciando qualcosa di non detto. È bello lasciare spazio all’immaginazione.

E in termini pratici?
Continua pratica. Non bisogna mai smettere di allenare l’occhio e ciò non significa solamente scattare, anzi. La fotografia non è solo “l’attimo fuggente” bressoniano, ma anche, per quanto mi riguarda, molto ragionamento e la lentezza che ne deriva; cerco di combattere questa bulimia di immagini che caratterizza l’epoca in cui viviamo. Non è semplice perché con la moderna tecnologia è facile lasciarsi rapire dalla frenesia dello scatto.
Mi piace prendermi il mio tempo, scegliere la location giusta e aspettare la luce migliore, soprattutto quando faccio ritratti.

Cosa ti piace di più fotografare?
Non penso ci sia qualcosa che mi piace fotografare più di altro, ho uno sguardo piuttosto “democratico” come direbbe Eggleston. Io lavoro su progetti a lungo termine, la mia è una sorta di ricerca che si sviluppa in un racconto per immagini. Non è semplice, bisogna studiare tanto, cercare continuamente materiale che possa fornirti spunti visivi e concettuali riguardo l’argomento su cui si è scelto di lavorare, scattare molto e confrontarsi continuamente. La parte più difficile è l’editing ovvero una volta scattato, la scelta delle immagini migliori; perché si può essere dei bravissimi fotografi, ma dei pessimi editor delle proprie immagini.

Una tua foto cosa deve comunicare?
Partendo dal presupposto che, come già detto precedentemente, il mio lavoro non si sviluppa per immagini singole, in genere, quando seleziono un’immagine da inserire nella serie a cui sto lavorando, la scelgo perché trasmette qualcosa a me. Ci sono tanti fattori che mi condizionano emotivamente ma anche in termini pratici durante l’editing. Non è detto che una singola immagine debba per forza trasmettere qualcosa, magari la inserisco perché mi serve come punto di connessione con qualcos’altro oppure semplicemente per pura estetica.

Leggi riviste di fotografia? Visiti mostre?
Sono stato fortunato a crescere in un ambiente in cui si respirava arte. Fin da bambino ho seguito i miei genitori in mostre ed esposizioni di ogni genere, a partire dalle Biennali di Venezia. Penso di non essermene persa una da quando sono nato. Vedere le opere materialmente credo sia molto importante soprattutto al giorno d’oggi dove abbiamo accesso, grazie ad internet, ad un database di immagini ed informazioni illimitato, ma pur sempre virtuale. L’incontro con l’opera e l’esperienza dell’ambiente museale è fondamentale per la crescita artistica ed intellettuale. Dall’arte nasce arte ed essere curiosi in questo ambito è di vitale importanza.
Leggo molto, ma non riviste fotografiche di tipo tecnico, anzi devo dire che mi capita di rado. Leggo riviste dove la fotografia riveste un ruolo fondamentale come ad esempio Internazionale o National Geographic, ma anche riviste specifiche del settore come Gente di Fotografia, YET Magazine o DER GRIEF Magazine. Leggo molte riviste online e blog per tenermi aggiornato e anche perché mi piace trovare progetti fotografici interessanti che magari non hanno ancora una risonanza internazionale. Internet per questo è un mezzo eccezionale.
Leggo anche molti saggi, ci sono alcuni autori da cui proprio non si può prescindere come Barthes o la Sontag.
Recentemente poi, mi sono appassionato all’editoria ed ho iniziato a crearmi una piccola biblioteca personale di libri fotografici degli autori, o progetti fotografici che più amo.

E adesso racconta ai nostri lettori cosa hai provato quando ti hanno comunicato che eri tra i sette vincitori di Giovane Fotografia Italiana, progetto dedicato alla fotografia italiana emergente, nell’ambito del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia.
Ero di ritorno da un meeting a Parma con una curatrice e quando ho letto la mail una volta arrivato a casa quasi non ci credevo. Sono al settimo cielo, non era facile venire selezionati perché il livello è molto elevato e la partecipazione altrettanto.
Nel 2006 il Comune di Reggio Emilia ha dato inizio alla manifestazione internazionale Fotografia Europea. Al centro dell’attenzione è la fotografia come strumento privilegiato per riflettere sulle complessità della contemporaneità.
Ogni anno gli autori sono chiamati, così, a confrontarsi su temi diversi: la condizione urbana contemporanea, il corpo, il tempo, lo sguardo e, nell’ultima edizione, la riflessione sull’identità, sulla storia e sul futuro del nostro paese attraverso la fotografia. Sono molte le produzioni realizzate “ad hoc” per il festival e poi confluite nella pubblica collezione della città.
Trattandosi di una riflessione a tutto campo sull’immagine contemporanea, si confrontano sul tema non solo fotografi ma anche intellettuali, artisti, filosofi e scrittori.
Il punto di partenza è l’insegnamento di Luigi Ghirri: la possibilità, attraverso l’immagine, di guardare al mondo come non lo si è mai fatto prima.

Sede della mostra Loop Giovane Fotografia Italiana #5
Palazzo dei Musei
via Spallanzani, 1 – Reggio Emilia
Orari
giornate inaugurali
5 maggio – 19-23
6 e 7 maggio – 10-23
dal 12 maggio al 9 luglio
sabato e domenica
10-13 / 16-19
apertura straordinaria
2 giugno – 10-23

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