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Giulia Merlo e Stefano Zurlo, cinque domande prima della “sfida” al Festival Antani

Sabato 13 Maggio 2023 — 17:00

Secondo appuntamento del “Campionato italiano di rassegna stampa indoor”. A sfidarsi domenica 14 maggio saranno Giulia Merlo, avvocata e giornalista di politica e giudiziaria per il quotidiano Domani e Stefano Zurlo, firma de Il Giornale. Ecco le loro risposte

di Giulia Bellaveglia

Ancora poche ore ci separano dall’attesissimo secondo appuntamento del “Campionato italiano di rassegna stampa indoor” nell’ambito del Festival Antani. Dopo il sold out registrato dal colloquio tra Alessandro Sallusti e Gad Lerner, a sfidarsi sul palco della Goldonetta domenica 14 maggio alle 11 saranno Giulia Merlo, avvocata e giornalista di politica e giudiziaria per il quotidiano Domani e Stefano Zurlo, firma de Il Giornale su politica, economia e finanza. QuiLivorno.it ha voluto incontrali prima dello spettacolo per rivolgere loro 5 domande identiche. Come hanno risposto? Non resta che continuare a leggere!

È mai stata/o a Livorno? La conosce?

GM: “No, è la prima volta. Ovviamente però un po’ la conosco per sentito dire; mi aspetto che i livornesi abbiano un approccio diretto”.
SZ: “Sì, ma non la conosco benissimo. Mia mamma era di Pisa, quindi sono cresciuto sullo sfondo di Pisa-Livorno. Ci sono venuto spesso di recente e per me è una città che ha il suo fascino anche se non è certo la classica cittadina toscana perduta soltanto nella storia. Per quello che ho potuto vedere mi è piaciuto molto il quartiere Venezia e il mare del Romito, anche perché sono un patito dei quadri dei Macchiaioli”. 

Ha accettato di sfidare un collega. È pronta/o?

GM: “Prontissima, assolutamente. Poi con Stefano ci siamo già confrontati in una serie di occasioni via radio, questa è la prima volta in cui lo faremo faccia a faccia, quindi sarà doppiamente divertente. Abbiamo delle visioni molto diverse l’uno dall’altra, ma funzioniamo bene, perché non diciamo la stessa cosa, quindi chi ci ascolta potrà divertirsi”.
SZ: “Speriamo di sì, o meglio speriamo che non sia pronta lei, tanto per metterla sull’umoristico. Ma sì dai, andrà bene”.   

Ha senso secondo lei realizzare un festival su umorismo, satira e comicità come questo?

GM: “Assolutamente sì. Se non ridiamo in periodi come questi cosa dobbiamo fare? Questo è forse il metodo più intelligente per guardare i fatti. Fare una rassegna stampa come la nostra cercando di trovare lati insoliti è un modo per cercare di raccontare l’attualità senza renderla noiosa. Anche perché quando si scrive su un giornale, scrivere cose noiose è la cosa peggiore che possa capitare”.
SZ: “Sì. Lo penso perché la nostra è una categoria di primi della classe e maestrini, quindi l’umorismo, la satira, l’ironia e l’autoironia sono il grande antidoto ai problemi del giornalismo di oggi. Se sei capace di guardare le cose con la giusta ironia capisci che la realtà è un’altra cosa, fatta di domande, di risposte, di problemi concreti, di stupore e di fatica. Non è una roba moralistica, ma la verità necessaria a capire il mondo, che è più grande di quello che c’è sui giornali e nelle redazioni”. 

I ragazzi di oggi non ridono di fronte ad episodi che 30 anni fa erano considerati vertici dell’ambito comico. Com’è cambiato secondo lei il “cosa fa ridere”?

GM: “Questa è una bella domanda. In realtà secondo me il meccanismo non è cambiato, semplicemente è una questione di generazione. La mia ride su Cagna maledetta di Boris, una persona più grande non sa di cosa si stia parlando, ma ride su Come se fosse Antani”.
SZ: “Oggi l’umorismo ha forme più particolari rispetto al classico surreale del cinema o della tradizione letteraria italiana. Probabilmente adesso c’è bisogno di altri clichè, che vanno in altre direzioni, forse sui tic o sui luoghi comuni. Penso che ci sia una sorta di supermercato dell’umorismo, che va in tante direzioni differenti, non esiste più un genere classico, riconoscibile. E poi c’è sicuramente un distacco generazionale”. 

Pensa che la satira debba avere un limite? Se sì, quale?

GM: “No, saremmo degli ipocriti a dire il contrario. Mettere limiti alla satira significa non fare satira. Se c’è qualcosa di cui non si può ridere automaticamente si creano dei blocchi benpensanti, che sono esattamente l’opposto di quello che la satira dovrebbe fare: essere dissacrante, se non lo è, non coglie l’obiettivo”.
SZ: “Sì, perché bisogna sempre tener conto della libertà altri. E la libertà non è un valore assoluto, ma un rapporto che si stabilisce con la realtà circostante. Ed è chiaro che ci possano essere ambiti in cui si provoca, si ferisce, si gioca, ma non possono mai essere assoluti. La satira più bella è quella capace di dire una cosa senza calpestare. Ovviamente deve poter offendere e creare una forte difficoltà, ma quando è un atto esclusivamente offensivo, qualche freno ce lo deve avere. Poi il discorso è molto complesso ed ha mille varianti. È una questione insoluta da tempo”.

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