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Patrizia sconfigge il Coronavirus e torna a casa dopo 50 giorni di ospedale: la festa

Giovedì 7 Maggio 2020 — 18:31

Patrizia Brinati è stata accompagnata a casa, il pomeriggio di giovedì 7 maggio, dai volontari della Svs dopo 50 giorni di ricovero in cui ha combattuto, e vinto, contro il Sars-CoV-2. "Grazie di cuore a tutti"

di Giacomo Niccolini

Il senso della vita sta tutto in quell’arcobaleno dipinto dai suoi quattro nipoti e appeso all’ingresso dello stabile nel quartiere della Leccia con la scritta “Bentornata nonna” (foto in pagina di Lorenzo Amore Bianco). Il senso della vita sta in quelle lacrime che la piccola Eva, 7 anni, non è riuscita a trattenere alla vista di nonna Patrizia appena sbarcata dall’ambulanza della Svs davanti al portone dell’edificio avvolta in un camice verde, fasciata da guanti in lattice e coperta in volto da una mascherina bianca. Il senso di tutta questa giostra che gira forte, e che questo virus ha voluto fermare bruscamente, sta nelle 12 rose rosse a gambo lungo che il marito Vero Tampucci ha raccolto per lei e distribuito ad amici e condomini pronti a farle festa per il rientro a casa. Il senso meraviglioso e sottile della vita è stata l’attesa per 50 lunghi giorni di Patrizia Brinati, l’attesa della vittoria su di una malattia terribile che l’ha portata ad un passo da non tornare più indietro.
Era il 13 marzo quando accusò i primi sintomi. Una febbre alta che non andava via. Cinque giorni così prima del ricovero, quel 18 marzo, e del tampone: positiva al Coronavirus. “Da quel momento – spiega la 69enne Patrizia a QuiLivorno.it – non mi ricordo più nulla, o poco. Ricordi confusi. So solo che qualche giorno dopo mi hanno addormentato per quindici giorni consecutivi. Tracheotomia e intubata in Rianimazione. Poi il risveglio, arrivato forse anche grazie a una di quelle cure che chiamano compassionevoli, ma che per me è stato un trauma. Per ore, forse giorni, non saprei dire, ho vissuto un incubo dopo aver aperto gli occhi. Pensavo che fossero morti tutti i miei affetti, i miei cari. Quando ho iniziato a riprendere coscienza del mondo mi hanno fatto fare una video-chiamata a mio marito e da lì piano piano mi sono tranquillizzata e ho iniziato a capire che stavo uscendo dal tunnel, che a casa stavano tutti bene e che dovevo lottare ancora per tornare qui alla Leccia anch’io il prima possibile”.
Tutti bene ma… anche il marito, Vero Tampucci, ha passato dei brutti momenti in questi 50 giorni di calvario. Oltre alla preoccupazione per la moglie, in ospedale in gravi condizioni, ci si è messa la quarantena, dura e spietata in solitaria. “Eh si – spiega Tampucci  – Anche io ho avuto una febbriciattola intorno ai 37,1-37,2 e, visto quanto accaduto a mia moglie, ho fatto il tampone risultando positivo anch’io. Così sono stato messo in quarantena domiciliare sotto osservazione medica. Per fortuna la febbre è passata e non ho avuto alcun altro sintomo ma il virus non andava via. Ho passato 40 giorni in casa in cui i vicini mi portavano da mangiare sulla porta. Poi finalmente, solo dieci giorni fa circa, la negativizzazione di tutto ciò. E questo giovedì 7 maggio me lo ricorderò per sempre: il giorno in cui ho riabbracciato mia moglie dopo 50 giorni di incubo”.
Una vera e propria festa nella strada e nel palazzo per riabbracciare la signora Patrizia che ha dispensato sorrisi a tutti. Palloncini, occhi rossi, striscioni, una lettera di bentornata e tanti applausi. Poi dalla finestra del terzo piano il saluto a chi era rimasto giù ad attendere un cenno che fosse tutto ok. “Mi sento come il Papa qua affacciata alla finestra – ha detto scherzando al marito che l’ha accompagnata fino a sporgersi sulla strada – Troppa importanza! Quando sono scesa dall’ambulanza e ho visto tutta quella gente ho detto: o cos’è un matrimonio? (ride, nrd). Chiaramente mi ha fatto piacere tutto questo affetto. Da parte di tutti. Adesso sono negativa, sono considerata una guarigione virale, come si dice. Non vedo l’ora di poter riabbracciare fisicamente i miei figli Lorenzo e Dario e tutti i miei nipoti: Giulio di 13 anni, Eva di 7, Gregorio di 5 e Gemma di 3. Eva si è messa a piangere quando mi ha visto… bellina. Per lei deve essere stata una forte emozione. Mi è venuta vicina per darmi la rosa e non poterla abbracciare è stata dura. Ma per adesso dovrà essere così per un pochino di tempo. Quanto non si sa. L’importante adesso è essere qui”.
Poi guarda il deambulatore che è lì accanto a lei, sbarcato anche lui tra le sue quattro mura: “Io non lo so mica usare questo qua – dice indicandolo con occhio sbieco – La prima cosa che farò? Una bella doccia. Da starci tanto. Sono 50 giorni che non mi lavo i capelli. Non ne posso più”.
Accanto a lei adesso non ci sono più quegli angeli vestiti da astronauti dell’ospedale. C’è l’amore di Vero e ci sono le mura di casa. Ad accoglierla all’ingresso un cuore che il marito le aveva preparato sul pavimento fatto di petali di fiori. Fuori, sul pianerottolo, un foglio giallo sulla porta della dirimpettaia: “Bentornata Patry”.
“Volevo dire un mega grazie a tutto il personale dell’ospedale – dice Tampucci – dai primari dei reparti visitati, ai medici, agli infermieri, al personale sanitario, ai volontari, a chiunque è stato accanto in questo percorso a mia moglie e a noi tutti. Sono state persone fantastiche, eccezionali, che di meglio non si poteva augurarci. Ogni giorno mi contattavano per darmi notizie di mia moglie. A volte lo facevo io perché non resistevo. Ma loro sono stati tutti impeccabili”.
“Confermo – fa eco la signora Patrizia – sono stati fantastici. E pensare a come sono costretti a lavorare dentro a quelle tute dove non passa aria, con guanti, maschere, visiere. Tutte quelle ore di turno vestiti così. Per fortuna i reparti Covid si stanno svuotando. Sono stati davvero bravissimi in tutti i sensi, sia quello professionale che, soprattutto, quello umano. A loro devo tanto, se non tutto”.
Proprio così. Perché forse, alla fine, il senso sta in quella doccia che Patrizia non vede l’ora di fare per lavare via tutto, in quell’abbraccio che, finalmente libero da mascherine e guanti, Vero le darà guardandola negli occhi. Il senso di tutto è poter dire, finalmente, sì… è andato veramente tutto bene.
Qua sotto pubblichiamo uno spezzone del video girato dal figlio di Patrizia, Lorenzo Tampucci.

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