Mostra d’arte. “Giancarlo Cocchia, la contesa fra il mistico e il tragico”
Si inaugura sabato 15 giugno, alle17.30 la mostra "Giancarlo Cocchia. La contesa fra il mistico e il tragico", promossa dal “Circolo Culturale d’Arte Antonio Amato” (via Michon, 22), in collaborazione con “Archivi e Eventi
Si inaugura sabato 15 giugno, alle17.30 la mostra “Giancarlo Cocchia. La contesa fra il mistico e il tragico”, promossa dal “Circolo Culturale d’Arte Antonio Amato” (via Michon, 22), in collaborazione con “Archivi e Eventi. Associazione Culturale per la Documentazione e Promozione dell’Ottocento e del Novecento Livornese”, con la partecipazione di Mario Bardi, a cura di Francesca Cagianelli (fino al 29 giugno 2019, catalogo in Galleria).
Alle 18 è prevista una visita guidata a cura di Francesca Cagianelli, storica dell’arte, Presidente di Archivi e Eventi.
A impreziosire il percorso espositivo calibrato su un inedito nucleo di opere pittoriche e grafiche ascrivibili agli anni Settanta, ma al contempo concepito in autonomia da esso e con l’ambizione di costituire un capitolo bibliografico di assoluta rilevanza in termini di valorizzazione e storicizzazione della personalità di Giancarlo Cocchia (Livorno, 1924-1987), il catalogo, curato da Francesca Cagianelli, punta a ricollocare l’artista, finora quasi unicamente inquadrato dalla bibliografia critica corrente in relazione alle sue prestazioni sul terreno del sacro, nel capitolo articolato quanto dialettico della Livorno del dopoguerra.
Sulla scena cittadina, dominata dalla militanza istituzionale della Casa della Cultura, dal fenomeno di caratura internazionale del Centro “Il Grattacielo”, dalla dinamicissima Galleria Giraldi, ma soprattutto da una frenetica vis associazionistica all’origine di una fioritura irrefrenabile di aggregazioni artistiche, Cocchia sembra in un primo momento lasciarsi coinvolgere con l’aspettativa di una strategica coesione con alcuni esponenti delle avanguardie cittadine del secondo dopoguerra, sul fronte di una ecumenica libertà espressiva, per poi ritagliarsi un percorso di più esasperato intimismo nei termini monotematici di una irriducibile quanto surreale dinastia del sacro.
Si tratta di un processo destinato ad accompagnare nella produzione cocchiana un progressivo distacco dalla pervasiva matrice rouaultiana verso una personalissima iconografia teologica, sempre più ammiccante a un primitivismo saturo di implicazioni fiabesche.
Si susseguono dunque in catalogo testimonianze documentarie e bibliografiche prevalentemente inedite, frutto di quella pluriennale ricognizione della stampa locale e degli archivi d’artista messa a punto dalla curatrice nel corso dei pluriennali progetti promozionali e scientifici promossi da “Archivi e Eventi”, volti alla restituzione di un panorama vasto, quanto ancora sommerso, di protagonisti degli anni Cinquanta a Livorno, tra cui Mario Ferretti, Roberto Ercolini, Renzo Izzi, Umberto Benedetti, Angelo Sirio Pellegrini, Pierino Fornaciari, e, quindi, Giancarlo Cocchia.
Ne emerge un serrato dibattito, ancora ben lontano dalle significative pagine di una storia nazionale, intorno alla complessa stratigrafia stilistica connotante l’articolata compagine degli esponenti della cosiddetta “modernità” artistica cittadina, all’interno del quale sono state censite le voci più autorevoli dell’intellighenzia critica livornese e più genericamente toscana tra gli anni Cinquanta e Settanta, in particolare quelle di Maria Luisa Bavastro, Luciano Castelli, Dario Durbé, Guido Favati, Silvano Filippelli, Giorgio Fontanelli, Walter Martigli, Franco Russoli, Luigi Servolini, Enrico Sirello, Milziade Torelli.
Già curatrice, in qualità di Conservatrice della Pinacoteca Comunale Carlo Servolini, della mostra Giancarlo Cocchia 1924-1987. Un mistico verso le avanguardie negli anni del Premio Modigliani e del Grattacielo, promossa dal Comune di Collesalvetti nel 2014 (Collesalvetti, 2 settembre – 3 novembre 2014), Francesca Cagianelli concentra ora la sua indagine sulle diverse stagioni stilistiche di Cocchia, dall’adesione nel 1945 al Gruppo Artistico Moderno (GAM), alla partecipazione alla I Mostra Nazionale d’Arte Sacra Moderna del 1953-1954; dalla militanza nella compagine della “Bottegaccia” tra 1954 e 1957, al coinvolgimento nelle distinte tappe del Premio Modigliani, a partire dal 1955 all’interno del Comitato Esecutivo per le Onoranze, per finire con l’adesione in veste di espositore alla III, V e VIII edizione; e, ancora, dalla convergenza nel 1958 con gli affiliati del Centro Livornese Arte e Cultura Moderna (CLACM) fino alla fondazione del Gruppo “Arte Libera” nel 1961.
Tra i numerosi testimonials chiamati in causa domina Giorgio Fontanelli che nel febbraio 1962 si pronuncerà in merito alla dilagante filiazione dei diversi raggruppamenti artistici nella Livorno del secondo dopoguerra, proprio con riferimento alla formazione di “Arte Libera”: “In ossequio al suo nome, Arte Libera ospita pittori di formazione e di tendenza dissimile, sì che sarebbe arduo cercare fra loro una piattaforma comune, anche per quella tendenza spesso orgogliosa del livornese di fare comunque la sua corsa da isolato. D’altra parte, da Chevrier a Berti a Cocchia a Marchegiani a Secchi, sono tutti troppo noti perché si debba qui a parlarne singolarmente”. Non esita dunque Fontanelli a riconoscere la validità strategica di alcuni asserti pronunciati dagli associati di “Arte Libera”, a partire da “quella loro dichiarata volontà di dialogo, di incontro, di ricerca”, fino al rifiuto di ogni dottrinarismo estetico.
Emblematica dunque risulta la militanza cocchiana tra le fila di “Arte Libera”, cui la curatrice intitola il suo saggio: Giancarlo Cocchia. Dal Gruppo Artistico Moderno allo schieramento “Arte Libera”: l’impegno per una Umanità Nuova, con l’obiettivo di ridisegnare in un chiaroscuro assolutamente dinamico quella coerenza linguistica dell’artista che a Milziade Torelli sembrò giusto riassumere nell’efficace formula della “contesa fra il mistico e il tragico”.
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