Nel libro “Marabù – Taccuino della prigionia”, la vita dello storico preside del Cecioni
Ci sono diversi modi per proteggersi dall’orrore, ma forse quello che da sempre risulta uno degli scudi più efficaci è il sorriso. Ed è ciò che emerge anche nel libro di (e su) Luciano Castelli, Marabù – Taccuino della prigionia, in uscita in questi giorni per la casa editrice Valigie Rosse
Ci sono diversi modi per proteggersi dall’orrore, ma forse quello che da sempre risulta uno degli scudi più efficaci è il sorriso. Ed è ciò che emerge anche nel libro di (e su) Luciano Castelli, Marabù – Taccuino della prigionia, in uscita in questi giorni per la casa editrice Valigie Rosse.
Il taccuino citato nel titolo, infatti, è quello in cui il rinomato pittore livornese, nonché storico preside e riformatore del liceo “F.Cecioni”, decise di raffigurare la propria autobiografia durante il periodo di prigionia nel campo di lavoro nazista di Kirchmöser, nelle vicinanze di Brandeburgo sulla Havel.
Castelli, all’epoca un giovane poco più che ventenne, dopo i bombardamenti su Livorno era stato costretto a sfollare, insieme alla propria famiglia, ad Avane, piccola località nel comune di Vecchiano (Pisa) e venne deportato in Germania in seguito a un rastrellamento effettuato su una strada che da Pisa conduceva a Lucca. Come spesso tragicamente accadeva in quegli anni tetri, si era semplicemente trovato nel luogo sbagliato nel momento sbagliato (il pittore, peraltro, non era né ebreo né, essendo stato riformato, poteva essere considerato un soldato nemico).
Fu in mezzo alla barbarie del campo di prigionia, quindi, che Castelli prese a disegnare la propria vita, nel tentativo forse di fissarla indelebilmente e sottrarla alla morte che lo circondava. Ne nasce così una serie di immagini che, come ben sottolinea la professoressa Antonella Capitanio nella Nota al volume, sorprende anche, e soprattutto, per la carica ironica. Un susseguirsi di situazioni, dal tratto poetico e autocaricaturale, con al centro un personaggio magro e un po’ bizzarro (tanto da meritarsi il soprannome di Marabù), attraverso cui l’autore racconta (e si racconta) momenti significativi della propria esistenza: dalla nascita alle prime esperienze d’insegnamento, dalla deportazione all’agognata liberazione.
Il volume è arricchito da un’Appendice, con note e trascrizioni della figlia dell’artista, Francesca Castelli, in cui sono raccolti documenti e disegni (relativi a quel periodo e non solo) raccolti e conservati con cura dai familiari.
Da segnalare, infine, che Marabù – Taccuino della prigionia sarà disponibile presso lo stand della casa editrice già al Pisa Book Festival, dal 28 settembre al 1 ottobre.
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