Tarabaralla, i Mayor ci portano sulla loro giostra di emozioni tra pianto e riso
I Mayor ancora una volta ti portano sulla giostra di sensazioni che solo loro sanno farti provare. Si passa dal pianto vivo, vero, sentito e straziante alla risata fragorosa, sincera anche volgare ma mai sguaiata. Un sogno lucido. E lo spettatore diventa come sonnambulo davanti a questi attori che si scaraventano sul palco. Senza rete. Come nella vita
Se non arrivi in fondo non senti. In questa frase è racchiusa la forza di Tarabaralla, ultimo spettacolo della Compagnia Mayor Von Frinzius diretta da Lamberto Giannini, Rachele Casali e Silvia Angiolini andato in scena in un Goldoni tutto esaurito il 30 maggio (replica venerdì 31 maggio alle 21, biglietti ancora disponibili). Se non arrivi in fondo non senti. Come in Tarabaralla. Come su quel palco e sulle poltrone rosse che stanno mute davanti a quel legno. Provare la necessità dell’estremo per sentire. E in questo caleidoscopio di emozioni c’è una gamma di colori, di sentimenti.
I Mayor ancora una volta ti portano sulla giostra di sensazioni che solo loro sanno farti provare. Si passa dal pianto vivo, vero, sentito e straziante alla risata fragorosa, sincera anche volgare ma mai sguaiata. C’è la musica a fare da collant a tutto, le decine di attori che si muovono sul palco disgiunti e uniti, che fluiscono in platea, rendendo un tutt’uno lo spettacolo, fondendo lo spettatore con la performance artistica. Un flusso continuo, uno stream of consciousness costante e incessante. Un sogno lucido. E lo spettatore diventa come sonnambulo davanti a questi attori che si scaraventano sul palco. Senza rete. Come nella vita. Come in uno sguardo all’incrocio che mai più tornerà. Come quelle palpebre che non si chiudono di notte.
C’è la lettera alla mamma di una ragazza uccisa per femminicido che ti incolla alla sedia e ti toglie il fiato a singhiozzi, c’è Yuri che ti sfila un sorriso, c’è il ballo di gruppo che unisce, ci sono le immagini di una guerra che, come tutte le guerre, non dovrebbe mai essere combattuta. C’è l’ombra della morte, presente che incombe ma che viene esorcizzata con il rito laico comune del Teatro, sacra metamorfosi di resurrezione. C’è la coerenza da mandare a fanculo con veemenza e con orgoglio. C’è l’accettazione del diverso, del corpo femminile, della disabilità schiaffata sul muso senza preavviso, senza scuse. Senza rete.
Su quella giostra fatta partire da Giannini saliamo un po’ tutti. Per novanta minuti vorticosi di lacrime e groviglio allo stomaco, di applausi di pancia e di pensieri che navigano con la compagnia senza bussola, come a perdersi in una grande città.
“Cosa avrei visto del mondo, senza questa luce che illumina i miei pensieri neri”, canta uno struggente Battiato alla fine dello spettacolo. La melodia avvolge come una coperta calda che coccola le lacrime e che sveglia dalla magia lo spettatore. La Luce sono i Mayor Von Frinzius. Che ancora una volta illuminano e irradiano. La luce si accende nel teatro che, in piedi, abbraccia e si abbraccia. La magia è, ancora una volta, compiuta. Abracadabra, anzi… Tarabaralla…
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