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Io, infermiera a tu per tu con la “bestia”, tra ansie e sogni di tornare presto a Calafuria

Giovedì 26 Marzo 2020 — 10:09

"Non puoi e non vuoi vedere parenti e amici per paura che un piccolo sbaglio possa infettarli. Hai paura anche di andare a fare la spesa perché se per caso hai fatto un piccolo errore a lavoro potresti condannare una cassiera e la sua famiglia"

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di una giovane infermiera livornese che da anni vive nel Nord Italia e lavora in un ospedale che, attualmente, sta vivendo a pieno l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus. Una testimonianza toccante che la nostra concittadina vuole condividere con la “sua” gente per far capire l’importanza di essere più che mai uniti in questo momento e di combattere, ognuno come può, l’avanzare di questa epidemia. L’autrice ha chiesto di rimanere anonima per motivi di privacy e chiede di essere presentata e firmata come “C”, l’iniziale del suo nome. Buona lettura…

“Ciao a tutti, sono C. nata e cresciuta orgogliosamente a Livorno anche se ormai vivo e lavoro da qualche anno nel Nord Italia. Io lavoro in ospedale e quando ho scelto di intraprendere gli studi per questa professione mai avrei pensato di vivere una situazione simile. Devo ammettere che inizialmente avevo sottovalutato il problema Coronavirus poi, improvvisamente, mi sono ritrovata nell’occhio del ciclone e tutto è cambiato. Non sono brava con le parole e non voglio fare uno di quei discorsi: “Dovete-non dovete, fate-non fate”. Vorrei solo condividere con voi questa mia esperienza con il Covid-19.
Una della cose che mi spaventa di più è l’imprevedibilità: io, e immagino tanti dei miei colleghi, ci svegliamo la mattina, giorno dopo giorno, chiedendoci: “Ho la febbre? Mi verrà la tosse? Speriamo che fili tutto liscio…” perché con questa malattia un minuto prima stai bene e quello dopo non hai più le forze di stare in piedi. Non per tutti è uguale ma molto spesso la comparsa dei sintomi è improvvisa e inaspettata. Comunque mi sveglio, controllo di stare bene e poi, a differenza di altri, devo andare a lavoro. La mia professione di infermiera non è facile e spesso viene sottovalutata, ma va bene così, a me piace. In questo periodo, però, ammetto che mi piace un po’ meno: non solo perché mi sono saltate le ferie che aspettavo con ansia o perché lavoro più di prima, ma perché è diventato più difficile, imprevedibile e diverso. Avere a che fare con i colleghi, come me, spaventati, nervosi, sempre in allerta… Avere a che fare coi pazienti instabili, critici, vulnerabili… E avere a che fare coi familiari lontani e impotenti… è un carico emotivo che non ero pronta a sostenere e non lo sono tuttora che lo devo fare per forza. Provo un senso di inadeguatezza di fronte a questa particolare polmonite, di fronte ai pazienti e alle loro famiglie. Non è un problema portare camici, mascherine, visiere, mi va bene. Il problema è riuscire a gestire questa disgrazia Covid-19 e riuscire ad essere il filo connettore tra pazienti e familiari, a cui vorresti dare forza, ma dopo quello che vedi e vivi di forza non ne hai. Ai pazienti, prima di essere intubati, cerchiamo di far pensare alla famiglia, ad una bella esperienza, ad un viaggio, perché devono addormentarsi pensando che hanno uno o più motivi per combattere e guarire.
Questo, comunque, è un problema che non tocca chi non lavora in ospedale.
Noi sanitari, fuori dal lavoro, non abbiamo modo di sfogarci ma dobbiamo, giustamente, correre a casa. Dopo tanto stress vissuto in ospedale rientri dalla tua famiglia accompagnato dall’ansia che non ti abbandona perché cominci a sperare che non succeda anche a te e ai tuoi familiari.
Pensi e ripensi a come ti sei vestito e svestito, sperando di non aver fatto errori, di non esserti portato dietro la bestia. Non puoi e non vuoi vedere parenti e amici per paura che un piccolo sbaglio possa infettarli. Hai paura anche di andare a fare la spesa perché se per caso hai fatto un piccolo errore a lavoro potresti condannare una cassiera e la sua famiglia. Scusate lo sfogo… E’ che pagherei oro per dover restare a casa e poter evitare tutto quello che sto vivendo in cambio di divano, popcorn e serie Tv, vorrei non dover avere la preoccupazione di poter mettere in pericolo chi vive con me, i sensi di colpa sarebbero ingestibili. Anche perché non è vero che prende solo anziani o quelli già malati, credetemi, prende anche i giovani e i sani.
Io vorrei tanto tornare a casa, a trovare i miei genitori, i miei fratelli, i miei parenti, il mio canino e vedere il mare… Non avete idea di quanto mi manchi il mare… Vorrei che una libecciata portasse via questo incubo e lasciasse posto a un bel tramonto e potermelo godere magari da Calafuria… Ma non è così… Sono quassù, cercando di fare il meglio per i miei pazienti, le loro famiglie, me stessa e la mia di famiglia.. Questo deve finire presto perché vivere nel pandemonio è difficile, quindi fatevi invidiare da noi sanitari e state in casa anche perché, egoisticamente parlando, prima finisce e prima posso tornare nella mia Livorno”.

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