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Vi spiego la “mia” pragmatica della difesa personale

Mercoledì 27 Settembre 2017 — 12:29

Nei secoli scorsi lo scontro fisico era una prevedibile “consecutio” dell’offesa verbale: i contendenti si sfidavano sovente ove ritenessero di essere stati offesi verbalmente. Tale scontro fisico assumeva frequentemente le sembianze di un duello, con o senza l’uso delle armi, nel quale l’avversario veniva sottomesso, sconfitto e, non di rado, ucciso. Solamente in epoca più moderna sono state introdotte norme di legge più stringenti e risolutamente punitive contro i comportamenti che sfociano in violenza fisica e/o verbale, tendenti a favorire la tutela della persona, con particolare attenzione alle categorie più deboli (donne, bambini, anziani, ECC). Nonostante ciò, numerosi eventi malavitosi, accadimenti terroristici nonché fattori sociologici hanno alterato profondamente il nostro modo di vivere costringendoci ad innalzare il livello di attenzione ed approcciare il quotidiano con maggior cautela. Purtroppo, complice una crescita esponenziale della violenza e delle aggressioni in genere, le Forze dell’Ordine non appaiono sufficienti a contenere i fenomeni malavitosi: sempre più spesso aleggia quel senso di impotenza e, conseguentemente, il timore che, un giorno o l’altro, potremmo essere noi le vittime predestinate di una rapina, di uno scippo, di un’aggressione cruenta, di una inevitabile minaccia o, molto spesso, in ambito femminile, addirittura di uno stupro.

In questo ambito le iniziative da intraprendere si orientano frequentemente verso l’approccio ad un corso di difesa personale. Opportuno è sfatare il luogo comune che per difendersi occorra esclusivamente “menar le mani” e che vincitore sarà colui che è fisicamente più forte. Certamente essere fisicamente prestante rappresenta un innegabile vantaggio ma, differentemente a quanto si possa pensare, non è determinante per il buon esito di uno scontro fisico, soprattutto quando non ci sono precise regole finalizzate al rispetto dell’avversario. Gli assunti della Difesa Personale efficace trattano argomenti quali “dissuasione verbale”, “training autogeno psicofisiologico” volto al controllo dello stress e delle emozioni, psicologia dell’aggressore, valutazione effettiva del grado di pericolo, preparazione fisica allo scopo di render “tonica” la muscolatura e, naturalmente, la conoscenza delle tecniche difensive di base che, talvolta, prescindono dall’impiego della “forza bruta”, piuttosto enfatizzando all’unisono l’arte della cedevolezza e la reattività in termini di riflessi volontari e pure gesti istintivi. L’efficienza nell’utilizzo della Difesa Personale si evince dalla capacità di persuadere l’aggressore del fatto che non siamo disposti a rappresentare la sua vittima predestinata e quindi possedere un approccio tattico tale da trasmettere il messaggio inequivocabile che “venderemo cara la pelle”.

In questo contesto una Difesa Personale efficiente non significa necessariamente aver la meglio in termini di “puro combattimento” bensì individuare una o più soluzioni tendenti a farci rimanere incolumi o quantomeno limitare i danni derivanti dallo scontro fisico. Prevenzione del possibile scenario, che sia in ambiente chiuso (indoor) o aperto (outdoor) ed alcune strategie compatibili con l’attacco dell’avversario (o in casi particolari più avversari) che ci troveremo di fronte, rappresentano indubbiamente la “chiave di volta” per affrontare coscientemente l’aggressione ed aumentare le chance di successo. Le arti marziali e, ad onor del vero, in generale gli “sport da combattimento” di nuova concezione, contribuiscono concretamente alla “forma mentis” difensiva in caso di scontro fisico parziale o completo. È bene precisare che, in tempi moderni, il combattimento non ha la stessa essenza di quello effettuato in altre epoche quando concetti come lealtà ed onore erano intrinseche al duello.
Oggigiorno lo scontro fisico propone elevati livelli di imprevedibilità in quanto certi valori sono latenti o, per alcune specifiche comunità o singoli individui, quasi inesistenti. Ogni qualvolta si affronta l’argomento della difesa legittima é obbligo trattare gli aspetti legali che attengono al diritto di salvaguardare la nostra incolumità: il rischio é quello di trovarsi “dalla parte del torto” nonostante la legge vigente garantisca in qualche modo il diritto all’autodifesa. In Italia, come in altri Paesi, la giurisprudenza pone dei limiti alla reazione di fronte ad una minaccia, nel rispetto del principio della “proporzionalità” nell’uso della forza e delle armi, dimostrare che le ragioni erano più che motivate (caso tipico il difendere altre persone più deboli). Per questo motivo hanno valenza assunti quali la persuasione verbale finalizzata ad evitare lo scontro, la lettura e la reiterazione dei cosiddetti “messaggi non verbali” trasmessi con la postura o i gesti, il controllo delle emozioni nelle situazioni di stress tipica di ogni singola aggressione e, da non sottovalutare, l’individuazione di possibili vie di fuga.

Le arti marziali e gli sport da combattimento in genere hanno la finalità di preparare l’individuo a fronteggiare scenari ove lo scontro fisico diviene assolutamente inevitabile. Coadiuvando il costante allenamento fisico allo studio di strategie di combattimento e tecniche che, col tempo, tendono ad evolversi divenendo raffinate e variegate, si raggiunge l’intento di far acquisire all’allievo un discreto grado di autostima e buona reattività tale da ottimizzare una tangibile difesa efficace. Le arti marziali tradizionali (giapponesi, cinesi, filippine, tailandesi, brasiliane, ECC) utilizzate nella difesa “da strada” si prefiggono l’obiettivo culmine della vittoria sull’avversario e aggressore, infliggendogli un discreto danno fisico in modo tale che non possa replicare un nuovo attacco. Specificatamente alcune arti marziali (in particolare judo, ju-jitsu, aikido ed affini) basano già, in fase propedeutica d’insegnamento, tecniche che limitano l’effetto “distruttivo” attraverso un efficace controllo che cagiona dolore all’avversario, neutralizzandolo. Queste particolari tecniche di “contenimento” sono palesemente allineate con l’articolo 52 del Codice Penale Italiano (Difesa Legittima) e molto spesso sono quelle applicate dalle Forze dell’Ordine. In certi casi é possibile imbattersi nei limiti settoriali che certi sport da combattimento manifestano: esaminare solo parzialmente determinati attacchi o reazioni standard, senza badare alla realtà ovvero limitarsi a simulare tecniche codificate, colpi prevedibili, vanifica gli auspicati benefici della Difesa Personale. Per strada (come pure in ambiente chiuso) niente può essere lasciato al caso poiché le dinamiche sono molteplici, inesauribili: si può lottare in piedi ma anche continuare cadendo al suolo, l’ambiente potrebbe essere ristretto (spazi ridotti) con accentuate difficoltà di movimento, i colpi potrebbero essere “sporchi” o tirati con l’ausilio di qualche oggetto contundente oppure l’avversario potrebbe avere un compare e/o un complice pronto a sua volta ad intervenire nello scontro fisico.

In questo ambito, purtroppo, vi sono scuole o in qualche caso vere e proprie “federazioni satellite” che millantano risultati eccellenti con tecniche approssimative e di dubbio realismo, propagandando una preparazione totale alla Difesa Personale nel giro di poche settimane, di weekend in full immersion o, al massimo, in qualche mese con allenamenti saltuari o sovente facendo del materiale didattico l’essenza del sapere del guerriero moderno. Maestri o istruttori incapaci o, se non peggio, senza scrupoli, che fanno del business il loro unico obiettivo. Fiducia nella persona sbagliata, oltre a creare false attese nel principiante, può sfociare in un’inutile perdita di tempo, denaro e, non ultimo, amplificare il rischio di seri infortuni in allenamento. Una Difesa Personale efficace non significa necessariamente conoscere qualche “mossa” (tecnica) di un qualsiasi sport da combattimento moderno o saper destreggiarsi esclusivamente sopra “un ring o un tatami”: seppur cruento, il combattimento avrà comunque delle protezioni minime (ad esempio i guantoni o il caschetto o il paradenti e conchiglia parapube) e spesso delle necessarie regole di condotta a tutela dell’incolumità degli allievi della palestra.

L’azione di una difesa “da strada” non può prescindere, per così dire, dalla globalità: deve prendere in esame traiettorie di colpi non sempre comuni, talvolta illeciti, l’utilizzo di tecniche istintive portate con tutti gli arti (geometrie dei colpi), gli strangolamenti ed i colpi inferti con la testa, l’uso di armi o anche oggetti di fortuna, la conoscenza della motricità e della biomeccanica del corpo umano. Inoltre è opportuno creare, già in fase di allenamento, ambienti simulati e scenari di combattimento reali, contemplando anche differenze fisiche tra praticanti e confrontarsi con diversi bagagli tecnici. Esempio tipico nell’insegnamento della difesa personale alle donne: la pratica corretta per innalzare l’autostima consiste nell’inserire, gradualmente, allenamenti oltre che con l’istruttore, con dei partner di sesso maschile in quanto l’uomo è generalmente più forte della donna. Ciò implica adeguatezza e praticità nei movimenti, l’uso coerente della forza e, indubbiamente, un dignitoso approccio psicologico (controllo dell’ansia e del timore). Una valida Difesa Personale quindi, oltre a rappresentare un proficuo supporto fisico e mentale di “self control” può disciplinare positivamente un potenziale scontro fisico, a patto che non si prescinda dalla cosciente consapevolezza di effettuare un percorso di crescita costante, spaziando nella conoscenza non esclusiva di una singola arte marziale ma di un mix di sport da combattimento, avendone una discreta padronanza allo scopo di ridurre al minimo l’imprevedibilità insita nelle aggressioni dei tempi moderni.

David Roggi

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