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Bancarotta, in 3 nei guai: maxi sequestro

Giovedì 3 Novembre 2016 — 09:23

Indagati due coniugi. Requisite dalla Finanza merce, attrezzature varie e un marchio per il valore di 400mila euro. Appurate distrazioni di beni per circa un milione di euro

All’alba di giovedì 3 novembre, i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza, emessa dal G.I.P. del locale Tribunale, dott. Ottavio Mosti,  di applicazione della misura cautelare personale nei confronti di tre persone (tutte residenti a Livorno), di cui una sottoposta agli arresti domiciliari e due destinatarie del divieto di esercitare qualsiasi attività d’impresa (rispettivamente, per un periodo di dodici e sei mesi), ritenute responsabili, a vario titolo, per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale e societaria.

L’indagine della Procura della Repubblica di Livorno (pubblico ministero Daniele Rosa)  svolta da personale del Nucleo di Polizia Tributaria mediante analisi documentali, accertamenti bancari e mirate perquisizioni domiciliari – ha avuto origine nel 2015 a seguito delle indagini condotte su due soggetti giuridici operanti nella città di Livorno nel settore del commercio di abbigliamento e attrezzature sportive.

L’ISOLA DI MALTA

Tali società sono state dichiarate fallite dal Tribunale di Livorno con sentenze del 2 aprile e 3 dicembre 2014, a fronte di un’esposizione debitoria complessiva per un milione di euro, tra cui debiti tributari pari a circa 300 mila euro. Più in dettaglio, il primo fallimento fa riferimento ad una società, attiva nel capoluogo labronico con tre punti vendita, anche nel centro cittadino, che, nel corso dei dieci anni di operatività, ha cambiato più volte soci e  amministratori: ciò è avvenuto, in particolare, nell’ultimo periodo di attività, allorquando, per tentare di schivare responsabilità di natura penale in seno ad una gestione commerciale in piena decozione, sono stati nominati, come socio e liquidatore, due prestanome, ossia una donna rumena di 35 anni (allo stato irreperibile) e un soggetto sessantenne di Viareggio – cui, nel tempo, sono risultate intestate ben sette società – che ha ricoperto tale carica a fronte di un compenso di 1.000 euro. In questo contesto, l’Autorità Giudiziaria ha contestato ai tre destinatari dei provvedimenti cautelari, quali soci e consiglieri di amministrazione pro tempore, e ad un quarto soggetto (quale socio, anch’egli indagato) la distrazione di beni merce per un valore di 700 mila euro, oltre all’omessa tenuta di parte di libri e registri contabili che hanno reso impossibile (a tutela del ceto creditorio) la ricostruzione del patrimonio e dei movimenti degli affari.

Il secondo fallimento riguarda, invece, un’ulteriore società, che gestiva un negozio di articoli sportivi ubicato sempre a Livorno, attivo fin dagli anni ottanta, e ha visto il coinvolgimento di una coppia di coniugi già indagati nell’ambito dell’altro fallimento, con il concorso di una terza persona esterna alla cerchia familiare, ugualmente indagata. In questa circostanza, le investigazioni hanno appurato che, per sfuggire ai creditori e alle connesse implicazioni penali, vi è stata la costituzione, nel 2012, di un soggetto giuridico di diritto maltese che ha proseguito la medesima attività commerciale della fallita nello stesso punto vendita. La società maltese fa solo formalmente capo ad un prestanome (di origini italiane, iscritto all’AIRE) che si avvale sul territorio livornese dell’attività di un procuratore, originario del Kazakistan, prima dipendente della società decotta.

Tuttavia, le indagini hanno appurato come il soggetto livornese, oggi tratto in arresto, abbia rappresentato il vero amministratore di fatto anche della nuova società, di cui aveva collocato fittiziamente la residenza fiscale a Malta, senza presentare in Italia le relative dichiarazioni dei redditi, come invece avrebbe dovuto fare, essendovi nel territorio labronico sia il luogo d’esercizio d’impresa che l’effettiva gestione e direzione amministrativa del soggetto giuridico. In tale contesto, è stata accertata una condotta di distrazione del marchio d’impresa, regolarmente depositato dalla società fallita nel 2005 presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi del Ministero dello Sviluppo Economico; tale marchio è ora utilizzato (con lo stesso logo ed insegna) dal nuovo soggetto giuridico maltese, acquisito, di fatto, sulla base di una cessione a titolo gratuito, pur a fronte di un valore contabile di circa 240 mila euro, rappresentativo dell’avviamento di un’azienda storica attiva sul mercato da oltre 35 anni.

I due coniugi sono indagati, inoltre, per fattispecie  di bancarotta fraudolenta societaria per aver indicato in bilancio, per un periodo di cinque anni (dal 2007 al 2012), una posta attiva fittizia pari ad oltre 300 mila euro, ingannando i terzi ed evitando ai soci stessi esborsi finanziari per il ripianamento delle perdite ovvero l’avvio delle procedure di liquidazione della società. Per evitare la reiterazione del reato e garantire i creditori danneggiati, il gip, oltre alle tre misure cautelari personali, ha disposto, altresì, su richiesta della Procura della Repubblica, che annette assoluto rilievo alle misure ablative dei patrimoni, il sequestro preventivo del marchio, delle quote, dei beni e delle attrezzature della società attualmente attiva, eseguito in data odierna, il cui valore può essere stimato intorno ai 400 mila euro.

Il Pubblico Ministero, per consentire la prosecuzione dell’attività commerciale e salvaguardare gli interessi dei lavoratori, provvederà all’immediata nomina di un amministratore giudiziario. Parallelamente, sotto il profilo fiscale, è stata constatata, per gli anni 2013 e 2014, in capo al soggetto giuridico ritenuto “esterovestito”, l’omessa dichiarazione dei redditi in Italia, con la segnalazione all’Agenzia delle Entrate di un’imposta evasa pari a circa € 70.000.

Si è proceduto, infine, nel medesimo ambito investigativo, a contestare, nei confronti di un professionista, l’omessa segnalazione di operazioni sospette per circa 1,7 milioni di euro, in quanto lo stesso, sottoposto per legge agli obblighi antiriciclaggio, avrebbe dovuto segnalarle – in ragione degli elementi informativi in proprio possesso – all’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia, anche per consentire agli organi investigativi di avviare celermente le successive attività d’indagine (la sanzione amministrativa che potrà essere irrogata va dall’1 al 40% del valore delle operazioni non segnalate).

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