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“Io, vigile del fuoco, con Maya tra le macerie del ponte Morandi”

Giovedì 16 Agosto 2018 — 19:51

Parla Benedetto Catania, 59 anni, funzionario livornese dei vigili del fuoco e padrone del cane-pompiere: "Una catastrofe hollywoodiana simile solo all'albergo di Rigopiano". Assieme a Catania, da Livorno, anche il vigile del fuoco Ilio Donnini con il suo border collie Ombra

Se Maya potesse parlare direbbe di essersela vista brutta questa volta. Direbbe pure che neanche Amatrice o Rigopiano l’avevano messa così alla prova. “I cani hanno rischiato la vita più di noi. Si sono trovati a lavorare in un ammasso di tondini di ferro come lance puntate sui loro corpi. Maya, labrador miele di 7 anni, come gli altri 43 cani-pompiere impegnati su e giù tra le macerie poteva rimanere infilzata in qualsiasi momento”. Benedetto Catania, 59 anni, livornese, è il padrone di Maya, nonché funzionario dei vigili del fuoco e una delle 43 unità cinofile del Corpo impegnate a Genova (assieme a Catania, da Livorno, anche il vigile del fuoco Ilio Donnini con il suo border collie Ombra). In 37 anni di servizio, uno scenario come quello del ponte Morandi (foto Fausto Pianigiani) Catania lo paragona solo all’albergo di Rigopiano. “E dobbiamo tener presente – racconta raggiunto telefonicamente il 16 agosto sera – che sebbene la slavina avesse spostato l’albergo di decine di metri potevamo contare sulla piantina per capire da dove entrare e come operare. Nel caso di Genova, in questo senso, eravamo totalmente al buio. Noi e i cani. Non sapendo neppure quante persone fossero coinvolte”.
Chiamato a partire poche ore dopo il crollo, intorno alle 15 del 14 agosto Catania e Maya erano già sul posto. “Si immagini un uragano che di colpo spazza via tutto ciò che incontra. Da lontano o dalla tv i piloni sembrano stecchini da denti ma da vicino in realtà sono tre metri per tre. Pensare che siano venuti giù come un castello di carta ti fa capire di essere di fronte ad una catastrofe immane, da film, hollywoodiana come l’ho definita io, dove un uragano appunto distrugge come nulla tutto quanto. Nella sua piccolezza, intesa come raggio di azione, la devastazione non riesco a paragonarla neanche ad un terremoto”. Catania e Maya hanno operato sul greto del fiume (quattro i siti operativi: quello vicino al capannone, quello nei pressi del fiume, quello sotto alla macchina sospesa e il quarto verso la ferrovia dall’altro lato del ponte. “Uno dei 43 cani si è ferito ma per fortuna avevamo due veterinari a disposizione”. Il compito di Maya e dei colleghi a quattro zampe era ed è quello di cercare vite. La ricerca si è ripetuta a turni di 2 ore per 24 ore continuative: in pratica vuol dire che vi erano 8 cani che operavano in contemporanea sui 4 siti dandosi il cambio ogni due ore. Il cane lavora per circa 20-30 minuti. “I feriti sono stati soccorsi e estratti, seppure in condizioni critiche, tutti quanti da luoghi in cui non risultavano completamente coperti alla vista. Nessuno di loro ha abbaiato”. Abbaiando si ha la certezza che lì sotto ci sia una persona viva. L’altro segnale che può mandare il cane-pompiere è quello di girare intorno ad uno stesso punto magari attirato da un odore particolare. Tuttavia, quest’ultimo segnale viene considerato un “falso positivo”: sta al team leader Usar, dopo ulteriori verifiche, tenerne di conto per dare inizio alle ricerche da un punto preciso. “Abbiamo operato in uno scenario critico – chiude Catania – che però, fatemi dire, ha tirato fuori ancor di più tutta la capacità operativa e le alte professionalità di tutto il Corpo, uomini e animali compresi”. Maya, in chiusura di articolo, confermerebbe le parole del proprio padrone-amico. E direbbe pure che sarebbe pronta a ripartire già domani per salvare delle vite umane.

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