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Chiude lo storico bar del liceo Enriques

Venerdì 25 Ottobre 2019 — 12:39

La titolare: "A gennaio avevamo festeggiato 20 anni di attività ma sapevamo che sarebbe stata l'ultima stagione. Era un impegno diventato ormai insostenibile"

di Giacomo Niccolini

Quante sigarette nervose fumate di stizza, sotto a quella tenda amaranto, in attesa della prima campanella delle 8,30. Quante rincorse su quei tavolini con i quaderni di appunti aperti alle 7,30 del mattino per ripassare prima dei compiti in classe. Le saracinesche imbrattate di amori sporcati di spray, di lotte contro il sistema, di rivoluzioni andate male e gridate peggio, sono solo il triste specchio di un simbolo che non c’è più. Lo storico bar del liceo Enriques, che prendeva il nome dall’omonimo istituto in via della Bassata, ha chiuso i battenti. Niente più schiacciatine cotto e fontina e palline bianche di biliardino che rimbombano nella saletta prima di un’interrogazione. La titolare, Silvia Riso, ha detto stop a fine giugno in concomitanza con la fine dell’anno scolastico 2018/19. “Per me è stato un grosso dispiacere fermare l’attività – spiega Riso raggiunta al telefono da QuiLivorno.it – E’ stata una scelta sofferta ma non ce la facevo più ad andare avanti. Dietro al banco avevo una ragazza che mi dava una mano e i miei genitori, ma i ritmi erano sempre più alti e i costi sempre maggiori. E’ molto difficile portare avanti un’attività commerciale in questo Paese oggi come oggi. Le cose sono cambiate rispetto a qualche anno fa”.
Silvia aveva 21 anni quando, nel 1999, rilevò la gestione del bar. “A gennaio abbiamo festeggiato i 20 anni di attività – continua Riso – ma sapevamo che sarebbe stata l’ultima stagione. Adesso faccio la mamma. Mi mancherà il bar, ci sono cresciuta, sono diventata donna e madre. Adesso mi occupo dei miei figli. Il 30 giugno ho riconsegnato le chiavi al proprietario del fondo e ho svenduto quello che c’era rimasto dentro, compreso ahimè, il biliardino e il videogioco del calcio. Mi mancheranno i volti degli studenti. Ma non potevo fare altrimenti”.
Dagli uffici amministrativi del liceo scientifico Enriques fanno sapere che il 31 dicembre 2019 scadrà il contratto per i distributori di merende installati dentro l’istituto e che a breve sarà fatto un nuovo bando (che verrà pubblicato sul sito della scuola) sia per le “macchinette” dunque, che per lo “spaccio” delle merende fresche all’interno del liceo.
Nel frattempo rimangono i ricordi. Quel “non luogo” che univa tutti gli alunni, dalla prima alla quinta liceo in una “comune” surreale. L’ultima casa accogliente degli studenti prima di affrontare un esame o il luogo dove sfogare la tensione svagandosi con un videogioco o con due chiacchiere lontane da orecchie indiscrete. Il bar dell’Enriques non c’è più. Rimangono le risate e le preoccupazioni che quelle mura hanno ascoltato. Rimangono i baci rubati sotto a quella tenda mentre fuori pioveva. Rimangono le fughe di nascosto per comprare una schiacciatina durante una pausa. Con lui se ne va un pezzo dell’adolescenza di molti studenti livornesi.

Il ricordo del caporedattore Giacomo Niccolini – “Arrivavo sempre una mezz’ora prima della prima campanella. Cavalcavo il motorino rigorosamente senza casco perché faceva figo (ai tempi si poteva fare). Parcheggiavo in strada o nel parcheggio riservato qualche metro prima dell’ingresso della scuola. Non importa se pioveva, non importa se c’era il sole. Motorino, parcheggio e poi… barrino. Inevitabile come la Gazzetta dello Sport che leggevo su quel bancone il lunedì mattina. Primo step, caffè d’ordinanza. “Ciao Silvia, il solito al vetro per favore”. Deglutito in un amen con palato d’amianto, partiva il rito laico della sigaretta. I primi tempi (quando ancora era consentito dalla legge) si fumava tutti nella saletta dietro, rigorosamente senza farsi vedere da occhi indiscreti. Poi, con il passare delle stagioni, baldanzosi, fuori, in strada. Piede appoggiato al muro. E occhi a sfidare il “mostro” che apriva le sue fauci davanti a te mentre sdragavi fumo di Camel Light. Nello zaino la mitica cotto e salsa rosa, oppure tonno e maionese. Ricordi di gusti adesso vietati dalle regole per la sana alimentazione. Eppure, eccoci qua che raccontiamo, mi verrebbe da dire. Poi l’ultima campanella. E ancora lì per le ultime chiacchiere prima di tornare verso i nidi, prima di sedersi davanti alla pasta al ragù di mamma. E i rientri pomeridiani, le assemblee. Sempre lì, lì in quel bar. I primi baci, noi che zuppi dopo un’acquazzone ci riparavamo in quelle fredde luci al neon che ti svegliavano una volta per tutte e ti levavano definitivamente le coperte di dosso in quei freddi febbrai. E le mitiche sfide al giochino del calcio. Era lì che potevi far vedere ai ragazzi di quinta quanto valevi. E se vincevi la frase era d’obbligo: “Oggi ti faccio mangiare uno struzzo”. Che poi questo struzzo mica ho mai capito cos’era. Però a quei grandiglioni qualche volta gliel’ho fatto mangiare davvero vincendo per 2 a 1 all’ultimo secondo. “Silvia il solito per favore, fammi un altro caffè  che oggi non ce la posso fare”. Ciao barrinodellenriques da scrivere e leggere tutto attaccato. Perché per noi non eri solo un bar, eri il nostro Peach Pit e noi ci sentivamo un po’ come Brandon e Dylan in una Beverly Hills tutta labronica in formato anni ’90. Anche grazie a te”.

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