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Diego scopre il Parkinson a 35 anni. “Nel male, Mr. P. mi ha insegnato ad assaporare ogni momento della vita”

Sabato 11 Novembre 2023 — 09:40

Nel 2020 i primi sintomi. Nella primavera successiva la diagnosi che, in un primo momento ti stende. Diego Vanni, classe 1985, colligiano, ha deciso di non nascondere più la sua malattia ma, anzi, di lanciare un messaggio di speranza e forza. "All'inizio avevo paura solo a pronunciare il suo nome. La chiamavo Mr. P. Voglio essere chiaro ed inequivoco: il Parkinson è una malattia grave, una cosa molto seria e negativa. Ma, ciò detto, può insegnare delle cose positive. In me ha aumentato l'empatia: sperimentare la sofferenza su me stesso mi ha portato ad empatizzare con gli altri. Ecco il progetto benefico che ho in mente, unitevi a me!"

di Giacomo Niccolini

A 35 anni, i primi sintomi. A 36 anni la conferma: ti dicono che hai il Parkinson. Una malattia neurodegenerativa dalla quale, al momento, non si guarisce. La si può tenere a bada grazie alla scienza, grazie alla medicina. Al guinzaglio come una brutta bestia. Ma il nome lo dice da solo… degenerativa. Una tenaglia ti strizza lo stomaco. Forte. Fai fatica a deglutire. I dubbi che avevi su tutti i sintomi provati negli ultimi mesi si fanno, in un attimo, terribilmente verità. La diagnosi arriva in una fase della vita in cui hai il mondo in mano. E si fa tutto più difficile. Sembra quasi una montagna. Diego Vanni, amico in primis e collega giornalista, direttore di Collenews.it-quotidiano online del territorio colligiano, ci ha messo 2 anni e qualche mese da quella diagnosi ricevuta per “uscire fuori”, per fare il suo personale coming out. Lo ha fatto prima sulla sua pagina Facebook dove è stato sommerso di abbracci, se pur virtuali, di tantissimi amici. Poi lo ha voluto fare su QuiLivorno.it. “Non devo vergognarmi, anzi, il mio vuole essere un esempio e un messaggio di speranza. All’inizio avevo paura solo a pronunciare il suo nome, il nome della malattia. Lo chiamavo Mr. P. Mi sembrava più accettabile”, ha detto alla nostra redazione.
Ho la malattia di Parkinson ha scritto qualche giorno fa Diego sul social network rendendo a conoscenza del suo problema i suoi amici – Tanti di voi avranno notato i sintomi, per cui ha poco senso nascondere ciò che peraltro non c’è nessuna ragione di nascondere. Il mio entusiasmo e la mia passione per la vita non sono calati di un milligrammo. Amo la vita come l’amavo prima, anzi, se possibile, ancora di più: riuscendo ad apprezzarne ogni istante. Questo mi ha insegnato la malattia. Vedo questo bicchiere mezzo pieno, non mi concentro su quello mezzo vuoto, nonostante le enormi difficoltà. Non ho perso l’ironia né l’ autoironia, non ho perso il sorriso. Scherzo su me stesso (come ho sempre fatto) e, ora, anche sulla malattia. Sono grato a Dio, alla mia famiglia e a tutte le persone che mi amano. Se posso: non vi vergognate delle vostre malattie e debolezze, siamo fragili. Solo la meschinità, la miseria umana, la crudeltà, l’assenza di empatia, etc… sono motivo di vergogna: una malattia non lo è davvero”.
Un messaggio coraggioso, un atto  non scontato che mette Diego sotto i riflettori. Allora la domanda, la prima che gli facciamo è perché un gesto simile?
“Sono due le motivazioni principali. Per me e per gli altri. Innanzitutto è stata una decisione maturata nel tempo e non certo immediata. Per me è stato poi molto liberatorio, come quando togli un peso. Una liberazione, un venir fuori. Mi sono detto: il Parkinson è una patologia plurisintomatica: bradicinesia, tremore, disturbi del cammino e del movimento e quindi una cosa ben visibile. E quindi mi sono chiesto, perché ogni volta che io cammino per la strada, per il paese di Guasticce dove vivo, devo nascondere il tremore, o devo fermarmi per non far vedere che ho dei problemi di deambulazione? No, questo non deve più succedere, non è vita. Ho il Parkinson e non mi devo vergognare di essere malato. Faccio questo coming out rendo pubblica la mia malattia e di conseguenza sono libero di camminare male, di tremare, di essere lento”.
E per gli altri? Perché hai deciso di esporti anche per chi ti legge o chi magari non ti conosce così bene?
“Ho sperimentato sulla mia pelle questa patologia. Ci sono momenti terribili e molto difficili soprattutto a ridosso della diagnosi, ora credo di averla metabolizzata molto bene rispetto a due anni fa, e ho voluto rendere pubblica la mia malattia per dare un messaggio di speranza. Badate bene, io non voglio insegnare niente ma rendere partecipi gli altri di quel che sto vivendo io in modo da poter far capire che queste cose possono capitare anche in giovane età. I primi momenti sono molto difficili soprattutto da un punto di vista psicologico. E tutto questo può portare un circolo di pensieri negativi. E uno dei motivi per cui ho deciso di parlare è per dire alle persone che hanno ricevuto questa diagnosi che è possibile combattere questo pensiero negativo. Grazie anche alle medicine che danno benefici sia sul piano motorio ma anche sul piano psicologico. Ma non solo”.
Quali sono i tuoi consigli per affrontare al meglio questo percorso?
“Prima di tutto affidatevi al vostro medico, a specialisti neurologi, alla scienza. Non fate autodiagnosi o autocure. Sono cose molto delicate e serie e solo con la medicina si può combattere questa malattia. Mi raccomando: il neurologo, il neurologo! Lui è il vostro principale alleato ed amico. Il Parkinson è il fuoco; non scherziamo col fuoco! Fondamentale cercare poi di fare un lavoro con se stessi per cercare di trovare un circuito di pensiero positivo”.
Tu come fai ad esempio?
“Mi tengo impegnato. Cerco di avere moltissime attività. A partire dallo sport, per quello che posso fare, come il nuoto, le camminate, il nordic walking fino alle attività ricreative e alle mie passioni: la musica lirica, la scrittura e le amicizie. Stare a sedere sulla sedia e dire cavolo, ho il Parkinson e adesso? non risolve niente. Tenere la mente e il corpo sempre occupati per non pensare alla malattia. Questo è uno dei rimedi, per ciò che uno riesce, naturalmente”.
Fare coming out ti ha dato molto da un punto di vista affettivo. È così?
“Tantissimo. Ci sono stati tantissimi commenti di amici e conoscenti sotto al mio post Facebook che mi hanno dato davvero tanta forza. E poi ho una famiglia e un gruppo di amici fantastici con i quali condivido tutto e che non mi hanno mai abbandonato e che mi stanno vicino in questo momento. Questo è fondamentale. Avere gli affetti accanto e ben stretti è una chiave di volta importante”.
Come ti sei accorto di essere malato?
“Era l’estate del 2020. Mi resi conto di avere un ritardo tra volontà e azione. Volevo aprire uno stipetto mentre ero all’acquapark con gli amici. Ma il mio braccio si muoveva molto, molto lentamente. Poi qualche mese dopo caddi di scooter. Ma anche lì feci finta di niente. Infine i tremori si scatenarono di brutto dopo un’ustione che ho avuto a contatto con dell’acqua calda. Presi il coraggio a due mani e decisi di farmi visitare anche se in cuor mio, mi immaginavo già di cosa si trattasse.. Da lì, a poche settimane, dopo diverse indagini, arrivò la diagnosi”.
Hai detto nel tuo post che non hai perso la tua ironia e la tua autoironia…
“Si è vero. Spesso scherzo io in primis sulla mia malattia. Come quando mi chiedono mi porti un caffè? Io gli rispondo: ok, però sappi che ti arriverà un po’ shakerato. Oppure quando sono in piscina e mi chiedono: questa è la corsia veloce? Io rispondo: se fosse quella veloce, di certo non sarei qui. Credo che ridere sia fondamentale. Non perdere la voglia di farlo. È un’arma potentissima. E vedere, se uno ci riesce, il lato positivo della malattia…”
In che senso?
“Parlo della mia esperienza. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, ribaltando la prospettiva, la malattia mi ha insegnato ad assaporare tutti i momenti della vita. Quello che prima davo per scontato, adesso non lo è più”.
Spiegati meglio…
“La diretta conseguenza è che riesco a gustarmi davvero con gioia ogni momento. Il pensare che è una malattia a progressione può far portare il malato ad un bivio: accidenti sono spacciato, oppure ne prendo atto, faccio quello che posso fare per star bene e, al contempo, proprio perché so che è una malattia che va a peggiorare cerco di godermi la vita il più possibile e fare di tutto per assaporare il presente e l’immediato futuro. Ecco io ho scelto questa strada”.
Una strada che, se non abbiamo capito male, ti ha aiutato, paradossalmente, a ribaltare la prospettiva. ..
“Esatto, proprio così. Voglio essere chiaro ed inequivoco: il Parkinson è una malattia grave, una cosa molto seria e negativa. Ma, ciò detto, può insegnare delle cose positive. A me ha aumentato l’empatia: sperimentare la sofferenza su me stesso mi ha portato ad empatizzare con gli altri. Ho così in programma di fondare un’associazione per la raccolta di cibo per le persone bisognose e gli animali bisognosi e sfrutto l’occasione della gentile ospitalità degli amici e colleghi di QuiLivorno.it per lanciare un appello a tutti voi ad unirsi a me e ad altri amici per dar vita a questo bel progetto”.

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