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“Il letto galleggiava, per salvarci salimmo sul tetto”

Domenica 9 Settembre 2018 — 13:42

A un anno dalla tragica alluvione che ha colpito la nostra città, riviviamo tramite le parole di mamma Sara e babbo Manuel quei fatidici momenti di paura

di Carlotta Nigiotti

Era un sabato sera come tanti per Manuel Novi e Sara Fanucchi: una pizza con gli amici e dopo a casa per mettere a letto la piccola Maya, 5 mesi. Era sabato 9 settembre 2017 e purtroppo non fu un sabato sera come tanti.
A un anno dalla tragica alluvione che ha colpito la nostra città, riviviamo tramite le parole di mamma Sara e babbo Manuel quei fatidici momenti di paura.

Come vi siete accorti del disastro che stava accadendo?
“Alle 3:45 mi sono svegliata perché sentivo che pioveva forte e già altre volte l’acqua era entrata dal piatto doccia a causa delle fogne che non ricevono più. Così, dal letto ho messo una mano a terra e ho sentito che c’era dell’acqua. Ho svegliato il mio compagno e lui è uscito per capire che stesse accadendo, ma pioveva troppo forte, ed è rientrato in casa. Nel frattempo, si è svegliata Maya, che dormiva nel suo lettino. L’acqua era appena sopra il battiscopa; non ci stavamo preoccupando, pensavamo solo che qualche mobile si sarebbe sciupato. Abbiamo messo vari asciugamani su porte e finestre, ma l’acqua entrava lo stesso. Erano le 4:05 e dopo vari tentativi di telefonate, siamo riusciti a parlare coi Vigili del fuoco. Dissero che erano tutti occupati per varie emergenze e non sarebbero arrivati presto così ci consigliarono di mettere gli asciugamani alla porta. Abbiamo riattaccato il telefono e ci siamo messi ad aspettare. Ben presto è andata via la luce, abbiamo sentito dei rumori che sembravano provenire dal tetto, ci siamo riparati sotto un muro portante pensando che venisse giù il tetto a causa del peso della pioggia. Poi un rumore più forte. E poi la bomba d’acqua: ha strappato via la porta blindata, travolgendo Manuel e me con in braccio la bimba. La casa si è riempita di acqua mista a rami e fango. Non capivamo più nulla: la bimba piangeva e tutti i mobili ci venivano addosso. Era tutto buio e avevamo freddo; la luce dei lampi ci permetteva di vedere qualcosa. Nel giro di pochi secondi, il letto galleggiava accanto a noi. Il soffitto era l’unico posto asciutto: ho spogliato la bimba che era bagnata e piena di mota, l’ho asciugata e l’ho avvolta nuda con le federe dei cuscini che erano sul letto e decidemmo di salire sopra. Non sapevamo più che fare. L’acqua stava salendo, sotto di noi si vedeva la parte alta della portafinestra che dava sul nostro giardino così Manuel ha preso il primo oggetto che ha trovato e ha spaccato il vetro: fuori era un fiume di acqua e mota e noi non riuscivamo a sentirci dal rumore della corrente d’ acqua. È uscito, si è arrampicato sulla persiana con l’acqua che gli bagnava metà busto, mi ha passato una cima urlandomi di legare la bambina, ma non sapevo come fare, allora glielo ho passata dalla finestra. La corrente si faceva sempre più forte e spingeva fuori tutto quello che incontrava. Subito dopo sono uscita anche io e sono montata sulla persiana. Eravamo tutti e tre attaccati lì: abbiamo trovato riparo stando a contatto col muro della palazzina vicina e ho attaccato subito la bimba al seno per tenerla tranquilla e il più possibile al caldo. Non smetteva di piovere. I vicini di casa dall’altra parte ci lanciavano asciugamani e felpe, ma molte cose andavano via con la corrente mentre altre fortunatamente arrivavano. Non arrivò mai nessuno; in lontananza si vedevano i lampeggianti, ma di fatto in via Garzelli non arrivò nessuno. Dai nostri vicini abbiamo fatto chiamare i nostri genitori per rassicurarli che eravamo vivi sul tetto, ma loro erano ignari di tutto. Erano già le 6:30, sono arrivati i miei genitori coi miei suoceri e ci hanno tirato giù con una scala. Una nostra vicina ci ha accolti in casa e ci ha dato delle cose asciutte. Poi abbiamo raggiunto l’ambulanza facendoci strada tra la mota, ci portarono al Pronto Soccorso dove ancora nessuno aveva idea di cosa era successo… tranne noi”.

Qual è l’immagine che non riuscite a togliervi dagli occhi?
“Sono più di una le immagini che non mi tolgo dalla mente: i rumori della tettoia che si rompeva prima dello sfondamento della porta blindata, la faccia e il pianto di mia figlia quando siamo stati travolti dall’onda, i peluches di mia figlia che galleggiavano, le case attorno distrutte e la desolazione di quel posto…”.

Chi o cosa rimproverate?
“Rimproveriamo il fatto di non essere stati avvisati di salire ai piani alti per tempo, visto che già alle 3:00 i fiumi stavano salendo. Ci sono delle responsabilità e vorremmo che i responsabili venissero fuori; noi ci siamo salvati, abbiamo perso tutto quello che avevamo, compreso tanti ricordi, ma qualcuno ci ha rimesso la vita”.

E ora?
“Dopo l’alluvione che ci ha portato via l’intera casa, siamo stati un mese a casa dei miei genitori ma ora ci siamo sistemanti in affitto grazie a tante donazioni di amici e associazioni di volontariato e abbiamo ricominciato a vivere, a costruire una nuova vita. La casa in via Garzelli è inagibile. Non pensiamo più di tornare a vivere lì, un po’ perché la casa è troppo piccola ora che la bimba sta crescendo e un po’ per la paura che abbiamo avuto sebbene amassimo quella casa”.

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