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“La Lampara da Betta” spegne le luci. Dopo 51 anni va in pensione la sua “Marsigliese”

Sabato 11 Giugno 2022 — 06:45

Nella prima foto Elisabetta Lenzi, per tutti Betta, mostra la foto del babbo Piero mentre riceve il premio "Piatto d'oro 1974" per la mitica Marsigliese. Poi l'ingresso del locale in via Roma 251, la locandina dell'inaugurazione del novembre 2011 e infine una Betta sorridente davanti all'ingresso del suo ristorante

Dopo 51 anni Elisabetta Lenzi, per tutti Betta, appende la padella al chiodo e va in pensione. Da "Il Duomo" a "I 7 Tavoli", passando per la Capraia con "Lo Scorfano" e lo Yacht Club di Livorno, è da cinque decenni il punto di riferimento dello star bene a tavola. "Adesso mi occuperò dei nipoti e di mia mamma Adriana"

di Giacomo Niccolini

La prima volta che ha messo piede dentro ad un ristorante aveva sedici anni. Il calendario in sala segnava sornione “1971”, all’ingresso si illuminava l’insegna “Il Duomo”, al timone babbo Piero e mamma Adriana, oggi fieramente novantenne. Cinquantuno anni dopo, Elisabetta Lenzi, o come dicevan tutti Betta, spegne le luci della sua “Lampara” passando la mano ad una nuova gestione e decidendo di appendere così definitivamente la padella al chiodo, licenziando di fatto la sua storica Marsigliese, piatto d’oro 1974. Destinazione? Pensione, o meglio mezza pensione, “magari un part time, ma non più come titolare di un qualcosa di mio anche se un’ideuzza ce l’avrei, ma c’è Fede (il figlio ormai 41enne e giornalista de Il Tirreno, ndr) che mi frena. Devo fare la nonna a Bruno e Alice. E poi ho da pensare a mamma, sono 90 e ha bisogno di me”.
“Quando in passato pensavo a chiudere tutto non avrei pensato così – prosegue malinconica – Un po’ mi dispiace andar via non sulla cresta dell’onda, ma un po’ zoppicante. Prima del Covid era tutta un’altra storia. Certo i problemi ce li avevamo come tutti, ma alla fine si andava avanti. Poi la pandemia ci ha messo in ginocchio e, complice una poca fortuna con il personale e l’età che avanza, sono stata costretta a vendere e a passare la mano”.
Occhi grigi e penetranti di chi ha dentro il libeccio che accarezza la Cala Rossa di Capraia, la sua seconda casa, capelli biondi e ribelli, sconfusionati e amari come un’insalata riccia, animo guerriero, fare nervoso e faccia schietta come i piatti che ha sempre presentato ai suoi clienti che poi, sono diventati quasi sempre amici. Come quei totani a muso duro, ricetta storica capraiese che ha riproposto fieramente negli ultimi anni del suo locale qui in via Roma 251.
Betta è sempre stata così, a muso duro nel bene e nel male. Senza mezzi termini, ti piaccia o meno, ma con un cuore infinito. Un cuore che si è sempre respirato nei suoi piatti, nel suo modo di non risparmiarsi mai nella vita come nel lavoro. Betta è così: da 0 a 100. Un’entusiasta-incazzosa-mai doma. “Se sono arrivata fin qui, lo saprai, è perché non mi arrendo mai. Non ho mai mollato. E di cose nella mai vita me ne sono successe”. Come quando rischiò la vita (scrivilo eh, mi raccomando, racconta anche questa, mettici anche questa nel mazzo) rimanendo quasi per un anno a letto dopo un incidente terribile avvenuto sulla Cisa quel 27 aprile del 1985 quando con Vinicio Saltini, Donatella Domenici, Francesco e Paola Salvini, tornando da vedere la Pielle a Varese si infilarono sotto un tir sotto una pioggia battente dopo una galleria. “Mi ricordo ancora i dolori che provai. Abbiamo rischiato davvero di morire. Se chiudo gli occhi c’è tutto davanti”.
Perché nella vita di Betta c’è stata, e ancora se pur sopita, la grande passione per la pallacanestro o meglio… per la Pielle che nei mitici anni ’80 trovò covo e rifugio in un altro locale “I 7 Tavoli” che ha condotto dal 1978 al 1988 là in via Montebello all’angolo con via San Jacopo in Acquaviva. “Che stagioni bellissime – ricorda Betta da dietro al bancone della sua cucina in attesa di accendere i fornelli per le ultime cene in programma – Veniva a mangiare tutta la squadra della Pielle e poi anche gli avversari, gli arbitri, tutta la pallacanestro che conta insomma. La Libertas? Pussa via sai… neanche per sogno. Era fieramente un covo piellino. Ma non solo. In quegli anni mi ricordo venne da noi a cena anche Gigi Proietti di cui ho un bellissimo ricordo. Simpatico, alla mano. Mi ricordo che mi chiese un pezzo di parmigiano a fine cena. Io gliene portai un bel pezzo adagiato bello bello in un piatto. Lui mi guardò e mi disse: macché staccamene un pezzetto e dammelo no? E poi anche Claudio Baglioni. Si esibì in villa Mimbelli e la sera venne da noi. Entrò, si fece avanti e mi dette la mano dicendomi: piacere io sono Claudio. E io gli risposi: lo so“.
Poi c’è stata la Capraia, l’isola aspra e selvaggia, specialmente a cavallo tra gli ’80 e i ’90. Ancora tutta da scoprire. E lì Betta aprì “Lo Scorfano”. “Erano anni d’oro. Fare la stagione era veramente redditizio. Non certo come ora. Mi ricordo degli agosto di fuoco con un ristorante strapieno e stracolmo di gente”.
Poi la piccola pausa dalla ristorazione. Sempre in Capraia la scelta di separarsi un po’ da comande e fornelli. E si rifugiò in una tabaccheria che gestì con l’allora compagno Armando Raciti dal ’93 al ’98. Ma il richiamo della Marsigliese, made in “nonna Adri since 1972” fatta con amore e cura, è come il canto delle sirene. E così decide paradossalmente di tornare in continente e aprire un altro locale. Veramente una follia, un vero e proprio paradosso a pensarci bene. E infatti proprio così si chiamò quel tapas resturant and pizza di via Vittorio Veneto, a due passi dalla questura, “Il Paradosso”. E qui il mitico Rosario a sfornare pizze e l’afrodisiaco antipasto “totani alle mandorle” o l’eleganti “nuvole di gambero”.
Ma per Betta la vita non si è mai fermata. “Non basta un libro, te l’ho detto”. Così l’assist per mettere dentro il golden gol della sua carriera. “Mi offrirono di gestire il ristorante dello Yacht Club. Era un periodo personale molto difficile. Inizialmente dissi di no. Fede (sì, sempre quello, il figlio che lavora a Il Tirreno, ndr) mi guardò e mi disse: se dici di no sei pazza. E se anche un po’ pazza lo sono,  a novembre di quel difficile anno 2000 varcai quella porta vista faro, con l’odore del mare che ti sbatteva in faccia”.
Furono altrettanti anni bellissimi. Qui tra i clienti vip Betta ebbe l’onore di servire Luca Cordero di Montezemolo. “Ma da un punto di vista culinario, come cliente diciamo, mi dette poche soddisfazioni. Mi ricordo che prese un pescino lesso. Una sogliolina e niente più. Mi disse che non era abituato a mangiare molto”.
Ma allacciatevi le cinture. L’ottovolante targato Elisabetta Lenzi non si ferma. E così altro giro di giostra con l’apertura nel 2007 de “La Lampara” in Capraia. Certi amori non finisco, fanno dei giri immensi e poi ritornano, cantava Venditti. E per Betta quell’isola benedetta e maledetta insieme è sempre stata così. Un grande e infinito odi et amo.
E 4 anni dopo si arriva all’ultima tappa di questa grande infinita avventura con l’apertura in via Roma della Lampara da Betta nei locali dove sorgeva un tempo la pizzeria Rosina. “Mi ricordo un’inaugurazione sontuosa. Era il 17 novembre del 2011. Feci le cose in grande. Al mio fianco mamma Adri, instancabile, che, ricordiamolo fino a due anni fa era tutte le mattine qui a preparare i sughi all’età di 88 anni. E poi la partecipazione del mio amico sincero Luciano Zazzeri che ci fece l’onore di tenerci a battesimo”.
Si proprio lui, quello de La Pineta, quello della stella Michelin. “LO” chef. Ma per Betta era solo Luciano. “Un amico vero. Profondo. A volte passavamo ore e ore fino al mattino a chiacchiera”. Un’amicizia fortissima nata in quelle serate scanzonate e strampalate da Gangio in Caciaia dove si annusarono e si riconobbero subito.
Dopo 11 anni Betta spegne le luci della sua Lampara. Passa mano e lascia il testimone. “Il ristorante si chiamerà ancora così ma non ci sarà più il da Betta a chiudere la dicitura del locale”.
E noi come faremo senza la Marsiglia di Betta? “La Marsigliese viene via con me. Senza dubbio. Rimarrà un ricordo nei palati dei miei clienti. Amarezza? Sono 51 anni, sapete. Una vita. Un po’ il magone viene”.
No, non sono lacrime, è solo un po’ di libeccio che ci ha arrossato gli occhi mentre scrivevamo, tranquilli. Quello stesso libeccio che ha sempre scalmanato l’anima di Betta e quel suo spirto guerrier ch’entro mi rugge… e che, mettiamoci l’animo in pace, ruggirà sempre… anche in pensione.

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