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Mirco, il “guardiano” del tribunale. “Questa divisa sia da esempio”

Mercoledì 24 Gennaio 2018 — 16:15

L'intervista. "Il mio lavoro è cambiato molto e in meglio. Adesso siamo davvero formati e preparati a gestire le situazioni di emergenza. Il caso più particolare? Quando un capitano di una nave tentò di corrompermi"

di Giacomo Niccolini

Per tanti è come il caffè al risveglio, come le campane la domenica in chiesa, come il discorso del presidente della Repubblica l’ultimo giorno dell’anno: una certezza. Passano le stagioni ma Mirco Cavallini, livornese di 54 anni, è lì. Da 13 primavere “guardiano” dei cancelli del palazzo di giustizia di via Falcone e Borsellino e da 25 stagioni al servizio delle forze dell’ordine come “guardia giurata”.  “E’ di qualche giorno fa la premiazione che ha voluto effettuare il mio istituto, il Corpo dei Vigili Giurati, nei miei confronti per i miei 25 anni di attività”, spiega Mirco Cavallini a Quilivorno.it.
“Era il 1992 quando presi servizio per la prima volta con l’allora Cooperativa Liburnia. Venivo dall’esperienza della Labromare e nei miei occhi c’era ancora il disastro della Moby Prince. Quella tragedia che ancora oggi Livorno, e non solo, si porta dietro. Lavorai sodo insieme ai miei colleghi per le operazioni di bonifica ambientale. Poi mi capitò l’occasione di diventare guardia giurata e non ci pensai due volte”.
Cos’è per te essere guardia giurata?
“Per me non è solo portare a casa uno stipendio. Non è solo un lavoro. E’ qualcosa di più. Molto di più. Quello che in tanti non sanno è che noi giuriamo fedeltà a questo Paese e che noi quando siamo in servizio, che possa essere in strada, sopra un’auto di pattuglia o dovunque, rappresentiamo la legge. Noi, con questa divisa addosso dobbiamo essere un esempio, rappresentiamo un aiuto per il prossimo, rappresentiamo le forze dell’ordine. Non è una cosa banale”.

MIRCO CAVALLINI DAVANTI ALL’INGRESSO DEL TRIBUNALE DI VIA FALCONE E BORSELLINO

Che tipo di servizi hai svolto nella tua lunga carriera?
“Iniziai come ho detto ormai 25 anni fa in pattuglia notturna. Lì mi sono fatto le ossa, ti capita di tutto, vedi di tutto. Poi in porto, sulle navi, in centrale operativa, sui furgoni blindati e qui in tribunale”.
Qual è la cosa che non dimenticherai mai?
“Sicuramente quando mi capitò di lanciare i soccorsi per un ragazzo di 18 anni, morente tra le mie braccia a Castiglioncello, vittima di un incidente stradale. Sono immagini che rimangono dentro, che difficilmente cancelli”.
La cosa più strana che ti sia mai capitata?
“Una volta collaborai all’arresto di un comandante turco di una nave. Ero a far sorveglianza ad un clandestino e lui provò a corrompermi per farlo andare via. Venne da me con un pacco di dollari e io feci finta di accettare lo scambio. In realtà mi allontanai con una scusa e contattati il dirigente della polmare che intervenne con i suoi uomini per arrestarlo”.
Hai mai avuto qualche “strana” tentazione con il lavoro che svolgi?
“Ho effettuato servizio sui furgoni blindati per diverso tempo su tutta la costa livornese fino all’estrema provincia a Sud. Mi capitò una volta di portare oltre 7 milioni di euro suddivisi in pacchi da 300mila euro. Sono tanti soldi, tantissimi anche solo da vedere. Ma mai, e ripeto mai, ho pensato a prendere un solo euro. Ribadisco: il nostro lavoro è anche una funzione morale, fatta da onestà e rispetto. Chi ci vede deve vedere in noi uno scoglio in mezzo al mare, un faro, un simbolo di integrità”.
Come funziona il tuo lavoro qui in tribunale?
“Qui lavoriamo a turno con i colleghi in modo da garantire una totale copertura della sorveglianza di questo palazzo. Si tratta di controlli alle persone e di garantire sempre un occhio vigile su quanto accade. Una volta mi ricordo che una ragazza si tagliò le vene in aula Gip a seguito di una sentenza, un’altra volta che un giovane con un cazzotto spaccò il vetro della porta d’ingresso del primo piano, un altro che rubò un motorino qua dietro e lo fermai prima che portasse a termine il crimine, fino all’episodio di qualche settimana fa quando una donna mi minacciò con un coltello. Dobbiamo essere sempre pronti ad intervenire, sempre vigili. Qui in un secondo può scatenarsi, dal niente, un putiferio. Il livello di attenzione deve essere sempre al top”.
Come è cambiato il tuo lavoro negli anni?
“Molto e in meglio. Adesso siamo molto più preparati e molto più formati. Io ad esempio ho un diploma di primo livello di antiterrorismo. Effettuiamo periodicamente corsi per anti-incendio, primo soccorso e non solo. C’è maggiore preparazione e consapevolezza. E poi un aspetto molto importante è quello legato alla tecnologia sempre più utilizzata nel nostro mestiere e sul quale puntiamo molto”.
Cosa speri possa ancora migliorare nella tua professione?
“La speranza è che prima o poi riesca a passare la normativa che introduce il secondo in pattuglia. Come sapete il vigilante la notte si muove solo, ma il grado di sicurezza nell’essere in due a seconda delle situazioni, sarebbe maggiore e migliorerebbe sicuramente il servizio teso alla vigilanza dei luoghi”.
Chiudiamo con una curiosità. Sei il vero e proprio “guardiano” di un palazzo particolare, di un pezzo di storia vero e proprio… è così?
“Io sono un amante della storia. Collaboro anche con le guide storiche di Livorno per alcuni tour guidati che si effettuano all’interno di questo palazzo. Non tutti forse sanno che questa era la sede dei frati gesuiti nel ‘700 e qui portavano a pregare i condannati a morte prima di accompagnarli al patibolo che era posizionato in piazza XX Settembre tra via Sproni e via Mentana. Qui venivano recitate le ultime preghiere nella cappella che ancora c’è qua al piano terra e che custodisco gelosamente. I frati, ve ne erano 18 in tutto, accompagnavano poi i detenuti nella loro ultima camminata da qui fino al luogo deputato per l’esecuzione per la quale veniva chiamato un boia da Santa Maria a Monte, molto in voga a quell’epoca”.

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