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Via Michon, niente mensa

Mercoledì 22 Marzo 2017 — 15:25

La nuova mensa per immigrati da 100 posti che avrebbe dovuto sorgere tra via dell’Indipendenza e via Michon non si farà. Sono stati gli stessi gestori dei locali ad annunciarlo all’amministrazione

La nuova mensa per immigrati da 100 posti che avrebbe dovuto sorgere tra via dell’Indipendenza e via Michon non si farà. Sono stati gli stessi gestori dei locali ad annunciarlo all’amministrazione, al termine di un colloquio richiesto dall’assessore al Sociale, Ina Dhimgjini.
“Siamo di fronte a una vicenda nata male, ma che ha avuto un epilogo positivo – commenta l’assessore Dhimgjini -. Noi, ovviamente, non abbiamo chiesto nulla ai gestori, ma abbiamo preso atto con piacere della loro decisione di non entrare in conflitto con i residenti del quartiere, che già stavano preparando una raccolta firme contro l’apertura della struttura. Sia ben chiaro, siamo perfettamente consapevoli della necessità di trovare locali adeguati da utilizzare come refettori per i migranti presenti sul nostro territorio. Se vogliamo però affrontare in maniera costruttiva la questione, è necessario un approccio differente: non è possibile che l’amministrazione non venga coinvolta in un progetto potenzialmente così impattante sul centro della città. Come abbiamo detto anche nel corso del colloquio odierno, noi siamo disponibili a sederci attorno a un tavolo con tutti i soggetti interessati a realizzare progetti di inclusione e integrazione, in modo da trovare una soluzione anche alla questione delle mense. Quello che non possiamo accettare è che si prendano decisioni simili senza nemmeno consultarci”.

La lettera di “Salviamo Livorno” – Vorremmo puntualizzare la nostra posizione, in modo da non generare equivoci sulle motivazioni che ci hanno spinti ad agire, partendo dal generale per arrivare allo specifico:
1 –  Non siamo razzisti, ma non approviamo il modo in cui lo Stato Italiano, dietro un buonismo di facciata, sta gestendo il fenomeno dei profughi: i 100 milioni di Euro spesi ogni mese dal Governo per mantenere per mesi, se non anni, in una sorta di limbo burocratico centinaia di persone, parcheggiandole in soluzioni improvvisate, incontrollate e senza un progetto a lungo termine, sarebbero meglio spesi per assumere interpreti e personale che rendessero effettivo il termine di 30 giorni per concludere le pratiche che dovrebbero decidere del loro destino, in base al riconoscimento o meno dello status di rifugiati.
2 – Non è accettabile un’affermazione come: “i profughi continueranno ad arrivare, facciamocene una ragione”. Bisogna agire, dal basso, perché le cose cambino, anche per evitare che si scatenino davvero razzismo, intolleranza e guerre tra poveri: queste persone, al 90% giovani uomini, sani e pieni di energie, al contrario di ciò che molti pensano, non possono lavorare a livello giuridico, e sono condannati, dopo un iniziale momento di sollievo per essere vivi e nutriti, all’alienazione, alla noia, allo sconforto, anche perché si contano sulle dita di una mano i progetti organizzati per loro dai sedicenti benefattori dell’umanità, che, a parte prendersi la diaria, fanno ben poco. Sfido chiunque, bianco, nero, giallo o verde, a resistere in tali condizioni mentali per un periodo che può arrivare a più di due anni.
3. Il problema della mensa nasce in primis da considerazioni di tipo logistico: non è pensabile in un contesto come quello delle stradine centrali ipotizzare di generare un flusso quotidiano di più di 500 persone senza pensare alle conseguenze. Una famosa legge della fisica afferma che dove sta un corpo non può starcene un altro, per cui le 500 biciclette, il fiume umano di persone che si sarebbe riversato nel quartiere avrebbe necessariamente scatenato un conflitto spaziale ed organizzativo. Le considerazioni sull’ordine e sulla sicurezza non possono essere trascurate, anche qui con una finta ipocrisia: italiani, stranieri o alieni, in mezzo ad un così grande numero di uomini, spesso privi di documenti e senza nulla da perdere, non è difficile ipotizzare che sarebbero avvenuti risse, furti, molestie, vandalismi, schiamazzi e tutte le cose che rendono ai cittadini la vita disagiata, insicura, in nome poi del profitto di un singolo privato, perché di questo si tratta. Una struttura del genere andrebbe pensata in zone più periferiche, in ambienti spaziosi, con piazzali, aree verdi libere pronte ad accogliere questi grandi numeri, oppure parcellizzata, in tante piccole soluzioni che non abbiano il sapore del ghetto, ma non dobbiamo essere noi a pensarci, ma chi ci amministra prendendosi le nostre tasse.

 

 

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