Sei nuove pietre d’inciampo nel Giorno della Memoria
Sale a 17 il numero delle pietre d’inciampo collocate di fronte alle ultime abitazioni dei tanti livornesi di religione ebraica deportati dai nazi-fascisti. Sindaco e giunta alla cerimonia
Nell’ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria, il sindaco con l’intera giunta ha partecipato alla cerimonia per le nuove pietre di inciampo o stolpersteine. Quest’anno ne sono state installate sei, portando a diciassette il numero totale delle pietre d’inciampo a Livorno, collocate di fronte alle ultime abitazioni dei tanti livornesi di religione ebraica deportati dai nazi-fascisti. In largo Strozzi alcune scolaresche della città e rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio hanno deposto dei mazzolini di fiori alle nuove piastrelle che ricordano Rosa Adut, Abramo, Selma e Mario Moisè Levi, deportati che vivevano in questa parte della città. In via del Mare è stato reso omaggio a Piera Galletti e Lia Genazzani, facendo seguito a due incontri con le scolaresche che hanno visto protagoniste a Villa Letizia Anna Galletti, e ai Grazia Levi Coen nel salone Montedoro della Comunità di Sant’Egidio. A Livorno le prime pietre sono state installate nel 2012, su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, per ricordare persone scomparse nei lager e nella persecuzione ma anche persone sopravvissute alla Shoah e collocate in prossimità dell’ultima abitazione. In alcuni casi tali abitazioni non esistono più, perché abbattute dai bombardamenti del ’43 o demolite nell’immediato dopoguerra. Le pietre vengono allora poste nel luogo più vicino a quello precedente la guerra.
La ricostruzione topografica e toponomastica viene svolta grazie all’accurata collaborazione tra gli uffici del Comune di Livorno, la Comunità di sant’Egidio, la Comunità Ebraica di Livorno e su segnalazione di amici, conoscenti e parenti delle persone deportate.
A Villa Letizia i ragazzi delle scuole hanno potuto ascoltare la testimonianza di Laura Galletti, oggi 82enne, nipote e cugina di Piera Galletti e Lia Genazzani. “Per molti anni non ho parlato del fatto che sono ebrea – ha detto – e tuttora nutro ancora un certo timore, soprattutto per la mia famiglia”. E ha ricordato di quando il padre da un giorno all’altro perse il suo posto di lavoro in un ospedale pubblico e il successivo rifugio, grazie a un conoscente, nelle campagne del senese. “Una volta finita la guerra tornò tutto pressappoco alla normalità – ha aggiunto – tuttavia in me è rimasto sempre un forte dolore”. Sorte peggiore toccò invece alle due parenti di Galletti, le quali poco prima che riuscissero a scappare in Svizzera furono arrestate e portate prima al carcere di San Vittore a Milano e dopo nel campo di concentramento di Auschwitz, dove morirono.
Attualmente sono 17 le pietre di inciampo installate: le prime quattro sono state impiantate nel 2012/2013 e dedicate a due bambine ebree Franca Baruch e Perla Beniacar, un ragazzo, Enrico Menasci, e suo padre Raffaello. Altre due sono state impiantate nel 2014 e dedicate a Isacco Bayona e Frida Misul, testimoni dell’orrore della Shoah per almeno due generazioni di studenti livornesi. Le stolpersteine del 2015 sono state dedicate a Dina e Dino Bueno, quelle del 2017 a Ivo Rabà e Nissim Levi, nel 2018 a Matilde Beniacar, ultima sopravvissuta livornese ai campi di sterminio. La Comunità, con questa iniziativa, ha voluto inoltre, inserire Livorno nel numero delle città che hanno valorizzato il proprio contesto urbano, sia dal punto di vista culturale che artistico. Alla stregua di Berlino, Praga, Roma, Livorno ha avuto così una risonanza nazionale e internazionale. L’omaggio alle stolpersteine è stata preceduto da una tre giorni di incontri e testimonianze, promosse dalla Comunità di Sant’Egidio, nelle scuole primarie e secondarie di I grado: il 27 gennaio alle Scuole Carducci con l’intervento di Laura e Anna Galletti, il 28 gennaio in via Montedoro con le scuole del centro città e a Villa Letizia in via dei Pensieri per le scuole della zona sud.
Cenni sulla deportazione dei livornesi ebrei – Tra il dicembre ’43 e il gennaio del ’44, si consuma la deportazione degli ebrei livornesi. Tra loro anche un folto gruppo di famiglie ebree, di origine italiana, fuggite dalla Turchia a seguito dei disordini e dei massacri seguiti alla guerra greco-turca del 1919-1922 oppure, piu tardi, a causa del rimpatrio della popolazione di origine italiana. Queste famiglie si erano stanziate a Livorno già da diversi anni, probabilmente per antichi legami familiari o materiali con la nostra città. Privi di conoscenza e di radicamento, con pochi mezzi, costoro furono facili prede sia delle leggi razziali che, poi, dei rastrellamenti. Gli ebrei furono arrestati nelle loro case, per lo più del centro storico, oppure nei luoghi di sfollamento in cui avevano trovato rifugio dopo i bombardamenti disastrosi del maggio e del giugno ’43, tra gli altri Gabbro, Guasticce, la montagna pistoiese. Gli arresti furono tutti opera di fascisti italiani e solo in alcuni casi in collaborazione con i tedeschi. Infatti, dopo il censimento del ’38 e per lo stretto controllo di polizia cui erano sottoposti, gli ebrei, livornesi da sempre o solo di origine, erano tutti conosciuti ed erano altrettanto note la loro residenza o il loro domicilio. La contabilità della morte ci dice che furono centinaia gli ebrei livornesi che non tornarono più dalla Germania, secondo studi recenti oltre duecento persone scomparvero nei campi di sterminio insieme ad altri civili livornesi deportati, molti dei quali uccisi in detenzione per essersi opposti con un gesto, una parola alla disumanità dei carnefici.
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