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Tredici mani spuntano dal fosso: ecco “Sughero”

Lunedì 17 Agosto 2020 — 12:36

Parla l'ideatore dell'installazione che preferisce rimanere anonimo: "La mia voleva più che altro essere una provocazione e un modo per far riflettere e accendere le luci su di un aspetto umanitario"

di Giacomo Niccolini

Tredici mani spuntano dal fosso di viale Caprera. Tredici mani che richiamano così i dodici apostoli e Gesù nell’ultima cena. Tredici mani fatte di sughero, inconsistenti alla vista di molti, spesso leggere come sughero ma pesanti alla vista e allo sguardo. Un’installazione artistica, comparsa all’alba del 16 agosto, che è un vero e proprio pugno allo stomaco per chi passa da viale Caprera, nel cuore della Venezia, quartiere preso d’assalto recentemente dagli street artist. Un’opera d’arte che vorremo a tutti i costi che rimanesse più tempo possibile in un fosso non navigabile, e quindi a dir poco inutile, e che potrebbe essere utilizzato, perché no, proprio come anomalo e unico nel suo genere spazio espositivo.
“Sughero”. E’ questo il nome dell’opera che “galleggia”, nel vero senso della parola, sulle acque stagnanti del fosso che percorre il quartiere storico cittadino a pochi passi dal Museo dei Bottini dell’Olio. Accanto alle mani che spuntano ecco anche una ciambella e un giubbetto salvagente.
Su entrambi la scritta “Elga Dream”. Una curiosa sfida enigmistica oppure un messaggio di un sogno naufragato di una delle tante “Elga” del mondo?
Quelle mani che emergono non sono altro che la punta di un iceberg sommerso dalle acque torbide del fosso, acque torbide delle coscienze dei tanti che l’artista, anonimo e senza autorizzazione, ha voluto scuotere e motivare mettendo davanti agli occhi una tragica realtà. Una vera e propria provocazione quella messa in piedi da un gruppo di amici che alle 5 del mattino di domenica 16 agosto hanno agito gettando dalla spalletta gli oggetti che compongono l’installazione.
“Mi chiamano artista, ma io mi sento più un provocatore – spiega l’ideatore dell’opera galleggiante  a QuiLivorno.it  – In passato ho già fatto altre piccole provocazioni come l’albero di Natale con i piattini e il presepe con la ruspa. Il mio nome? Preferisco rimanere anonimo. Non abbiamo avuto l’autorizzazione per fare questa installazione e  non so come potrebbero prenderla al lavoro questa mia idea”.
Lo incontriamo su di una panchina all’ombra di un palazzo a Porta a Terra. Accanto a lui uno dei compagni di questa “avventura artistica” perché alla fine per noi, arte è tutto ciò che fa riflettere, parlare, discutere e perché no, ciò che provoca e fa riflettere. E questa installazione rispecchia in pieno questi canoni.
“Tutto è nato durante i nostri pomeriggi insieme – spiegano i due amici – Insieme ad altri compagni di provocazione pensavamo come poter accendere le luci cittadine sulla problematica dei migranti. Così, anche seguendo un’installazione che venne fatta davanti al Duomo di Milano tempo fa con queste mani che spuntavano dall’asfalto, ci siamo detti: ma noi abbiamo l’acqua! Sfruttiamola. Ed ecco che ha preso piede il progetto di Sughero”.
Come mai questo nome?
“Sughero è qualcosa che rimane sempre a galla, che non affonda. Come vorrei che fosse questa installazione per tanti. Un pensiero che rimane sempre a galla sulla coscienza di tanti. Affinché la problematica umanitaria non vada mai a fondo”.
Un’installazione politica…
“Io credo che ognuno di noi, quando si trova a parlare di qualsiasi cosa con un’altra persona, faccia a suo modo politica. Tutto è politica. Tutto quello che ci gira intorno lo è. E’ inevitabile. Ma la mia idea parte dallo smuovere le coscienze. Quelle mani vorrei che raccontassero anche storie: non solo le storie di vite umane che di umano hanno avuto ben poco, ma anche la storia di un continente che è stato, per secoli, soprattutto una storia di predazioni, sfruttamento, oppressione”.
E poi quella scritta Elga Dream. Un significato preciso?
“Lascio alla libera interpretazione di ognuno”.

IL BOZZETTO DELL’INSTALLAZIONE “SUGHERO” DI VIALE CAPRERA

Perché avete deciso di farla senza permessi?
“In realtà ci sarebbe piaciuto che fosse approvata dal Comune. Avevamo fatto anche fare un bozzetto (di cui pubblichiamo la foto qui in pagina, ndr) da una nostra amica architetta. Poi però  avevamo paura che non si potesse fare in tempo. Ci piacerebbe infatti che quest’opera rimanesse fino, per lo meno ad Effetto Venezia. Così abbiamo deciso di agire all’alba”.
Quanti sugheri avete utilizzato?
“Circa venticinque per mano. Tenuti insieme da un fil di ferro. Ogni mano per realizzarla è costata circa un’ora e mezzo di lavoro. Ma la cosa più difficile è stato farle galleggiare agganciandole ad un corpo morto e facendo le prove con i tessuti affinché, bagnandosi, non pesassero troppo. Non è stato facile progettarlo e realizzarlo. Avevamo costruito una mano in più. E meno male perché abbiamo dovuto sostituirla una volta lanciata in acqua”.
Cosa vi augurate dunque?
“Che la gente apprezzi il messaggio umano di quest’opera. Ma più che altro che i livornesi abbiano modo di vederla dal vivo e che rimanga più tempo possibile visibile. Mi hanno contattato anche le ragazze di Uovo alla Pop. Hanno detto che metteranno l’installazione nel loro tour dedicato alla street art. Questo mi e ci riempie di orgoglio”.

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