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Maratona di NY 2017, il direttore di Quilivorno.it racconta la sua impresa

Venerdì 10 Novembre 2017 — 16:12

Non ho realizzato un sogno, nel senso che non era una di quelle cose che uno desidera fare sin da bambino. Ho realizzato un obiettivo. Questo sì

di Michelangelo Sarti

Adesso, rientrato in Italia, lo posso raccontare. Il 5 novembre 2017 ho corso la maratona di New York. Non ho realizzato un sogno, nel senso che non era una di quelle cose che uno desidera fare sin da bambino. Ho realizzato un obiettivo. Questo sì. E come tale non è stato semplice raggiungerlo ma, credetemi, ne è valsa la pena. Lo sanno bene tutti quei livornesi che come me hanno corso una maratona nella vita (per me si è trattata della prima e, forse, ultima. Devo rifletterci…). Ed è a quanti l’hanno corsa, prima di raccontarvi (se vorrete proseguire l’articolo) le emozioni che ho vissuto, che mi rivolgo proponendo una foto di gruppo. Scrivetemi a [email protected] lasciando il vostro recapito. Creerò un gruppo WhatsApp e fisseremo insieme il giorno dell’incontro.

La preparazione verso NY – Amo correre sul lungomare, in particolare nei mesi più caldi dell’anno. Lo faccio sistematicamente da anni dopo aver trascorso l’autunno-inverno in palestra tra un corso e l’altro. A marzo 2017, proprio in palestra, un amico mi dice che a novembre sarebbe andato a NY per correre la settima (o ottava, Sergio?) maratona di NY. “Complimenti, sei il numero uno”, gli dico. “Te corri?”, mi dice. “Sì, sempre, sul lungomare. In estate. Corro guardando il tramonto e non più di 10 km”, rispondo io sorridendo. “Perché non la fai anche te? E’ in programma il 5 novembre”. Al che mi sono detto: “Perché no Miki? In fondo non parti proprio da zero spaccato. Proviamoci”. E’ iniziato tutto così.
Una settimana dopo, grazie ad alcune dritte di Sergio, ero ufficialmente iscritto. Bene. Ora bastava (si fa per dire) prepararmi. Mi sono rivolto ad un amico, Antonio, preparatore atletico e mental coach, che ha accettato con me la sfida. Mini tabella di potenziamento muscolare in palestra e giù km. Ho iniziato l’allenamento (non prima però di aver comprato tutto il necessario, a cominciare da un bel paio di scarpe, fondamentali) l’ultima settimana di marzo. All’inizio due volte a settimana in palestra e due di corsa. Poi, trascorso un mese e mezzo circa, solo corsa: incastrando il lavoro e gli impegni vari correvo due volte a settimana (un po’ pochino lo so, ma tra gli impegni e il riposo, non riuscivo a fare molto di più. Considerate, tra l’altro, che prima di marzo sul lungomare non mi ero mai spinto oltre i 10 km).
Quel 2 ottobre 2017 – Arriviamo a ottobre. Il 2 stavo portando a termine l’ennesimo allenamento (tenete di conto che il mese di aprile avevo corso 71 km, a maggio 103, a giugno 105, a luglio – mese in cui avevo superato i 20 km – 152, ad agosto 219, a settembre 179, mese in cui avevo superato i 30 km) quando intorno al 15esimo km mi sono infortunato di brutto. Non uno stiramento o contrattura (ah quello, lo stiramento, mi è venuto in estate e in qualche modo con i taping di Antonio e i massaggi di Daniele sono riuscito a superarlo) ma una infiammazione al ginocchio destro. Vi giuro: stringere i denti non bastava. Non potevo proprio più correre. Ottobre, come immaginerete, è stato un mese molto difficile dal punto di vista emotivo. A sette giorni dall’infortunio, il 9 ottobre, dopo aver fatto un po’ di ghiaccio e pomate, provando di nuovo mi sono dovuto fermare dopo neanche 2 km. Credevo davvero che non avrei corso NY. Antonio, il preparatore-mental coach, nel frattempo mi spronava a non mollare ma io era davvero abbattuto. Il medico di famiglia, Riccardo, mi invita a fare alcuni accertamenti ma la risonanza non evidenzia particolari lesioni. Il 20 ottobre, su consiglio di un’amica, Simona, mi sono rivolto al dottor Enrico il quale individuando il problema mi ha fatto una infiltrazione al ginocchio dandomi una cura da seguire. Il 25 ottobre, 23 giorni dopo l’infortunio del 2 ottobre, sono tornato sul lungomare riuscendo a percorrere 16 km quando lo stesso, e dico lo stesso identico, dolore mi si è presentato al ginocchio sinistro. Non ho trovato altra soluzione se non quella di ricontattare il dottor Enrico che il 30 ottobre mi ha fatto l’infiltrazione al ginocchio sinistro. Tornando a casa ho deciso che non avrei più corso se non il giorno della maratona (5 novembre). Ho ascoltato il mio corpo e ho capito che era giusto provare a fare così. Ho scelto di fare soltanto un potenziamento di tre giorni del quadricipite. Marco, uno degli istruttori della palestra che frequento, mi ha fatto trovare la tabella nel giro di poche ore.

La maratona e la medaglia al traguardo – Il 5 novembre, intorno alle 6,30, mi viene a prendere in albergo il pullman che mi porta all’imbarco per Staten Island. Solo io e un altro ragazzo eravamo alla prima maratona, a NY, nonché alla prima in assoluto. Allo sbarco sull’isolotto un altro pullman mi conduce alla partenza. Non faceva molto freddo, intorno ai 14 gradi. Lo start del mio gruppo (l’ultimo), dal ponte da Verrazzano avviene alle 11. Prima la partenza di coloro che in fase di iscrizione hanno dichiarato di stare sotto le 5 ore. Da qui in poi un crescendo di emozioni. Il piano era semplice: arrivare in fondo, possibilmente correndo, e camminare sui ponti (4 in tutto). Dopo 5:30:20 ero al traguardo. Una gioia indescrivibile. Come detto non mi ero mai spinto oltre il 30esimo km in allenamento e non sapevo cosa sarebbe successo. Senza contare che dal 2 di ottobre, giorno del primo serio infortunio al ginocchio destro, non avevo praticamente più corso e non sapevo come avrebbe risposto le gambe. Ma la voglia di arrivare; una frase del libro dello scrittore-maratoneta giapponese Murakami (“La fatica è inevitabile, il dolore è opzionale”) che mi sono ripetuto correndo; la gioia trasmessa dagli americani ai lati del percorso (si attraversano tutti e cinque i quartieri della metropoli: nell’ordine, Staten Island, Brooklyn, Queens, Bronx e Manhattan) fra musica con tanto di mini concerti, cartelli, continui “good job everybody”, il “5”, le banane (io ne ho presa prima una intera e poi mezza), la cioccolata e le caramelle che ti offrivano bambini e adulti mi hanno permesso di arrivare al traguardo.
Oltre alla banana offerta dagli americani ho assunto tre gel che mi ero portato. Fondamentale è stata l’idratazione: lungo il percorso ci sono i rifornimenti di gatorade e acqua ogni miglio. Io bevevo ogni 2 miglia come da suggerimento di un partecipante. Mia moglie Daiana, seguendomi con la app della maratona, si era posizionata al 41esimo km, in zona Central Park, riuscendo dalla transenne a farsi notare. Le sono andato incontro con le ultime forze rimaste (dovete sapere che l’ultimo tratto, Central Park, è il più duro non solo perché è l’ultimo ma perché è un continuo sali-scendi) e a stento ho trattenuto le lacrime. “E’ finita. E’ finita” mi ha urlato. Qualche centinaia di metri dopo ho tagliato il traguardo. Era davvero finita. Ho stoppato il crono. Pochi passi dopo avevo la medaglia al collo. Te la mettono i volontari (l’organizzazione della maratona a mio avviso è stata impeccabile), poi le foto di rito chieste a chi capitava a tiro passandogli il cellulare. I tre giorni seguenti non ho letteralmente camminato. Chi l’ha corsa NY vi dirà che salire e scendere le scale della metropolitana è una cosa delle cose più complicate. Ma ne è valsa la pena.
Se mi sento un eroe? No, gli eroi sono altri. Ma un “grande”, scusatemi se pecco di modestia, penso di esserlo stato. Adesso lo posso dire.

La classifica – Ah volete sapere come mi sono classificato? 42.440 su 50.766. Ovviamente non puntavo al tempo e se fossi arrivato al 5 novembre in condizioni fisiche migliori forse avrei potuto terminare vicino alle 4:30. Non di più, ovviamente. Ma come mi ha detto il giorno prima della gara un maratoneta conosciuto laggiù, Pasquale, quello della maratona è un viaggio interiore e alla prima maratona l’obiettivo è arrivare in fondo.

ps in neretto ho voluto evidenziare tutte le persone che mi hanno permesso di compiere questa impresa. Un grazie anche alla mia famiglia che ha creduto in me, a cominciare da Daiana, e poi il mio babbo Antonio, mia mamma Cristina e i miei amici che tra una battuta e l’altra mi hanno tenuto su il morale.

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