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Buongiorno Livorno: “Renzi a Livorno. Sarebbe stato bello sentire una sua riflessione politica seria”

Domenica 6 Agosto 2017 — 11:07

Prima c’era Berlusconi, adesso Renzi. Passano le stagioni ma il refrain è sempre quello: raccontare il mito di un Paese che non c’è. Questione di interesse, questione di potere.
Negare o nascondere le disuguaglianze, le povertà, le precarietà: tutte in aumento.
In dieci anni di crisi la povertà è raddoppiata. Ce lo dice l’Istat: nel 2016 oltre 4 milioni di persone in povertà assoluta, erano la metà nel 2007. Circa 8 milioni e mezzo invece sarebbero coloro in povertà relativa, vale a dire nella trappola della precarietà: fra questi molti dei cosiddetti working poors, quelli per cui il lavoro non è sufficiente.
La crescita di Renzi (sia del suo governo che di quello eterodiretto dal fido Gentiloni, in tutto oltre 3 anni e mezzo, non poco…) non produce occupazione fissa né arretramento della povertà. Anzi.
Il bluff più clamoroso è stato celebrato pochi giorni fa quando l’Istat ha pubblicato i dati sull’occupazione di giugno: Gentiloni, Boschi, Poletti e la schiera di commentatori e stampelle servili hanno accompagnato i dati spacciandoli per quelli che non sono. O meglio: c’è sì la crescita ma del lavoro a termine! Un vero e proprio record di precari. Grazie al pilastro del Jobs Act, il “contratto a tutele crescenti” a crescere è solo la libertà di licenziare il lavoratore. Lo sanno bene i neo-licenziati di Porca Vacca e i livornesi che hanno seguito questa vicenda.
E così avanti tutta con la ripresa occupazionale fondata sull’estrema precarizzazione dei nuovi rapporti di lavoro.
Un colpo di sole dei renziani? Forse, oppure la conferma che ciò che conta è il come si dice e se si è capaci di farlo credere.

Del resto basterebbe osservare i repentini cambiamenti sulle politiche dell’accoglienza e dei salvataggi: nel giro di poco tempo siamo passati dal tentativo di contrapporsi, più o meno credibilmente, alle politiche xenofobe e razziste della Lega, a perseguire la logica dell'”aiutiamoli a casa loro”, col rischio concreto di alimentare il “reato umanitario” e di svilire ancora di più categorie e pratiche fondamentali come quelle di salvataggio, soccorso, aiuto umanitario. E lo ius soli? Meglio aspettare, adesso non è il momento.

L’Italia è la patria dei “neet” (giovani che non hanno e non cercano un lavoro né sono impegnati in percorsi di studio e formazione), dei disoccupati e dei working poors.
L’Italia è il paese col boom della sanità privata: più di 12 milioni di italiani rinunciano a curarsi; nel solo 2016 sono stati 1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente e la spesa nella sanità privata ha raggiunto nel 2016 la cifra record di 37,3 miliardi di euro (dati Censis).
È uno dei paesi con la maggiore disuguaglianza: nel 2007 le dieci famiglie più ricche avevano un capitale pari a quello di 3,5 milioni di poveri; oggi un capitale pari a quello di 6 milioni di poveri.
Le soluzioni dei governi Renzi e Gentiloni sono state all’insegna dei bonus, di soluzioni “categoriali” e di “pannicelli caldi” come la recente misura contro la povertà, niente a che vedere con riforme strutturali e organiche. L’Italia è uno dei pochissimi paesi dell’Unione Europea in cui manca una misura di reddito minimo per i poveri a livello nazionale. Del resto si stanziano soldi per salvare le banche, non per ridurre la povertà. Sia mai detto.
E tralasciamo qui, per motivi di spazio, la riduzione delle spese sociali con tagli continui e progressivi agli enti locali abbinata alla riduzione delle tasse, sulla base della logica della “tassa piatta” a discapito della “progressività impositiva”. L’Italia risulta del resto avere uno dei peggiori indici per effetto redistributivo dell’intervento dello Stato fra i paesi OCSE.
La disconnessione fra la politica economica seguita in questi 10 anni (e quindi anche da Renzi) e la condizione materiale che grida da questi dati e dalle vite di milioni di persone è evidente. Ecco ancora una volta il paese immaginario, quello decantato dal padrone di turno (ieri Berlusconi, oggi Renzi) e quello reale, fatto da sempre più persone che non ce la fanno e che convivono con una precarietà socio-economica sempre più aggressiva.

Quello che conta non è la sostanza, non sono i fatti, ma l’interpretazione che viene data e la spettacolarizzazione con la quale si accompagna la narrazione. Lo stile Renzi è ormai conclamato: la versione aggiornata, più rassicurante e giovanile di Berlusconi; piace perché parla alle persone, è simpatico, fa pure ridere. Lo avevamo visto a difesa della sua riforma costituzionale a Livorno presso la SVS, lo abbiamo visto alla Rotonda alla Festa del PD: chi lo ascoltava aveva la faccia sorridente, beata, divertita, come quando si va a uno spettacolo comico. Non sta a noi giudicare la qualità dello spettacolo, oltretutto gratis e quindi anche normale non avere troppe pretese.
Ma da un politico, anzi dal leader massimo di un partito importante che governa il Paese da oltre 3 anni e mezzo non sarebbe male sentire ogni tanto qualche tentativo di riflessione politica “seria”, ammesso ne sia capace. Ma forse non è così importante per chi continua a considerare Renzi il “salvatore”, l'”uomo della provvidenza”, l’ unico che può cambiare le cose ecc. Tutte espressioni sentite davvero direttamente e testimoniate attraverso i social.

Possiamo concludere che fra i mille (?) presenti sabato non ci fossero persone coinvolte dalla crisi e dall’impoverimento che tanto duramente hanno colpito Livorno e l’Italia. Forse sono persone che a vario titolo hanno beneficiato delle riforme “classiste” di Renzi, magari oltre ai numerosi pensionati anche qualche imprenditore che ha ottenuto qualche libertà in più, o chi esprime gratitudine per non pagare più la tassa sulla prima casa o che riceve il bonus degli 80 euro.
Ognuno dei presenti avrà avuto qualche buon motivo.
Potrebbe esserci anche un’altra spiegazione: i colpi di sole – eventi naturali in questi giorni – potrebbero aver favorito l’ascolto beato e accondiscendente della voce del padrone. E poi quando c’è la star l’importante è esserci, meglio se in prima fila.

Stefano Romboli – Buongiorno Livorno

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