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Essere donna a Livorno, dibattito fra diritti e nuove libertà

Lunedì 13 Agosto 2018 — 15:16

Bella partecipazione di pubblico alla Festa de L'Unità per “Essere donna a Livorno: i diritti minacciati, le nuove libertà, le nostre idee per il futuro”. Sul palco, tra le altre, Donatella Fornaciari (Pd), Eva Giovannini (giornalista Rai) e Daniela Vianelli (presidente coop Itinera)

Bella partecipazione di pubblico il 12 agosto al dibattito “Essere donna a Livorno: i diritti minacciati, le nuove libertà, le nostre idee per il futuro”. Sul palco della Rotonda d’Ardenza Donatella Fornaciari (Pd), Eva Giovannini (giornalista Rai), Aurora Matteucci (avvocata), Daniela Vianelli (presidente coop Itinera) e Anna Maria Biricotti (Pd). Generazioni a confronto su una questione che non smette di interrogare e che – anzi – sembra porre sempre nuove sfide. Biricotti e Fornaciari hanno ricordato le battaglie per le quali hanno combattuto e vinto – divorzio, aborto – e che oggi sembrano essere messe in discussione da un’ondata reazionaria non solo italiana. E proprio sull’inversione dei diritti femminili nel panorama internazionale si è concentrato l’intervento di Eva Giovannini, che ha ricordato la legge contro il diritto all’aborto presentata dal governo di destra polacco, passando per i tagli federali voluti da Donald Trump alle cliniche che praticano le interruzioni di gravidanza, fino alla proposta avanzata da due consiglieri comunali di Verona (Lega Nord) di dare sepoltura ai feti mai nati, anche senza il consenso della donna. “Rileggere oggi il romanzo distopico di Margaret Atwood del 1984 “Il racconto dell’ancella” in cui si immaginava una società governata da uomini in cui le donne vengono ridotte ad ancelle per la riproduzione – spiega Giovannini – può essere un esercizio molto utile. Ancora una volta è sul corpo delle donne che si agitano le politiche più conservatrici. Non avrei mai immaginato di  dovermi battere, nel 2018,  per difendere dei diritti ormai acquisiti. E d’altronde – ha aggiunto Giovannini – questo governo ha ritenuto la presenza femminile piuttosto superflua, visto che su 65 sottosegretari e viceministri ci sono soltanto 11 donne”.
Aurora Matteucci, avvocata penalista livornese, ha raccontato la sua esperienza personale e professionale. “Non dobbiamo confondere – ha spiegato – il sentimento di misoginia con l’oppressione socio economica e culturale (che purtroppo per certi versi ancora è in atto nonostante i passi avanti). È chiaro che oggi non esiste più il divieto di accesso alle professioni, non il delitto d’onore o il matrimonio riparatore, ma il sentimento di misoginia è estremamente diffuso e declinabile in molti modi: dall’assenza (o scarsa presenza) delle donne in luoghi di rappresentanza politica (ai più vari livelli); dalla differenza di retribuzione economica rispetto ai colleghi uomini, per arrivare alle condotte più gravi di molestia e violenza che siamo ancora costrette a subire. Solo attraverso una rivoluzione culturale possiamo pensare di estirpare il seme della misoginia. Non è certo attraverso l’inasprimento delle pene che si ottiene questo obiettivo. Anzi le logiche securitarie di questo governo non aiutano. Servono solo a placare gli animi attraverso interventi di facciata e poco strutturali. Esiste già il delitto di omicidio e – conclude Matteucci – non abbiamo bisogno di nuove etichette penali per affrontare il gravissimo dramma della violenza sulle donne”.
In questo panorama, l’esperienza raccontata in prima persona da Daniela Vianelli di Itinera ha rappresentato un momento di speranza: “Siamo partite a metà anni 90 e oggi Itinera rappresenta una realtà di oltre cento donne. Al centro del nostro modello organizzativo c’è l’attenzione alla persona, alla conciliazione tra famiglia e lavoro, al benessere psico fisico della donna”.
Infine, Giovannini ha auspicato per il futuro la presenza di uomini in dibattiti sulle donne, poiché “non possiamo continuare a pensare che l’asimmetria salariale e di diritti sia una questione che riguarda solo il genere femminile. È un problema di tutta la società, e non possiamo più auto rappresentarci dentro una gabbia”.

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