Enriques. Alle radici del “rifiuto” della matematica con il prof. Cordelli
Alla base del rifiuto generalizzato nei confronti della specifica disciplina ci sono molteplici motivi: l’ansia indotta dalle verifiche, gli stereotipi e la mancanza di significatività
Si è svolta nel pomeriggio di lunedi 26 novembre, nell’aula Magna del Liceo Enriques, una giornata di aggiornamento sull’insegnamento-apprendimento della matematica, aperta a tutti gli insegnanti della disciplina, delle scuole di ogni ordine e grado della provincia. Il professore Alessandro Cordelli, insegnante di matematica e fisicadel liceo classico-linguistico “Carducci” di Viareggio, conduttore dell’intervento, ha aperto l’incontro con un quesito ben preciso, base di partenza della complessiva riflessione sviluppata tra i presenti: “Ma perchè ti fa schifo la matematica?”.
La domanda non è nuova, e lo stesso professore ha affermato di averla posta, in precedenza, a decine, centinaia di persone incontrate, sia studenti che adulti. Inizialmente quasi per scherzo e in maniera provocatoria; successivamente, soprattutto in relazione alle risposte di “disarmente semplicità” ricevute, ha pensato di analizzare i molteplici aspetti emersi della matematica, e soprattutto del suo insegnamento, in un libro, edito nel 2015, dal titolo: “Nessuno è escluso (perchè ancora troppe persone rifiutano la matematica)”.
Alla base del rifiuto generalizzato nei confronti della specifica disciplina ci sono molteplici motivi: l’ansia indotta dalle verifiche, gli stereotipi, la mancanza di significatività, a causa della quale la disaffezione si trasforma in un progressivo aumento della demotivazione. Alla luce di tali elementi appare allora fondamentale effettuare un processo cognitivo, passando dall’acquisizione di nozioni alla costruzione di una reale conoscenza. Se non si sviluppa questo aggancio alla dimensione esistenziale, difficilmente si potrà parlare di conoscenza. E in matematica è sempre il probema che genera conoscenza perchè quest’ultimo è il contesto naturale in cui è immersa la vita dell’uomo… Un “vero” problema però è caratterizzato spesso dati insufficienti o ridondanti, da più strategie per arrivare alla soluzione o anche da più soluzioni.
Come dire che il problema reale non è assimilabile ad un esercizio, e non può essere mero addestramento. Ed allora ecco che il confronto delle didattiche, da quelle puramente trasmissive (tradizionali), a quelle basate sul “Problem Based-Learning”, associate alle metodologie del lavoro di gruppo e alla collaborazione tra “pari”in classe, apre scenari di riflessione ampi e importanti per promuovere l’apprendimento, il successo scolastico e il pensiero creativo.
Ma il passaggio non è semplice, nè completamente risolutivo. Dietro alle buone pratiche esiste sempre il buon “direttore d’orchestra”, desideroso di comprendere gli interessi dei suoi studenti, di mettere in discussione, laddove necessario, i classici metodi di insegnamento per motivare i propri alunni e per attivare processi di apprendimento più significativi e rispondenti. Invocare poi cambiamenti del sistema scolastico va anche bene ed è utile per migliorare molte criticità. Ma la convinzione generale, almeno dei presenti lunedì 26 novembre al liceo è che si può fare molto anche all’interno del contesto attuale. Tanto che di fronte ad un insuccesso scolastico sorge spontanea la domanda se si tratta di un insuccesso a scuola o di insuccesso della Scuola, con la S maiuscola. Ma tale interrogativo rimane per ora aperto.
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