Al Goldoni torna “Medea”, il cast incontra il pubblico. La nostra recensione
Venerdì 12 gennaio, alle 21, la seconda serata dello spettacolo. Franco Branciaroli e la Compagnia, alle 18 nella Sala Mascagni del Teatro Goldoni, incontrano il pubblico. Ingresso libero
Franco Branciaroli, uno degli interpreti più intensi del panorama teatrale italiano, riallestisce la “Medea” diretta da Luca Ronconi, di cui fu protagonista straordinario e acclamato nel 1996: l’appuntamento è per giovedì 11 e venerdì 12 gennaio, alle 21 al Teatro Goldoni di Livorno per la stagione di prosa sezione “Classica”. Uno spettacolo straordinario, che sorprende ed emoziona ed un doveroso omaggio al grande maestro scomparso nel 2015 da uno degli artisti che ha lavorato con lui più a lungo e in maggiore vicinanza ed un’occasione imperdibile di rivedere una delle pietre miliari della storia registica e interpretativa del secondo Novecento. Scritta da Euripide nel 431 a.C., con la coinvolgente traduzione di Umberto Albini, la tragedia narra la vendetta spietata e crudele della maga Medea che per amore dell’infedele e spergiuro marito Giasone, aveva lasciato la sua patria, la Colchide, per rifugiarsi straniera a Corinto. E’ qui che ripudiata dal marito in favore della figlia del re di quelle terre Creonte e condannata da questi all’esilio, si ribella con forza e ferocia per le ingiustizie subite uccidendo il re ed infliggendo a Giasone il più terribile dei dolori: la morte dei propri figli insieme a quello della sua amata. Medea nella lettura di Ronconi è il prototipo del minaccioso impersonato da uno straniero, che approda in una terra che si vanta di avere il primato della civiltà. La sua esclusione è dovuta a paura di questa minaccia: “Medea – leggiamo nelle note di regia di Ronconi – è una ‘minaccia’ che incombe imminente anche sul pubblico. Per questo suo essere una creatura misteriosa e mostruosa può anche essere interpretata da un uomo. La sua non è una tragedia della femminilità, ma della diversità”. “Io non interpreto una donna – dichiara Branciaroli – sono nei panni di un uomo che recita una parte femminile, è molto diverso. Medea è un mito: rappresenta la ferocia della forza distruttrice. Rimettiamoci nei panni del pubblico greco: vedendo la tragedia, saprà che arriverà ad Atene una forza che si accanisce sulle nuove generazioni, i suoi figli: ‘Medea dallo sguardo di toro’, come viene definita all’inizio. Lei è una smisurata, dotata di un potere sinistro. Che usa la femminilità come maschera, per commettere una serie mostruosa di delitti: non è un caso che la prima a cadere sia una donna, la regina, la nuova sposa di Giasone”. Il riallestimento di Medea curato da Daniele Salvo è assolutamente filologico e ripropone nei dettagli la regia di Ronconi, senza nessuna intromissione e nessuna aggiunta o sottrazione, ritrovando l’itinerario già percorso dal Maestro. “Franco Branciaroli in questo lavoro raggiunge vette di elaborazione interpretativa assolutamente incredibili – afferma Daniele Salvo – La sua è una Medea donna/uomo/mostro proteiforme, indecifrabile, ambiguo, misterioso, violento, dolcissimo, clamoroso. Il lavoro con tutto il nuovo cast è stato davvero appassionante ed entusiasmante”.
Insieme a lui vedremo così sulla scena i bravi Alfonso Veneroso, Antonio Zanoletti, Tommaso Cardarelli, Elena Polic Greco, Livio Remuzzi; il Coro delle Donne di Corinto è composto da: Francesca Mària, Serena Mattace Raso, Odette Piscitelli, Elena Polic Greco, Alessandra Salamida, Elisabetta Scarano, Arianna Di Stefano; i Figli di Medea sono Thomas Feliciani e Raffaele Bisegna. Le scene sono di Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte, i costumi di Jacques Reynaud ripresi da Gianluca Sbicca e le luci di Sergio Rossi riprese da Cesare Agoni. Venerdì 12 gennaio, con inizio alle 18, sarà possibile incontrare Franco Branciaroli e la compagnia nella sala Mascagni del Goldoni in un incontro con il pubblico condotto dalla giornalista Maria Teresa Giannoni.
Franco Branciaroli e la Compagnia di Medea incontrano il pubblico – Franco Branciaroli, uno degli interpreti più intensi del panorama teatrale italiano insieme alla compagnia di Medea, venerdì 12 gennaio alle ore 18 nella Sala Mascagni del Teatro Goldoni, incontrerà il pubblico intervistato dalla giornalista Maria Teresa Giannoni.
Un’opportunità per confrontarsi direttamente con i protagonisti di uno spettacolo straordinario, che sorprende ed emoziona, una delle pietre miliari della storia registica e interpretativa del secondo Novecento. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
Info: www.goldoniteatro.it
La recensione di Claudio Fedele – Rappresentata nel 431 a.C. ad Atene, sotto l’arcontato di Pitodoro, Medea di Euripide si classificò terza alle Grandi Dionisie di quell’anno, dietro ad un dramma di Sofocle e Euforione. Il capolavoro di Euripide ancor oggi non smette di affascinare il grande pubblico e gli studiosi esercitando sulle masse un interesse morboso capace di toccare nel profondo lo spettatore, inerme di fronte alla furia dilagante dell’anti-eroina euripidea. Medea, giunta ormai a Corinto, non è più la celebrata sposa di Giasone, ma un’emarginata, una donna straniera mal vista dalla civiltà greca che la considera una barbara nei modi e nei costumi. Messa ormai da parte, relegata al solo ruolo di madre, offesa dall’atteggiamento dell’infedele marito, intenzionato a sposarsi con la figlia del sovrano di Corinto, Creonte, Medea non vede altra soluzione che vendicarsi dei torti subiti, fare appello al suo sapere magico e compiere il tragico destino a cui non vuole risparmiare nessuno di coloro che l’hanno fatta sentire un’esclusa. In una lunga e tortuosa, ma costante e marcata, presa di coscienza la discendente del Sole porterà a termine le sue macchinazioni, imponendosi totalmente sull’uomo che un tempo aveva aiutato nell’impresa di recuperare il vello d’oro e sugli abitanti di Corinto.
La Medea di Luca Ronconi, presentata sul palcoscenico per la prima volta nel 1996, ed oggi riproposta a pochi anni dalla scomparsa di quest’ultimo, si offre al pubblico in una veste drammatica contemporanea e contorta, che amalgama con audacia e originalità una scenografia “moderna”, a cui accosta i versi di Euripide tramite l’ausilio della traduzione dal testo originale di Umberto Albini. Messe da parte toghe e maschere, colonnati e allestimenti dai richiami classici, il palco che ci viene proposto gioca con gli elementi tipici del secolo scorso, dando al dramma quel tocco vintage e attualizzandolo in maniera così evidente che, a scanso di equivoci, un primo approccio può destabilizzare lo spettatore. Laddove in altre culture a noi vicine una “re-invenzione” dei classici è ormai di legge, basti vedere come vengono concepite oggi le opere di Shakespeare, questa Medea si struttura in un modo talmente articolato, nel voler fare i conti con il passato, che lo scambio tra il “nuovo” ed il “vecchio” apre una dialettica che solo superficialmente afferisce il senso della vista, trovando un suo legame profondo tra lo ieri e l’oggi che inesorabilmente porta a domandarsi cosa ne sarà d’essa in un prossimo futuro, cosa potrà offrire e come sarà interpretata un domani.
Se la visione che Ronconi offre è stimolante e studiata fin nei minimi particolari, Medea sulla carta rimane una pietra miliare della drammaturgia grazie alla potenza del testo di cui gode e questa pièce può vantarsi di avere un cast di tutto rispetto la cui punta di diamante è Franco Branciaroli. Nei panni della protagonista Branciaroli riesce a calarsi a tal punto da offrire un vasto campionario di atteggiamenti tanto femminili quanto androgeni, assurgendo a modello di dolore universale il suo alter ego donna e porgendo al pubblico una chiave di lettura sessuale intricata ed affascinante capace di toccare vette altissime. Medea non è la tragedia del sesso rifiutato o negato, ma lo scontro tra uomo (Giasone) – donna (Medea) – uomo (Branciaroli). Questo triangolo rimane uno dei particolari più inquietanti ed intriganti dello spettacolo testimone di un forte attaccamento al passato, quando alle donne non era consentito recitare a teatro, che oggi diventa quasi un ironico paradosso. Medea non è maschio o femmina, è la minaccia che penetra nella società, il diverso, l’altro che la civiltà moderna cerca di capire, ma che non riesce a comprendere appieno, di cui ha paura e per questo dileggia, che vuole allontanare e che, con superbia, guarda dall’alto in basso. Medea è una tragedia pragmatica, fredda e cinica, come la donna di cui porta il nome; non a caso non ci si immedesima in nessuno dei dramatis personae dell’opera, perché, estendendo l’esempio dal corifeo fino alla nutrice, pur offrendo ognuno di loro un punto di vista che reclama giustizia per le più svariate motivazioni in una società che, per quanto avanti con i tempi, dimostra un certo arretramento, ogni battuta è proiettata verso la sola protagonista assoluta: Medea.
L’opera nel complesso sembra quasi uno scambio di battute unidirezionale ove la donna euripidea si pone come centro nevralgico di ogni cosa e dove tutto il resto è messo in secondo piano, declinato al suo volere ed alle sue azioni. Branciaroli non assolve né condanna la figlia di Eete, ma attua una sottile operazione di ricerca tanto psicologica, a livello interiore, quanto sociale ed antropologica. Il suo lavoro da attore punta sull’ambiguità umana, sessuale e vocale (a tale proposito è bene mettere in evidenza il repentino mutamento della propria voce durante un’episodio della tragedia capace di far rabbrividire letteralmente) guidando lo spettatore in un gioco di inquietudine viscerale. Forse è l’inquietudine, unita al terrore umano, e un tipo di impostazione che a momenti ricorda il cinema più fisico e scientifico di Cronenberg, a caratterizzare sotto ogni minima sfumatura questa pièce donandole un gusto che, possa anche non piacere, difficilmente si lascia dimenticare o passare inosservato.
“Preferirei andare in battaglia che partorire”. Tra tutte le battute presenti nella tragedia questa sembra essere la meno invadente, quasi un’iperbole, detta in forma di sussurro ed al contempo si rivelerà essere cruciale e senza incertezza la più intrigante, poiché offre fin da subito uno sguardo preciso e straordinariamente carismatico della protagonista: la donna (uomo), continuamente circondata da uomini e da loro maltrattata, sottomessa e punita. Unica consolazione sono le Donne di Corinto, il coro, da loro ascoltata e consigliata, ma mai persuasa, a cui gli stasimi danno quel respiro scenico necessario per far aumentare di volta in volta una tensione drammatica talmente pressante e incessante che si rimane folgorati, proprio come l vigliacco e superficiale Giasone, arrivati alla climax finale. L’atto estremo compiuto da Medea, l’omicidio barbaro dei due figli, per punire colui con cui li ha generati, crimine compiuto non per gioco o scherzo divino, castigo o colpa, ma qui gesto ateo ed individuale, fa saltare ogni schema di pietà e compassione, e assurge la Medea di Branciaroli a immortale effige di quel dolore universale che dilania l’animo umano (maschile e femminile) fino alla follia. Come si può, in fine, esprimere un giudizio su un’opera di tale portata? La Medea di Ronconi è un dedalo di momenti dove difficilmente si è paghi della catarsi che si ricerca calato il sipario e che si guarda ancor oggi con un forte senso di malessere, qualunque sia la chiave estetica o scenografica con cui la si vuole allestire. Tanto più oscura l’opera diventa quando si prende coscienza che, passati i secoli, è ancora terribilmente attuale.
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