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L’Ora di Ricevimento: un ritratto antropologico

Giovedì 23 Febbraio 2017 — 11:10

di Claudio Fedele

Quello sguardo rassegnato, cinico, disilluso, talvolta polemico, di chi sembra averne viste tante dalla vita, e tanti, e ti vuol far pesare la propria superiorità o intelligenza con una punta di sarcasmo qua e là, l’abbiamo visto tutti, almeno una volta, o ne siamo stati “vittime”. E’ lo sguardo austero, ma non malvagio, di un docente, di un insegnante, di un educatore, con quegli occhi indecifrabili che ti osservano tutti i giorni per una buona parte della tua vita, sempre gli stessi su volti diversi. E’ il volto che indossa, abilmente, come se fosse una maschera fatta su misura, Fabrizio Bentivoglio, ne L’Ora di Ricevimento, che con grande maestria si trasforma nel professor di francese Ardèche, un tipo eccentrico e dal fascino irresistibile, il quale apre con un monologo esemplare, sulle varie tipologie di alunni che ha in classe, a cui dà ad ognuno di essi un preciso soprannome che lo identifichi, il dramma diretto da Michele Placido da un testo di Stefano Massini, ambientato a Les Izards, ai margini dell’aerea metropolitana di Tolosa.

Parlare, tuttavia, della propria scolaresca è solo un pretesto per arrivare ad un discorso più ampio, capace di toccare temi assai delicati, come se d’altronde già la crescita emotiva dei giovani non lo fosse. Eppure Massini sembra voler mettere in luce elementi che vanno ben oltre i banchi di scuola, scolpendo con precisione un ritratto sociale ed antropologico di una società, quella odierna, che, vista attraverso gli occhi di un professore, di una figura qualunque, rivela le proprie peculiarità e caratteristiche, rivelandosi una vera e propria Babele di usi, costumi, contraddizioni e tradizioni che, volenti o nolenti, almeno in ambito scolastico, non dovrebbero poi aver molto peso.

La regia dello spettacolo, per quanto efficace, è fortemente aiutata dai dialoghi e dalle battute, dalla compostezza dei comprimari che interagiscono con il protagonista, un Fabrizio Bentivoglio magnetico, che conferisce alla sua controparte una personalità carismatica di alto livello senza mai dover andare troppo sopra le righe, senza mai dover alzare la voce. Il professore che, forse, molti avrebbero voluto, eppure non per questo il migliore, poiché si ritrova vittima di un sistema che lo vede costantemente al centro di tutto, un ciclo eterno tra i banchi di scuola che lo porta ad interagire con le giovani menti dalle quali potrebbe nascere un futuro Nobel o un giovane Baudelaire.

Ecco, dunque, che ci vengono presentati, solo per nome, “Raffreddore” ragazzo perennemente malato, “Il Boss” colui che prende il banco centrale e sfida, con lo sguardo, tutti gli insegnanti, “Primo Banco” lo sfortunato consapevole di essersi scelto la postazione peggiore, “Missionaria” colei che si sacrifica per gli altri, “Cartone Animato” la ragazza semplice che ride di tutto e di tutti, ed anche di se stessa, “Finestra” che con lo sguardo osserva sempre oltre i vetri il paesaggio di fronte alla scuola. Titoli e nomignoli, figli d’anni ed anni passati dietro ad una cattedra, a studiare e ad analizzare ragazzi con particolari sfumature dotati di caratteristiche precise, sia fisiche che psicologiche, che Ardèche vede ogni anno, e che, purtroppo, ogni anno non sempre comprende appieno.

Nel dramma di Massini il pubblico ha modo di divertirsi e riflettere, di gustare e prendere con leggerezza elementi che lasciano un segno preciso e permettono di fare qualche riflessione sociale toccando anche tematiche religiose, perché, ammettiamolo, avere una classe di tredici alunni molti dei quali musulmani, ebrei e cattolici non è uno scherzo, è come “mettere ad una tavola i tre principali esponenti di queste tre religioni e cercare di trovare un comune denominatore tra loro.”

L’Ora di Ricevimento ci offre un ventaglio ricco di uomini e donne che vivono di contrasti e credi differenti, incanalando ogni cosa attraverso lo sguardo melanconico di Fabrizio Bentivoglio, un attore che ha modo di sfoggiare il proprio talento su tutti gli altri comprimari, che riesce a mantenere alto il livello dell’intrattenimento anche nei momenti meno riusciti. Che si contano sulle dita di una mano, e forse, anzi, potrebbero essere reindirizzati ad uno solo, quando sul palco compare un vecchio alunno di Ardèche, uno dei tanti “Invisibili”, ormai adulto, il cui intermezz non regge il confronto con i molti dialoghi frizzanti tra docente e genitori.

Con la regia di Michele Placido, da un testo di Stefano Massini, L’Ora di Ricevimento è uno spettacolo che ha saputo far rivivere al pubblico cosa si provi tra i banchi di scuola, ma, stavolta, da una prospettiva diversa, quella del professore. Se un ottimo lavoro è stato fatto nel saper tratteggiare con minuzia di particolari gli atteggiamenti dei molti padri e delle molte madri degli alunni del professor Ardèche, niente, tuttavia, rimane impresso più dello sguardo di Bentivoglio, che avrà fatto rimpiangere a molti di non aver avuto un insegnante come il suo professore di francese nella propria adolescenza.

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