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“Vestigia”: il corpo attraverso l’immagine. L’intervista ai tre artisti

Lunedì 27 Febbraio 2017 — 11:13

di Giacomo Niccolini

Sono fotografi? Anche. Ma sono artisti multimediali: sono tre giovani che in un’esposizione dal titolo “Vestigia” esplorano il visibile del corpo: si chiamano Claudine Caribotti, Nicola Buttari e Manuela Giorgia e le loro opere saranno esposte alla TST Art Gallery (corso Amedeo, 196) nella mostra dal titolo “Vestigia”.

“Vestigia” si compone di due percorsi: “Six feet under” di Claudine Caribotti e ”Calypso” di Nicola Buttari e Manuela Giorgia.
Quilivorno li ha raggiunti per conoscerli meglio in vista del vernissage che si svolgerà venerdì 3 marzo, alle ore 18, e a cui tutti, ma proprio tutti, siete invitati!
Claudine, è la terza volta, con Six Feet Under che esponi a Livorno, che rapporto hai con la nostra città?
Negli ultimi anni Livorno ha avuto un incremento degli spazi espositivi dedicati alla cultura.
Soprattutto per quanto riguarda la fotografia l’intervento di alcuni professionisti ed ‘innamorati’ dello scatto come Alessandro Paron (curatore della mostra e presidente della TST Art Gallery) mi ha dato l’opportunità di diventare un’assidua frequentatrice della vostra città e io non posso che esservi grata.

Nelle foto di questa nuova esposizione è ancora una volta il corpo come medium artistico e tu sei la regista. Spiegaci come è nato il progetto.
Il progetto nasce con il nome di ”Six feet under” (Sottoterra, ndr) con il quale posso sviluppare ulteriormente la ricerca su me stessa dal punto di vista introspettivo.
Sottoterra come costrizione del proprio Io. Il sacrificio perpetuo di chi nell’ombra vede la luce.

Le tue opere spesso sono concentrazioni di senso. Ci vuoi raccontare il segreto di come fai a fermare inquietudine e allo stesso tempo fragilità in un’immagine. Perché un segreto c’è, non puoi dire di no…
L’inquietudine spesso è protetta dal silenzio,un silenzio ingannevole. La fragilità è solo una stato d’animo del tutto soggettivo di chi osserva e partecipa emotivamente con il proprio vissuto. Il mio segreto è il concetto che non smetto mai di ripetere: parlo del mio lavoro in senso generico e mai del singolo scatto o performance per permettere a chiunque di entrare a farne parte e poter vedere come in uno specchio le proprie emozioni senza condizionamenti.

Nelle tue immagini spesso sacro e profano si mischiano, qual è il messaggio?
Non siamo fatti forse di carne e spirito?

Nel progetto hai inserito anche un tuo video girato al museo dell’olocausto di Berlino, dove tu sei la protagonista. Perché?
Mi trovavo a Berlino a visitare il Memoriale dell’Olocausto e mentre camminavo all’interno di questo labirinto di cemento sono stata invasa da un’emozione potente che ho accolto profondamente, riconoscendola: il video ne è la conseguenza. Gli stati d’animo di sofferenza, costrizione e di paura sono elementi costitutivi del mio progetto ”Six feet under”, emozioni imperiture nel tempo.

Hai già pensato a un nuovo progetto?
Sarò presente dal 24 Marzo a Soresina con un progetto composto da 4 Artiste curato da Francesco Mutti.Porterò ”Autopsia d’Anime”,un lavoro di qualche anno fa a cui sono molto legata e presenterò la nuova performance live ‘Six Feet Under’. Per il resto, ad aprile un progetto ambizioso…un biglietto di sola andata per Berlino!

Lavorare ad un progetto insieme a Nicola Buttari e a Manuela Giorgia: cosa ti ha colpito di loro, cosa ti lascia questa esperienza.
Questo progetto mi ha ulteriormente confermato che l’incontro tra artisti ”onesti” porta solo arricchimento. Esperienze diverse, stili diversi possono confluire anche in un unico linguaggio. Quello che ho apprezzato del progetto “Calypso” di Nicola e Manuela è l’approccio al corpo umano in maniera personale e del tutto innovativa.
Ed ecco i protagonisti di “Calypso”: Nicola Buttari e Manuela Giorgia, che vivono e lavorano a Livorno.

Calypso è il vostro primo esperimento di Interactive Photomapping, che cosa presentate in pubblico, e che cos’è esattamente?
(Manuela)
“Calypso” nasce dall’interazione di media differenti, la fotografia e il videomapping, per la quale io e Nicola abbiamo scelto di usare il termine “Photomapping” in quanto le immagini realizzate formano la base comune ad entrambi. Gli scatti fotografici dai quali scaturisce l’immagine di “Calypso” sono stati rielaborati per poi essere proiettati sull’immagine stessa. “Calypso” si presenta dunque come “monstrum”, mostrando una metamorfosi attraverso il Photomapping tale da renderlo impermanente in presenza dell’osservatore.

Nella vostra arte prevale appunto il photomapping: come siete giunti a esprimervi con questo strumento?
(Manuela)
La sperimentazione del Photomapping origina nel retaggio delle nostre esperienze, dal momento che Nicola lavorava già con la grafica e con il videodesign, mentre io provenivo da una formazione teatrale più legata all’azione fisica e da un uso della fotografia come veicolo esperienziale e ricerca personale. Nicola ha proposto di accostare i media, io stessa volevo approfondire la relazione tra digitale e “umano” e comunque muovermi su percorsi che andassero oltre la necessità di categorizzazione del vissuto così come delle azioni realizzate attraverso un medium e il suo linguaggio. Il Photomapping si forma e si compie da azioni, del corpo, della mente e della macchina, e in senso olistico questa relazione tra il tutto e le sue parti lo rende possibile.

Per coloro che non sono esperti: che differenza c’è tra video e videomapping
(Nicola)
Quando si pensa a un video di solito ci viene in mente un film, un documentario, un clip musicale o uno spot pubblicitario che normalmente guardiamo al cinema, su una tv, su un computer, su un tablet o su uno smartphone, quindi lo concepiamo come filmato riprodotto all’interno di uno schermo.
Il video mapping invece è un prodotto multimediale concepito e realizzato per essere adattato e proiettato, attraverso determinati software, su superfici spesso tridimensionali, come edifici, automobili, oggetti di design ecc, o anche su superfici bidimensionali come un quadro o una foto (come nel caso di “Calypso”).

Chi sono gli artisti del mapping che seguite più da vicino?
(Nicola)
Personalmente mi sento di citare i seguenti nomi: The Fake Factory, Fuse, 1024architecture, Antivj,  Urbanscreen (che operano principalmente nell ambito del mapping architettonico),  Nonotak studio, Royoji Ikeda, Incite. (Che si occupano di performance audio video)

Qual è il vostro messaggio nell’esposizione ospitata alla TST Art Gallery?
(Manuela)
Vorrei innanzitutto ringraziare Alessandro Paron per aver curato e ospitato questo progetto. L’approccio alla comprensione credo sia nella partecipazione e nella condivisione di una ricerca di senso, e ritengo il display espositivo un momento di incontro con l’altro nel quale si realizza una pluralità di significati e di confronto.

Come avete interagito con l’artista creativa Claudine Caribotti? Siete artisti in cui prevale l’uso del corpo… e poi?
(Manuela)
Il nostro primo incontro con Claudine è avvenuto alcuni mesi fa durante una sua performance alla quale avevamo assistito e come osservatori alla sua mostra. L’interazione nel display che presenteremo insieme crea una situazione nuova anche per noi e non solo per coloro che prenderanno parte all’evento. Mi piace pensare a possibilità che siano aperte e non determinate a priori, pur all’interno di un’organizzazione espositiva.

Inaugurazione venerdì 3 marzo (ore 18) alla TST Art Gallery (corso Amedeo 196).

La mostra ad ingresso libero è visitabile, fino al 31 marzo, dal lunedì al venerdì 9.30-12.30 e 15.30-16-19.

Mercoledì pomeriggio chiuso

Ingresso libero

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