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Fabi: “La vicenda Embraco deve far riflettere”

Sabato 24 Febbraio 2018 — 10:52

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Viviamo nel paese della disuguaglianza, della vecchiaia, del depauperamento del welfare, dei centomila giovani che emigrano, degli immigrati che arrivano, dei precari che restano, dell’evasione fiscale, della corruzione, della Mafia come prima Azienda, del disastro ambientale, della scuola pubblica affossata, della sanità pubblica negata… eppure, a tutti i livelli, non ci mancano i “monarchi del giorno”, quelli che da soli, spesso negando i più elementari principi di democrazia, pensano di avere in mano i destini, il lavoro, il benessere, insomma la nostra vita. Vivono pieni della loro presunzione, convinti di avere la verità in tasca, costi quel che costi. Ne abbiamo fulgidi esempi in politica, nelle istituzioni, a capo dei massimi vertici delle aziende pubbliche e private. E prolificano poi anche ai livelli intermedi delle varie scale gerarchiche, basta che abbiano un po’ di responsabilità, che nel loro linguaggio si traduce in potere, per ritenere di poter fare il bello e il cattivo tempo alla barba di tutto e di tutti e soprattutto sempre a scapito dei più deboli. E poi ci sono le multinazionali che hanno come patria non una singola nazione, ma tutto il globo. Pertanto smistano le loro sedi e le varie parti delle loro lavorazioni dove più è conveniente, al fine di ottenere il massimo profitto con il minor costo possibile. Le multinazionali come tutti ben sappiamo, non sono istituti di beneficenza….. devono remunerare gli azionisti, o meglio gli “stakeholders”, perché se non si parla in inglese oggi non si è professionali, c’è la globalizzazione. Le Multinazionali stanno ormai monopolizzando tutta l’economia, peggiorando e influenzando pesantemente le condizioni del mondo del lavoro. Non passa giorno senza che qualche notizia brutta dal mondo del lavoro riempia la cronaca, ultima la vicenda dei 500 licenziamenti da parte di Embraco, che delocalizzerà in Slovacchia la propria produzione, perché lì i costi sono più bassi. Non si chiude un fabbrica perché va male, ma solo per guadagnare di più. Poco importa se questo getterà 500 famiglie nella più completa disperazione, quello che interessa è aumentare il profitto, aumentare la quotazione in borsa. Embraco è l’ultimo episodio clamoroso, ma altre questioni hanno interessato la cronaca del mondo del lavoro, forse in maniera meno forte (vedi ad es. il braccialetto di Amazon), ma sicuramente da non sottovalutare per il loro significato. Quale sarà il prossimo strumento tecnologico che avrà in mente di applicare domani nella propria impresa? La prossima mossa per alzare ancor di più i profitti? Un microchip sotto la pelle per il controllo totale del lavoratore? Dove porterà questo processo di robotizzazione del lavoro in cui non viene valorizzata la persona e la sua professionalità, ma dove tutti sono volutamente numeri interscambiabili tra loro, se non allo sfruttamento, seguito a breve dalla rottamazione e quindi dalla precarietà e all’alienazione degli individui coinvolti? Da parte delle Multinazionali (e non solo) si è dichiarata guerra ai lavoratori: purtroppo il mondo del lavoro nel suo insieme è diventato la vittima sacrificale con i lavoratori condannati ad un salto indietro di oltre un secolo, senza prospettive se non quella della generalizzazione della povertà a tutte le età.

Possiamo accettare tutto questo in nome dell’aumento di una produttività che arricchisce solo i pochi a scapito di una base piramidale retribuita ai minimi salariali? Possiamo accettare per i lavoratori nessuna partecipazione agli utili d’impresa, nessun miglioramento della qualità di vita e di ciò che si realizza? Quali e quanti costi sociali porteranno queste politiche? Il dubbio sorge spontaneo, sarà forse perché un popolo povero è più malleabile? Senza dimenticare che queste politiche di rincorsa al costo minore innescano una “guerra fra poveri” a tutti i livelli. Che senso ha farci concorrenza sleale, pardon “dumping”, a livello fiscale e sociale addirittura all’interno della Comunità Europea? A nessuno viene in mente che coloro che al momento sono avvantaggiati dai bassi costi in patria, nella fase economica di sviluppo, domani saranno quelli che si troveranno nella stessa condizione di impoverimento dei perdenti di oggi. Le condizioni di lavoro, l’organizzazione sociale, non sono eventi naturali, ma il frutto di un processo storico di scelte, di visioni del mondo. Si fanno analisi per trovare modi, tempi e mezzi per migliorare, per andare verso una società e condizioni di lavoro che abbiano al proprio centro l’uomo e il bene comune. Lo potremo fare tuttavia solo se avremo il coraggio di unirci e affrontare gli interessi particolari dei più potenti, che voglio solo di più per loro stessi. Dovremo farlo per il bene dei nostri figli, dei nostri nipoti, per il futuro del nostro pianeta. La storia insegna molto, ma ci insegna anche che occorre alzare la testa insieme e con determinazione e non aspettare che la lama sia affondata nel collo. Parliamo noi (o la politica per noi), di tutto questo?

FABI – s.a.b. di Livorno

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