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Jacopo, dal ginocchio rotto a capitano nel palazzetto intitolato a Fantozzi

Domenica 13 Ottobre 2019 — 08:00

Da purosangue labronico non ha mollato. Si allenato un’estate intera perché non è facile guardare gli altri che giocano. Ed è proprio così che iniziano le favole. Si dice “cadere una volta per rialzarsi cento”, ma in questo caso Jacopo non si è solo rialzato, ma ha deciso di continuare a volare

di Filippo Ciapini

Certe storie sportive sono difficili da scrivere, certe storie sportive sono soprattutto difficili da vivere, da raccontare (foto in pagina gentilmente concesse da Orlandina Basket). Capita di essere un giovanissimo in forma, giocare per la tua squadra, vincere, convincere e, d’improvviso… la luce si spegne. Buio pesto. Le nostre storie, però, fortunatamente hanno sempre un lieto fine, come nelle favole. E forse è proprio questa la favola di Jacopo Lucarelli, livornese classe 1996, che milita nell’Orlandina Basket, storica (piccola) roccaforte siciliana di Capo d’Orlando, che da anni calca i palcoscenici di serie A e serie A2 del basket italiano. Arrivato lo scorso anno si è fin da subito imposto come uno dei leader della squadra fino a quando lo scorso maggio il ginocchio ha fatto crac: crociato e menisco. Tempi di recupero? Almeno sei mesi. Sogno infranto? Carriera a rischio? Neanche per idea.
“Gamba”, questo il suo soprannome, da buon purosangue labronico non ha mollato, si allenato un’estate intera sia dal punto di vista riabilitativo-muscolare che sul piano mentale, perché non è facile guardare gli altri che giocano. Ed è proprio così che iniziano le favole. Si dice cadere una volta per rialzarsi cento, ma nel nostro caso Jacopo non si è solo rialzato, ma ha deciso di continuare a volare. Ed è così che, a soli 23 anni, è diventato capitano della sua squadra. Mica male per uno che il campo, per ora, non lo sta ancora vedendo.
“E’ una bella responsabilità – ha raccontato Lucarelli in esclusiva a Quilivorno.it – Considerata la piccola ma grandissima storia di questa città è un grande onore, tra poco sarò in campo, non vedo l’ora”.
Tredicimila e trecentoquattordci anime che si riversano in 3508 cuori bianco azzurri (capienza massima) uniti per una sola causa al PalaFantozzi. “Ma Fantozzi chi? Quello della Libertas?” verrebbe subito da chiedere. Ed infatti è proprio così. A Capo d’Orlando sono anni che si parla livornese, precisamente dal 1998 al 2003, quando Alessandro Fantozzi, grandissimo playmaker livornese, decise di scrivere la storia dell’Orlandina Basket trascinandola dalle serie minori fino ai professionisti. Un’impresa così grandiosa che gli valse l’onore di un palazzetto intitolato. La magia del gioco del basket ha portato un altro livornese a Capo D’Orlando, solo che si chiama Jacopo, di ruolo è ala piccola e, quando rientrerà ne assumerà uno ben più importante: quello di capitano. Andiamo a conoscere il leader made in Livorno che scalpita ai box in vista del suo primo canestro ufficiale in questo campionato.

Ciao Jacopo, complimenti per “la fascia”, utilizzando un paragone calcistico. Te lo aspettavi?
“E’ una bella responsabilità, considera che nonostante abbia 23 anni, sono il più grande italiano della squadra, quindi diciamo che da una parte ci poteva stare. D’altro canto, però, abbiamo gente d’esperienza come un americano appena arrivato che ha vinto svariati campionati in tutta Europa, quindi è stata abbastanza inaspettata. Siamo un gruppo veramente giovane. E’ un onore”.
Che infortunio hai avuto?
“Mi sono rotto crociato, menisco e danneggiato il collaterale, è da un anno e mezzo che non faccio altro che ghiaccio. Adesso sono al quarto mese di riabilitazione, mi sono operato il 17 maggio e mi ha seguito il mio preparatore, livornese anche lui, Tommaso Rizzacasa”.
Come procede il tuo lavoro?
“Se tutto va bene rientrerò a dicembre, tra poco, invece, tornerò a Livorno per farmi dare l’ultimo giudizio dal dottor Chiellini che mi ha operato. Sta andando tutto bene, ho rimesso su la corsa e qualche salto, ho bisogno di ritrovare la forza e l’esplosività. E’ il primo infortunio grave che subisco, non vedo l’ora di rientrare”.
Deve essere duro fare il capitano senza giocare…
“Abbastanza… sì. Motivare i ragazzi fuori dal campo è più difficile, non solo per loro ma anche per te. Mentre fai il differenziato il gruppo si allena, va a dumila e si danno le botte, come si dice a Livorno. Mi rode non essere lì ad aiutarli”.
Due parole sull’Orlandina Basket?
“L’anno scorso eravamo una squadra molto giovane, tutti ci davano per spacciati. A metà anno eravamo quarti e abbiamo finito primi a pari merito, quest’anno è la stessa situazione: i veterani siamo noi ragazzi di 23 anni insieme a Kinsey, l’americano che ha giocato con Lebron James di cui ti parlavo prima. È arrivato da pochi giorni, ha un’esperienza enorme, era a Belgrado, pochi giorni fa parlava con il coach e chiedeva quanti abitanti faceva Capo d’Orlando. Quando gli hanno detto 13mila ha risposto che il palazzetto di Belgrado ne conteneva mille in più”.
E invece come ti trovi a Capo d’Orlando? Sapevi di Fantozzi?
“Mi trovo veramente benissimo. Di Fantozzi? Certo che sì! Il nostro presidente è un po’ eclettico, quando era sindaco ha intitolato il lungomare anche a Ligabue, qui funziona tanto questa cosa. Il paese poi è molto simile a Livorno”.
Parliamo del tuo passato livornese, con la maglia Don Bosco ti sei tolto la soddisfazione di giocare in nazionale…
“Sono cresciuto nel Meloria dove ho mosso i primi passi, a quindici anni sono andato nel Don Bosco, diciamo che mi facevano lavorare di più. E’ stata più un’accademia che una società di basket. Quel sistema ferreo mi ha aiutato molto perché mi hanno preparato ad avere una mentalità da professionista. Vedo differenze con altri che si trovano catapultati in società dove non si rendono conto di ciò che devono fare e cadono dalle nuvole. Ho avuto poi la fortuna e l’opportunità di aver giocato in serie B e così è arrivata la convocazione ai mondiali under 19 a Creta dove arrivammo sesti. Abbiamo perso contro gli Stati Uniti. Pensa che ci giocava Jayson Tatum, che adesso è un fenomeno nei Boston Celtics. Anche altre nazioni avevamo grandi giocatori, Papagiannis, ad esempio, che quest’anno ha fatto i mondiali con la Grecia. Partivo dalla panchina, non ero una delle star ecco, però è stata un’esperienza bellissima che mi ha aiutato tanto”.
Come mai Livorno non è riuscita a mantenersi nel basket dei grandi?
“Ultimamente c’era la serie B, da lì non hanno mai tentato di fare un salto di categoria. Ci ha provato la Pielle per due anni, ma mancano i soldi e soprattutto manca la voglia di investire nel basket, far tornare quella passione dei derby degli anni ’80. I tifosi non vedevano l’ora di vincere per prendere in giro l’amico-rivale. Menomale c’è il femminile, anche se torniamo allo stesso problema economico: nessuno vuole investire, si punta solo sul Livorno Calcio ed il calcio in generale. È un peccato perché per essere una città piccola siamo pieni di strutture importanti. Vedere quel PalaModigliani vuoto è uno spreco, è il quinto palazzetto più grande d’Italia ed è vuoto, è un male anche per la città”.
Una soluzione quale potrebbe essere?
“Abbiamo dieci squadre a Livorno che guardano tutte nel proprio orto, se vogliamo il bene del basket livornese devono collaborare come succedeva con Siena che c’era la Mens Sana e le società satellite che giravano i giocatori più forti e prendevano in cambio i giovani da far crescere. Resta comunque il problema economico, nessuno o pochissimi vogliono investire in quello che potrebbe essere un patrimonio della nostra città”.
Quando ti manca Livorno?
“Sempre. Capo d’Orlando è una Livorno in miniatura. Ma Livorno è Livorno, la mancanza si sente sempre. Mi mancano i miei amici, la mia ragazza e i miei parenti, mi manca respirare l’aria livornese”.
Che obiettivi vi siete prefissati per questa stagione?
“Sicuramente confermare quanto fatto lo scorso anno. Abbiamo un progetto triennale di risalire in serie A, l’anno scorso ce l’hanno fregata sotto il naso, facendo fallire Siena a cinque giornate dalla fine ci hanno levato i due punti della vittoria facendo andare su una potenza come Roma, invece che una cittadina di poco più di diecimila anime”.
Adesso, quindi, anche il basket ha un “Lucarelli 99”. Come mai hai deciso di indossare quel numero?
“Beh semplice. Nonostante giochi a basket sono stato sempre un tifoso del Livorno Calcio, e con questo cognome… il numero 99 era doveroso”.
Non resta altro che gridare Forza Orlandina e buona fortuna per il tuo rientro…
“Grazie! Non vedo l’ora di scendere in campo con i miei compagni, forza Orlandina Basket!”.

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