Al Vertigo “Il costruttore Solness” di Ibsen
Il dramma può anche essere letto come un feroce combattimento fra l’uomo e Dio, come il tentativo disperato del protagonista di sottrarsi al proprio destino
Non sempre il capolavoro di un autore coincide con il suo testo più famoso. Tutti hanno almeno sentito palare di Casa di bambola del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen, ma il suo capolavoro è l’assai meno noto Il costruttore Solness (1892). Con l’adattamento teatrale e traduzione di Roberto Alonge nonché aiuto della regista Francesca Malara (nella foto), va in scena al teatro Vertigo sabato 1° dicembre alle 21, domenica 2 dicembre alle 17 con replica venerdì 7 dicembre e sabato 8 dicembre alle 21 appunto Il Costruttore Solness. Inquietante conturbante perturbante trasgressivo: tanto da indurre il direttore artistico e protagonista Marco Conte di sconsigliare la visione ai minori di anni 14.
Questo dramma misterioso, si apre su un dialogo degno di un thriller fra Solness, un carismatico professionista di mezza età, e una affascinane fanciulla di 22-23 anni, Hilde, che gli ricorda di essere stata da lui baciata con grande ardore, esattamente dieci anni prima. In quell’occasione l’uomo le promise che sarebbe tornato da lei, dieci anni dopo, per rapirla come un trold, il diavolo del folklore nordico. Ma l’uomo non è mai tornato, e allo scadere dei dieci anni (stesso mese, stesso giorno, stessa ora), è Hilde che viene a cercarlo, introducendosi audacemente in casa sua.
Qual è il segreto di questa storia tanto bizzarra? Forse Hilde è una mitomane, oppure ha semplicemente sognato una scena mai avvenuta. E se invece avesse davvero subìto quell’abuso infantile, perché – lungi dall’esserne stata traumatizzata – è lei, la vittima, a venire ora alla ricerca del suo carnefice? Solness, per parte sua, nega in modo fermo e risoluto, ma forse ha dimenticato, ha rimosso. Però alla fine qualcosa confessa: “Io devo aver pensato tutto questo. Io devo averlo voluto. L’ho desiderato. Ne ho avuto voglia”. I quattro corsivi, tutti rigorosamente di Ibsen, sottolineano con forza la forza del desiderio, la spinta istintuale alla trasgressione. S’intende che Ibsen è un autore morale, che legge abitualmente le Sacre Scritture, come è normale per i luterani, e che – a differenza di tanti teatranti di Otto e Novecento – non mette mai in scena adulteri. Epperò è il più acuto di tutti nel descrivere l’invivibilità dell’inferno coniugale, e nel mettere a fuoco le pulsioni inconfessabili.
Il dramma, tuttavia, curiosamente, può anche essere letto come un feroce combattimento fra l’uomo e Dio, come il tentativo disperato di Solness di sottrarsi al proprio destino: ha cominciato costruendo chiese, poi si è ribellato, mettendosi a costruire unicamente focolari per gli uomini; adesso – sotto la fascinazione di Hilde – vorrebbe farsi costruttore di enigmatici castelli in aria, che alludono a modelli esistenziali fondati sulla attrazione fatale (ma asimmetrica) di persone di diversa generazione. In scena oltre a Marco Conte anche Elisabetta Papallo, Elisabetta Furini, Fulvio Puccinelli, Letizia Limitone. Luci di Ugo Zammit, audio di Roberto Pacini, musiche originali: Sergio Brunetti, scenografia: Patrizia Coli. Assistente di scena: Barbara Pettinati.
Per info: 0586-21.01.20
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