“Andy Warhol superstar” sul palco de “Il Grattacielo”
Lo spettacolo non vuole e non può rappresentare l'artista o la sua opera, ma si ispira liberamente ad entrambi in forma non narrativa, ma libera, non logica, ma analogica, come una serie di quadri di un'esposizione pop
Lo stravagante Andy Warhol, con la sua parrucca d’argento e la schiera di personaggi, madre compresa, che hanno popolato la sua breve vita, sono i protagonisti di “Andy Warhol superstar”, coproduzione Fondazione Luzzati-Teatro della Tosse, Teatro Cargo, in scena sabato prossimo 2 dicembre al Centro Artistico Il Grattacielo, alle 21.15.
Ideazione e regia di Laura Sicignano, testo di Laura Sicignano e Alessandra Vannucci, con Irene Serini.
Nessuno interpreta nessuno. L’attrice si immerge in un ludico anti racconto, dove la musica elettronica, creata a partire dalla sua stessa voce, dai rumori di scena e da un’unica canzone, (Sungay Morning dei Velvet Underground) dialoga con la recitazione. Lo spazio scenico viene smontato in forme e colori come un’opera d’arte contemporanea e infine distrutto. Il video e le luci citano, senza riprodurlo, il mondo di Andy Warhol, creando fluttuanti e lisergiche atmosfere. Tutto si impasta, rimanda, gioca, crea cortocircuiti di senso, non rappresenta mai. Al tempo stesso, nulla di quel che viene detto è falso o inventato.
Lo spettacolo non vuole e non può rappresentare Andy Warhol o la sua opera, ma si ispira liberamente ad entrambi in forma non narrativa, ma libera, non logica, ma analogica, come una serie di quadri di un’esposizione pop.
Le scene sono titolate come alcune sue opere. Si procede in disordine poetico. Andy Warhol nello spettacolo è infantile e violento, amorale più che immorale, un buffone ed un genio. Per noi non muore, ma si rende immortale ed iconico, self made man, prototipo americano riproducibile all’infinito. Superstar, ma come Jesus Christ, quello del musical, avendo gettato via il Sacro e la profondità.
“Non c’è niente da dire su di me”, diceva Andy Warhol, “Non sto dicendo niente in questo momento. Se volete sapere tutto su Andy Warhol, vi basta guardare la superficie: dei miei quadri, dei miei film e della mia persona. Dietro non c’è niente”.
Andy Warhol, dopo una vita eccezionale, morì a 58 anni per una banale malattia. Alla sua morte lasciò 612 time capsules, ovvero 612 scatole di cartone sigillate, con la disposizione che fossero aperte 30 anni dopo. Le scatole contenevano oggetti della sua quotidianità, un percorso misterioso della memoria, un diario di cose inutili, in un ossessivo accumulo di oggetti senza graduatoria. Come lo erano gli oggetti da lui ritratti, appartenenti per lo più alla sua infanzia piccolo borghese.
Andy Wharol, nel corso della vita, costruì la sua personale icona: se stesso come opera d’arte.
Per informazioni: 0586/890093, [email protected]
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