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Gaimari, il giorno più duro: 240 km di bici a dieci gradi sotto lo zero

Giovedì 13 Febbraio 2020 — 19:04

Gaimari attacca la montagna e rischia tutto con una bici. Oggi ha rischiato su di una strada ghiacciata, sotto una tempesta di neve che ha sepolto Nordmannvik, in uno scenario artico

Prosegue l’avventura dell’ultracyclist Giuseppe Gaimari il cui obiettivo è pedalare fino a Capo Nord per piantare così la bandiera amaranto di Livorno nel “Regno dei Ghiacci” ricevuta direttamente dal sindaco Luca Salvetti.
QuiLivorno.it seguirà passo passo l’impresa. Ecco il diario di bordo del “Giorno 8”.

Diario di Bordo 08. Olderdalen – Alta

Luca Zannotti di Mume Sport è il manager ed operatore culturale che ha co-prodotto l’impresa e che ha accompagnato Giuseppe col suo team, ecco il report nella giornata più dura dell’impresa dell’atleta livornese verso Capo Nord, con quasi 240 Km e 3.200 metri di dislivello positivo a meno dieci gradi sotto zero.

“Pedalata dopo pedalata, fiordo dopo fiordo, chilometro dopo chilometro, la strada cambia volto. Dalle Lofoten, le isole più a nord della Norvegia, allo spettacolare lago ghiacciato di Sløvatnet, alla più remota Olderdalen, a fare la differenza è il nord come concetto fisico, il bianco sovrasta le cose, strozzando i pali della neve, di cui sono l’unico contrappunto col loro rosso acceso.

Il cielo è parzialmente coperto, la temperatura oggi è scesa a meno dieci, piuttosto clemente ci dicono gli abitanti del posto per essere febbraio. L’altro ieri abbiamo raccontato dell’impresa al gestore di un caffè di Sløvegan, e non ci credeva. “C’è da esser pazzi” ci ha detto in inglese “in estate si fa, in inverno non ho mai visto nessuno”.

Gaimari accoglie il nord a modo suo, sorridendo di fatica, e salutando con lunghe e rotonde pedalate circolari dall’andamento sostenuto. Il nord è la temperatura che scende, (seppur non abbastanza a quanto ci raccontano gli abitanti del luogo), il bianco che sovrasta, i tratti fisiognomici delle persone che cambiano gli occhi che si assottigliano, i silenzi che si fanno ancora più profondi ed intensi.

La vertigine del freddo artico, che ti spoglia delle superfici in gorex, dei sofisticati tessuti tecnici, ti lascia nudo, solo difronte alla sua condensata fisicità. Da questa profondità artica, a rigenerarsi è il nostro umore, la nostra motivazione nel fare ciò che stiamo facendo.

Sull’onda di questa incredulità, stupore ed entusiasmo, ieri ho scritto al sindaco di Kappnord (il Comune di Capo Nord), raccontandogli dell’impresa, per porgli la medesima domanda che ho posto al cassiere di Sløvegan ed al gestore di Svolvaer. La risposta è stata omologa, stupita ed incredula.

Ho deciso di sostenere con Maldavventura, Trekkilandia, Mume Sport e Garsport questa spedizione per la sua bellezza epica, per i valori ambientali, il messaggio etico che porta con se, in un luogo che è da considerarsi il simbolo del global warming, del riscaldamento globale, in una società che fa incetta di antidolorifici per sopravvivere, Gaimari affronta il freddo, la notte, la fatica, il dolore, la paura; ciclista ed eroe irragionevole dal sorriso ispido, che pedala testa bassa, senza dire una parola.

Gaimari attacca la montagna e rischia tutto con una bici. Oggi ha rischiato con oltre duecento chilometri sotto lo zero, su di una strada ghiacciata, sotto una tempesta di neve che ha sepolto Nordmannvik, in uno scenario artico.

Giuseppe si sveglia alle cinque prepara la bici, studia l’itinerario, prepara il suo cibo, e comincia a pedalare, ammiro questa sua concretezza, il suo rapporto col dolore è catartico e profondamente istruttivo, è il ciclista che cerca di apprendere i suoi limiti e li rispetta con grande umiltà. Non vuole vincere, ma affrontare se stesso. Dolore senza spettacolarizzazione, dolore muto, abstine substine, astieniti e sopporta, senza autocommiserazione. E come fa da una settimana a questa parte, alle 8 o nel caso di quest’oggi alle 4 del mattino, comincia a pedale, oggi lo ha fatto per scalare una montagna (per la precisione due!), e senza fermarsi al primo ristorante, citando quel brano bellissimo di Dario Brunori, Gaimari la montagna la scala davvero.

La sensazione che ho a volte è che noi tutti si sia perso un po’ di lucidità autocritica, e di senso del limite, siamo circondati da esperti, tutti col dieci sulla maglia, e poi si sbaglia i rigori (citando Cremonini…), i social ci hanno condizionato pesantemente, la pratica abusata dell’autopromozione è un tratto distintivo di questi anni. Credo che lo sport sia portatore di valori sani, che con i fatti, possano arginare questa deriva narcisistica. L’altleta combatte con le proprie forze senza spettacolarizzare la fatica, sopportandola e superandola. Quando lo sport incontra valori ambientali, (le Lofoten sono uno dei simboli del riscaldamento globale), allora la sfida mi coinvolge più da vicino. Il rischio di tornare a casa con le ossa rotte è reale, e non c’è un calcolo, la bici è una sola, e Giuseppe pedala sul ghiaccio.
Trovo altrettanto edificante sopportare da soli fatica e dolore, in un momento in cui tutti sono supportati da psicologi, antidolorifici e consulenti, perché banalmente credo che il dolore serva esattamente come serve la felicità, due facce di una medesima medaglia”.

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