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Marco racconta l’incubo di S. Pietroburgo

Mercoledì 11 Ottobre 2017 — 14:04

Marco, il giorno dopo il rientro in Italia, accetta di parlare con Quilivorno.it: "Non sono stato picchiato, come è stato scritto. E' stata una minaccia psicologica continua. Inviavo a raffica tramite whatsApp e instagram la posizione in cui mi trovavo"

“Non su Quilivorno.it, ma ho letto cose che mi hanno fatto passare quasi per uno che entra in un bar, ordina per 800 euro e poi non ha i soldi per pagare o non vuole pagare proprio. Spero che quanto vissuto sulla mia pelle serva di lezione a tutti quanti. Da anni giro il mondo, da solo, non credo di essere uno sprovveduto. E’ stato un piano studiato nei minimi particolari quello in cui sono caduto”.
Marco (riteniamo che la richiesta della famiglia, per quanto ci riguarda, vada rispettata fino in fondo. Per questo non metteremo il cognome del ragazzo, né tantomeno la foto, ndr), livornese di 25 anni, il giorno dopo il rientro in Italia accetta di parlare con Quilivorno.it, lo ringraziamo di ciò anche pubblicamente, per spiegare, lui direttamente per filo e per segno, che cosa è successo quella notte fra domenica 8 e lunedì 9 ottobre a San Pietroburgo, ultimo giorno di una vacanza, trascorsa da solo, iniziata il 18 settembre (clicca qui per leggere il primo articolo).
C’è stato un momento preciso in cui il ragazzo ha temuto di non farcela: “Ho detto “qui è finita” quando la prima volta il bancomat non ha funzionato e sono stato riportato nello scantinato. Una stanza sotterranea, senza aria, né luce, molto piccola. Da brividi. Credetemi. Come in un film. Qui sono entrati in quattro, quattro energumeni: uno di loro ha spaccato una bottiglia e me l’ha puntata contro. Gli altri tre aprivano e chiudevano il coltello freneticamente. Non sono stato picchiato, come è stato scritto. E’ stata una minaccia psicologica continua. Forse non capivano perché non potessi prelevare. E’ qui che ho pensato: è la fine. Mi sono messo in ginocchio e sono scoppiato a piangere. Nel frattempo da 800 euro erano arrivati a chiedermi 1200 euro. Poi…”.  Poi la “luce” quando, capito che stava per arrivare la polizia russa, intorno alle 11 del 9 ottobre lo hanno fatto uscire da quella stanza. “Siamo passati da una porta secondaria. Mi hanno fatto salire in macchina e abbiamo iniziato a girare fino a quando non abbiamo trovato un’altra banca. Uno dei quattro tizi mi ha seguito al bancomat. Io sono entrato e ho provato a prelevare. Andava. Ho prelevato 700 euro. Nella carta c’erano altri soldi ma avevo esaurito la disponibilità. Sono entrato in banca, ho parlato con una impiegata la quale deve aver capito la situazione. Tanto che quando ho proseguito il prelievo con un’altra carta, riuscendo a prendere altri 200 euro, in quel momento sono arrivati i poliziotti. Erano 8 in tutto. Mi hanno prelevato e portato in commissariato. Poi in albergo. In quel momento ho capito che era finito tutto”.
Marco la sera prima di lasciare San Pietroburgo aveva deciso di cenare in un ristorante vicino all’albergo. “Sarà stato a 200 metri dal mio hotel. E’ bastato attraversare la strada per raggiungere il locale. L’ho scelto perché era mezzo italiano. Mi sono seduto e ho cenato. Quelle due ragazze erano già nel ristorante. Stavano cenando. Poi si sono avvicinate e mi hanno convinto, insistendo, ad andare con loro per una bevuta. Mi hanno portato in questo posto che non era un bar vero e proprio. Tanto che ho pensato: deve essere uno dei locali tipici russi, non di quelli turistici. Qualche sera prima, in compagnia di amici russi, ero stato in un posto simile. Poche luci fuori e nessuna insegna”. Marco ha ordinato per sé. Ha consumato con le due ragazze e quando ho detto che avrebbe pagato per poter tornare in albergo a riposarsi in vista del viaggio di ritorno una cameriera mi ha portato il conto di 800 euro. “Ecco che ho capito che le cose si stavano mettendo male. Non avevo tutti quei soldi in tasca, ho detto loro che per la tipologia di bancomat che avevo dalla mezzanotte alle 6 della mattina non avrei potuto prelevare ed è così che mi hanno portato e rinchiuso in questa stanza”. Marco rimarrà chiuso qui dentro tutta la notte. “Mi davano il wi fi facendo collegare il mio smartphone con quello di un tizio che ogni mezz’ora entrava chiedendomi di contattare la banca. “Call the bank, call the bank”, mi diceva e quando capiva che stavo chiedendo aiuto staccavano il wi fi e se ne andavano per poi tornare la mezz’ora dopo”. Marco infatti appena ha avuto il wi fi la prima cosa che ha fatto è stata “inviare a raffica tramite whatsApp e instagram la posizione in cui mi trovavo agli amici russi e a casa con scritto “help” e “sos”. Mamma ha capito subito ed è stata bravissima a contattare la Farnesina che a sua volta ha attivato il Consolato Generale italiano a San Pietroburgo”. Quando alle 7, dopo una notte trascorsa così, Marco è stato portato al bancomat, la prima volta, per prelevare e la carta non è andata è stato riportato nella cantina ed è qui, come detto, che il 25enne ha iniziato a perdere la speranza di riuscire ad uscirne fuori. Ma ad un tratto quando i tizi hanno capito che stava arrivando la polizia la situazione ha giocato a suo favore. Quindi l’uscita da una porta secondaria. Poi il secondo prelievo, quello durante il quale è scattato il blitz delle forze dell’ordine. “E’ una esperienza finita bene. Mi auguro con tutto il cuore che possa aiutare chiunque si trovi in una situazione simile a non caderci”.

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