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Geri, il lanciatore-informatico di serie A con la “fissa” per Michael Jackson

Giovedì 14 Giugno 2018 — 11:59

Massimiliano ha 33 anni e ha fondato la prima associazione italiana per giocatori di baseball e softball e baseball per ciechi. "Pazzo" della star internazionale della musica è riuscito a incontrare i suoi familiari e i suoi collaboratori

di Giaele Contu

Una vita divisa tra terra rossa, quella del diamante di baseball sul quale si allena praticamente tutti i giorni, e la musica che per lui ha praticamente solo un nome e cognome Michael Jackson, mito indiscusso del pop internazionale di cui è completamente “pazzo”. Massimiliano Geri (nella foto principale di Daniele Bettazzi, con la maglia del Padule), per tutti Max o “The Rocket” è un trentatreenne livornese, titolare di una web agency, e lanciatore di serie A di baseball, con la maglia del Verona facendosi 600 chilometri, tra andata e ritorno, per poter giocare.
Tra un lancio ed un altro Geri è un vero e proprio fan sfegatato di Michael Jackson, passione che lo ha portato a cercare e a conoscere da vicino tutte le persone con le quale la star della musica ha collaborato o lavorato come il suo fotografo, Sam Emerson, o la sua chitarrista Jennifer Batten e addirittura con alcuni suoi familiari.

MASSIMILIANO GERI INSIEME ALLA CHITARRISTA DI MICHAEL JACKSON, JENNIFER BATTEN

Come e quando nasce la tua passione per il baseball?
“Dopo aver provato alcuni sport, a scuola, durante l’ora di educazione fisica, venne un allenatore di baseball a presentarci lo sport, mi è piaciuto talmente tanto che a settembre dello stesso anno, 1991 ho iniziato a giocare”.

Giochi a Verona, ma ti alleni a Livorno, perché hai deciso di non trasferirti?
“La mia vita a 33 anni si è formata a Livorno con il lavoro e la famiglia. Ho fatto esperienze dove mi sono trasferito, a Bologna per esempio. Purtroppo il baseball in Italia non esiste a livello professionistico, perciò devi lavorare, quindi portare tutta la tua vita nel posto dove vai a stare”.

Che ruolo ricopri in campo?
“Sono un lanciatore, pitcher se vogliamo utilizzare il termine americano”.

Perché  hai scelto proprio il ruolo di lanciatore?
“Inizialmente ero un esterno, poi sono diventato un ricevitore, ma era molto faticoso e dispendioso. Perciò ho voluto provare a lanciare. Inizialmente lanciavo male, però durante una partita di serie C l’allenatore mi dette fiducia e mi mise in campo come pitcher partente. Andò bene. Da qual momento decisi di provarci seriamente… e divenne il mio ruolo”.

Quali sono i lanci che ti riescono meglio?
“I lanci del mio repertorio sono dritta, curva, slider e cambio. Durante una partita non sai mai quale lancio possa venirti meglio o possa fare al caso tuo per risolvere una situazione, quindi non esiste un lancio dove sono più bravo. Cerco di avere buona competenza su questi qua”.

È difficile pendere la mira per il lancio della pallina da una certa distanza, qual è il segreto?
“Non è difficile prendere la mira, il difficile è eseguire il movimento corretto durante il lancio. Ogni lanciatore ha caratteristiche fisiche diverse, quindi la meccanica è diversa da pitcher a pitcher. Il lancio da manuale non esiste perché a seconda della meccanica sono necessari movimenti diversi”.

Quanto influisce essere un giocatore di serie A nella tua vita?
“La seria A è l’aspirazione di ogni atleta. Non influisce tanto nella vita di tutti i giorni giocare in serie A, ma sicuramente è molto più duro il percorso che gli atleti fanno per arrivare a giocare in massima serie. E soprattutto, per rimanere a buoni livelli in un campionato di vertice”.

GERI A LIVORNO INSIEME A SAM EMERSON

Sappiamo che sei un fan sfegatato di Michael Jackson. Racconteresti un episodio a dimostrazione del tuo “amore” per lui?
“Quando nel 2006 Michael con la sua famiglia fecero una vacanza in Italia, io raccolsi informazioni. Ero l’unico che sapeva perfettamente dove si trovava ed in che albergo alloggiava, perciò quando arrivò a Firenze andai al suo albergo e tentai di entrare, ma purtroppo non fu così facile e non ci riuscii. Quando è morto ho avuto una lunga elaborazione del lutto, volevo ringraziarlo, non chiedergli un autografo o una foto, perché credo che lui avesse bisogno di ringraziamenti. Così iniziai una ricerca di un paio d’anni e sono riuscito ad incontrare anche i suoi familiari e la sua band. Ancora oggi sono in contatto con alcuni di loro”.

Chi è il tuo mentore? Perché?
“Potrà sembrare presuntuoso, ma il mio mentore sono io. Ho conosciuto tanti atleti e allenatori importanti come Mauro Belfiore, Stephen Parkhurst, Rolando Cretis, Fabio Betto e Roberto Cabalisti. Ho anche conosciuto giocatori che non mi sono piaciuti o che non mi sono stati simpatici. Da tutti loro ho attinto informazioni e tecniche preziose”.

Secondo la tua opinione, perché il baseball è considerato uno “sport minore”?
“Innanzi tutto perché costa molti soldi praticarlo, poi perché ha tante regole e non è uno sport immediato. Il 90% del baseball è mentale, per questo a volte sembra noioso. In una partita le azioni belle si contano sulle dita di una mano, quindi o sei un giocatore, o sei un appassionato, o non ti entusiasmerà mai guardare una partita di baseball”.

GERI CON LA MAGLIA DEL VERONA BASEBALL

Quale emozione comporta la vittoria di una partita?
“Forte, se hai fatto degli accostamenti giusti, se il merito della vittoria è la tua bravura. Se ti adagi al gioco degli avversari, che magari è scarso, allora anche se vinci hai comunque fallito alla fine, raggiungendo sì l’obiettivo ma non percorrendo il percorso che dovevi fare”.

Hai mai vinto un campionato?
“Ne ho passate molte. Tra le tante cose belle che ricordo volentieri la vittoria del campionato di serie B nel 2011, poi nel 2015 la Coppa Italia in serie A2 con il Padule. Sempre con il Padule nel 2016 ho vinto la Super Coppa Italia in serie A2.  Nel 2011 vice campione d’Italia con il Castenaso in IBL2 e vice campione della Coppa Italia di IBL1 con la Fortitudo Bologna. Da non dimenticare la vittoria del campionato di Serie B con il Livorno nel 2006”.

Ti piacerebbe essere il capitano della squadra? Perché?
“Quando sei capitano ti carichi di tante responsabilità. È fondamentale essere un comunicatore, ed io penso di esserlo, però non riesco ad essere obiettivo, quindi credo che il ruolo del capitano non sia propriamente adatto a me”.

MASSIMILIANO GERI DURANTE UNA FASE DI GIOCO. FOTO LAURA GIANNINI

Lavori? Che lavoro fai? Come gestisci il lavoro e lo sport?
“Lavoro come concept designer per Big Kahuna Web Solution che è la società che ho creato io insieme a Giacomo Ciapparelli. Ogni giorno dal lunedì al venerdì lavoro fino alle 18, dopo mi vado ad allenare ed il sabato gioco. Una vita abbastanza intensa”.

Che tipo di allenamento fai?
“Mi alleno al campo, faccio esercizi per perfezionare i miei lanci. Lanciare è un lavoro di routine, se fai bene la routine ti riesce il lancio. Il problema è che non è facile eseguire sempre lo stesso movimento. Oltre all’allenamento in campo, integro con la palestra da 6 anni, questo grazie a Valerio Ulivi che si è interessato e mi segue costantemente”.

Sappiamo che hai fondato un’associazione per i giocatori. Ce ne parleresti?
“Si chiama Ibspa (Italian Baseball Softball Association), è una nuova versione di quello che già altri giocatori hanno provato a fare in passato. Praticamente si tratta di un punto di incontro tra atleti, società e federazione. E’ la prima associazione italiana per giocatori di baseball e softball e baseball per ciechi”.

Un aneddoto divertente della tua carriera…
“Giocavo la mia prima partita con il Verona, mentre ho fatto il quarto lancio sono caduto a terra, ho pensato: si inizia bene…”.

Hai un  particolare portafortuna?
“Metto sempre al collo l’anello di fidanzamento che mio nonno ha portato a mia nonna quando è tornato dalla guerra. Con quell’anello mio nonno ha chiesto a mia nonna di sposarla”.

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