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Gabriele, la “voce amaranto” lascia il microfono dopo 17 anni

Giovedì 22 Agosto 2019 — 18:43

In diciassette stagioni ha visto il Livorno arrivare in Uefa e ha annunciato le formazioni dei campioni amaranto con soprannomi entrati ormai nella storia della società. "Il ricordo più bello e quello più brutto? Entrambi legati a Piermario Morosini"

di Giacomo Niccolini

E con il numero 10, il Signore delle Reti, Igooooooor… Protti! Quanti di voi, tifosi amaranto, avranno ripetuto questa frase con gli amici, cercando di imitare il tono della sua voce, l’emozione e il timbro epico, aggiungendo un ipotetico boato del pubblico, riecheggiando quegli storici anni in cui Protti segnava a raffica e faceva volare il Livorno? Quella voce, quei soprannomi, quel modo di annunciare i gol e la formazione del Livorno Calcio da questa stagione non ci saranno più. Gabriele Favilli (nella foto), storico speaker dello stadio Armando Picchi, lascia il microfono dopo 17 anni di onorata carriera. Ben 17 lunghe stagioni di gioia e “patimento”, di freddo, pioggia e caldo intenso passate all’interno di quello “sgabuzzino” in tribuna centrale del Picchi ormai divenuto “casa Favilli”.
Dal 2002 infatti era la “voce amaranto”, dalle sue corde vocali sono nati i soprannomi più “ganzi” e utilizzati dai giornali locali e anche da quelli sportivi nazionali per “raccontare” i nostri giocatori, quell’undici che ogni settimana anima gli animi dei tanti affezionati dell’Ardenza. Un mantra, un rosario laico che ogni giornata casalinga Gabriele celebrava dall’alto della sua cabina-speaker davanti al popolo del pallone. Una celebrazione che aveva il suo rito, la sua attesa, e che trovava nella sua voce la sua massima realizzazione.
“Il motivo dell’addio è semplice – spiega Gabriele Favilli a QuiLivorno.it – Avevo esaurito un percorso. Ci siamo lasciati benissimo con la società amaranto. Dal canto loro forse volevano qualcosa di diverso dopo tanto tempo, io, per quanto mi riguarda, nel mio piccolo, sentivo di aver già dato tutto quello che potevo dare. Diciassette anni sono molti. Una vita. Un percorso iniziato nel 2002 con Fabio Di Scalzi e finito nel 2019 proprio con il ritorno di Di Scalzi all’interno del settore marketing. Come tutte le belle cose c’è un inizio e una fine. Una decisione condivisa al cento per cento, un addio senza scontri e con un bell’abbraccio finale”.
Ne hai viste tante in queste 17 stagioni… Come hai iniziato?
“Diciassette anni non sono un giorno. Ho commentato la promozione del Livorno in serie B per Radio Flash nella stagione 2001/02. Poi con la chiusura di Radio Flash, nell’estate del 2002 ho iniziato a fare lo speaker. Cristina Martorella lasciò il posto, non se la sentiva più di fare la speaker. Io avevo appena chiuso il rapporto con la radio e Di Scalzi, come detto poco fa, mi propose se ero disponibile a fare una prova come speaker. Accettai. E da lì non mi sono mai fermato”.
Pensando a tutto questo tempo, cosa ti rimane più addosso?
“A caldo, la prima cosa che prevale è il dispiacere. Perché anche se è stata una decisione condivisa, c’è l’amarezza di lasciare tanti amici che non vedrò più in tribuna. E poi sicuramente il non fare più lo speaker all’inizio mi lascerà spaesato. Mi mancherà senza dubbio. Ma sono stati, alla fine, più i momenti belli che quelli brutti, ve lo posso garantire”.
La soddisfazione più grande?
“Ho avuto la fortuna di conoscere tanti calciatori famosi anche di squadre importanti che sono venute a giocare all’Armando Picchi e ho avuto l’onore di annunciare undici blasonati e di prima fascia quando il Livorno ha giocato in Coppa Uefa e ha giocato in serie A. Nel cuore porterò anche le tante amicizie che mi hanno legato ai calciatori amaranto che tutt’oggi sento personalmente”.
Il soprannome più “riuscito”?
“Secondo me quello legato a Protti, Il Signore delle Reti, è quello rimasto un po’ più nel cuore ai tifosi. Ma ce ne sono tanti altri come il Panzer Amaranto che era Cristiano Lucarelli, il Re Mida legato sempre a Protti, Scende e Sale Giovanni Pasquale, il Cavallo Alato per Luca Vigiani, il Drago Lituano per Tomas Danilevicius, fino ad arrivare agli ultimi come quello per Valiani, Argento Vivo,  il Toro di Brindisi per Vantaggiato o come semplicemente Il Capitano per il nostro Luci”.
Una soddisfazione poi sentirli pronunciare ai tifosi…
“Immensa. E la cosa che mi faceva più piacere era anche leggerli sui giornali sia livornesi ma anche sulla Gazzetta ad esempio. Voleva dire che avevo colto nel segno. Che quel soprannome era rimasto impresso davvero”.
Come ti venivano? Studiavi parecchio prima di “affibbiare” un appellativo ad un giocatore?
“Sinceramente no. Mi venivano spontanei. Non ho mai studiato un minuto su come chiamare Tizio piuttosto che Caio. Mi venivano e valutavo se potevano andare bene o no. Se era un la domenica li sparavo nel microfono a tutto il pubblico”.
A chi va il più grande grazie?
“Il mio special thanks va senza dubbio al Livorno Calcio per l’opportunità che mi ha concesso in questi anni. A loro devo davvero dire un grazie grosso come una casa. Ripeto, ci siamo lasciati d’amore e d’accordo. Le cose iniziano e finiscono”.
Il momento più bello e quello più brutto della tua carriera?
“Il più brutto senz’altro non è legato ad una partita ed è quando dovetti annunciare l’ingresso all’interno dello stadio del feretro di Piermario Morosini. Quello più bello è stata la promozione in serie A del Livorno di Nicola, quando vincemmo 1 a 0 con gol di Paulinho contro l’Empoli, perché faceva un po’ da contraltare a quello che era stata l’annata caratterizzata dalla scomparsa di Morosini dove riuscimmo a salvarci per il rotto della cuffia. Quell’anno arrivò la serie A. E fu bellissimo. E tutti e due, il più bello e più brutto, sono legati a Piermario”.
Ti rivedremo allo stadio presto o ti allontanerai per un periodo?
“Forse tornerò in veste di collaboratore per qualche testata giornalistica. Sicuramente non riuscirò ad essere così presente e a timbrare il cartellino ogni domenica. Ma allo stadio verrò ancora e il Livorno avrà sicuramente un tifoso a vita sul quale contare”.
In diciassette anni quante partite hai saltato?
“Una sola. Nonostante le vicissitudini che a volte mi sono capitate, come possono capitare nella vita di chiunque, sono sempre riuscito ad essere presente in cabina. Soltanto una volta ho dovuto rinunciare. Ed è relativa allo scorso dicembre contro il Foggia, match terminato 3 a 1 per noi, quando ho fatto da padrino al battesimo del mio primo nipote”.
Che sensazione provavi ad ogni boato dello stadio che sottolineava le tue parole?
“E’ da brividi. Semplicemente da brividi. E’ una cosa bellissima e auguro a chi verrà dopo di me, e premetto che non so chi sia e su chi la società ha messo gli occhi, che possa provare quell’emozione di quando annunci una rete o una formazione e tutto il pubblico ti viene dietro con un boato. In quei momenti sei talmente concentrato nel dirlo che magari non te ne accorgi neanche. Ma quando poi lo risenti ti viene la pelle d’oca”.
Di questi “brividi” quali ti ricordi con maggior felicità?
“L’ultimo derby vinto 2 a 0 contro il Pisa sicuramente, ma anche la vittoria sul Milan in casa per 1 a 0 con gol di Colombo. Favoloso”.

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