Libertas, un anno da Roseto. Consigli: “La mia presidenza? Un ruolo di servizio per l’amaranto”
Roberto Consigli esulta al PalaMacchia con la sciarpa amaranto al collo (foto NOVI)
Ad un anno dallo storico risultato della società amaranto torna a parlare dopo mesi l'ex presidente Roberto Consigli: "Il mio ruolo è stato di servizio verso un sentimento di amore puro. Allo stesso modo in cui l'ho portato avanti ho accettato di cedere il passo a Benvenuti. Il 12 giugno sia una data che tutta Livorno deve festeggiare anche la parte piellina perché la Libertas ha bisogno della Pielle e li aspettiamo per un bel derby in A2. Il ricordo più bello? L'abbraccio a centrocampo con il presidente Creati davanti a 8000 persone. Il giorno più brutto? Dare l'addio a Francesco Forti. Errori? E chi non le fa? L'importante è capire e aggiustare il tiro. L'orgoglio? Aver portato Banks a Livorno. Andreazza? Per me è come Mascagni"

L’allore presidente Consigli alza la coppa della promozione al cielo nel parcheggio di Roseto circondato dal popolo amaranto in festa
Un amore così grande, un amore così. Roberto Consigli che abbraccia simbolicamente tutto il popolo libertassino ad un anno esatto dalla promozione in serie A2. “Il 12 giugno secondo me deve essere una festa da segnare di rosso sul calendario per ogni sportivo livornese. Non solo per quelli libertassini ma anche per i piellini, perché è necessario che tornino su anche loro, io mi auguro che lo facciano presto, perché se lo meritano, sono una grande società e un grande pubblico e noi abbiamo bisogno di loro ma in serie A. E quindi io penso che questo giorno del ritorno della Libertas in serie A sia un giorno che vada ricordato come il giorno in cui i sentimenti più belli, quelli dell’amore verso un progetto di inclusione e di partecipazione hanno avuto la meglio anche su avversari incredibilmente forti, perché vincere un campionato vuol dire, non ce lo dimentichiamo mai, batterli tutti”.
A parlare è l’ex patron amaranto nel giorno in cui, 365 giorni fa, la doppia L compiva l’impresa del ritorno in serie A dopo 33 anni. Consigli è stato in sella dal 2019. Sempre al suo posto. Con l’entusiasmo e con gli occhi di un bambino innamorato di questo sport e del colore amaranto. Sempre su quel seggiolino al PalaMacchia e sempre al seguito dei “suoi” ragazzi, perché “grazie al basket ho creato dei rapporti umani e di amicizia bellissimi. Perché un rapporto di amicizia si crea solo se condividi un progetto con qualcuno“. E il progetto, Roberto, lo ha condiviso con tanti amici visionari che 6 anni fa decisero di far ripartire tutto il movimento riaccendendo il fuoco sotto la cenere.
“Nel 2024 si è completato un percorso. Perché qualcuno poi, ovviamente, se lo dimentica per l’emozione e anche la bellezza di vedere la serie A e quant’altro. Però è giusto ricordarlo: siamo passati da una Libertas che non esisteva più ad oggi. Dall’epoca in cui il presidente Cirinei rimise in moto tutto il motore, quindi proprio dalla rinascita, e poi cinque stagioni sotto la mia guida come presidente. In questi sei anni noi, e tanti altri, abbiamo ricostruito la Libertas”.
Cosa vuol dire ricostruire una società? Come hai fatto?
“Per ricostruire questa società è stata fatta una scelta, una scelta da parte dei soci e degli appassionati di Libertas: quella di ripartire da loro. Lo hanno fatto su indicazione di una persona: Alberto Bucci. Alberto Bucci ci disse: non aspettate l’imprenditore, fatelo voi. Siate voi, siate voi i responsabili, siate voi i protagonisti. La Libertas deve rinascere. Quindi ecco l’Associazione Tifosi, quindi il successivo acquisto del titolo… insomma la storia la sappiamo. Ma di fatto, davvero, si parte dalla C2 e si parte dalle persone che ci mettono la passione, la faccia, i soldi e con una sorta di azionariato popolare si crea una famiglia di volontari che porta avanti la società fino a che, complice il Covid, non riusciamo a ottenere la promozione perché veniamo fermati sul più bello nella cavalcata e ci fermiamo in C2″.
A quel punto l’acquisto del titolo…
“Abbiamo annusato l’aria che tirava. Vedendo che alle porte arrivava una riforma che avrebbe scombussolato, e l’abbiamo appena vista, tutta la struttura dei campionati, decidiamo: o qui facciamo un grande salto ora o rischiamo di essere invischiati per anni. Quindi mettiamo ai voti questa cosa, vince per maggioranza la linea che propongo io di comprare il titolo e partiamo con un titolo che viene fuori da Stella Azzurra che aveva trovato un accordo con Roseto.

Diego Terenzi e Andrea Bargnesi festeggiano negli spogliatoi del PalaMaggetti la promozione in serie A2
A questo punto serve un percorso da progettare.
“Fondamentalmente quindi un percorso, un progetto che nasce dalla gente un percorso inclusivo. E che cosa include? Prima serve includere i tifosi storici che si riuniscono nell’associazione, poi serve di includere i tifosi quelli della balaustra che erano fuori inizialmente da questo progetto, ovvero gli sbandati. Nell’inverno del primo del mio primo mandato, quando eravamo ancora in C2, c’è il ritorno degli Sbandati che riconoscono la neonata società come erede della Libertas, passaggio che non era assolutamente banale. La neonata società come l’erede della storica Libertas”.
Anche perché c’era ancora l’altra Libertas, la Liburnia…
“Noi ci giocavamo contro, ci abbiamo fatto anche due derby, uno vinto bene, uno ai supplementari. Quindi non era una scelta così scontata, era una scelta di campo. Poi iniziamo a fare proselitismo e aumentiamo la base societaria. Ecco che troviamo da parte di tutta la comunità sportiva livornese, invece che simpatia, enormi barriere quando andiamo ad acquistare il titolo. Perché ci dicono: ma guarda questi, ma chi pensano di essere? Ci guardavano tutti dall’alto in basso. Tutti eh..
Immaginiamo…
“Noi c’avevamo il problema che non avevamo le palestre, non avevamo niente. Quindi cosa abbiamo fatto? Ci siamo rimboccati le maniche. A un certo punto addirittura, pensa te, ci negano il settore giovanile. Invictus fa l’accordo con Pielle. Noi rimaniamo senza settore giovanile. Ci chiedono cifre da capogiro. Provano a farci saltare. Cosa facciamo? Non ci arrendiamo. All’epoca con Federico D’Elia come direttore del settore giovanile, riusciamo a costituire tre squadre in zona Cesarini alla fine anche con l’aiuto di Massimo Faraoni che ci darà dei giocatori in prestito, riusciamo a iscriverci al campionato di serie B e inizia un’epopea che porterà la società a crescere nel numero degli appassionati”.
E poi il Covid finì.
“Esatto. Il giorno che il Ministero disse che cinquecento persone potevano andare a vedere le partite noi ci ritroviamo il giorno dopo ad averci la semifinale, la semifinale gara quattro contro Bernareggio. Facciamo notte a vendere questi biglietti. La gente ci assalta per venire a vedere la partita e ci ritroviamo con il pubblico che ha fame di basket. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che noi nel nostro piccolo stavamo buttando delle scintille, ma sotto la cenere di una brace che ardeva e a quel punto hai iniziato a prendere la fiamma.

Allinei al tiro al PalaMaggetti. Quel 12 giugno mise a referto una performance stellare (foto Bellaveglia)
Ma quando è che la fiamma è divampata?
“Quando su questo fuoco c’è stata buttata benzina e la benzina è la rivalità. La PL viene promossa in serie B. Con la PL di all’epoca Roberto Creati inizia una bellissima, estremamente sportiva ed estremamente corretta, rivalità con la Pallacanestro Livorno. Questa diventa benzina sulla passione. Quindi i duecento della palestrina diventano duemila in serie B. I duemila diventano gli ottomila del derby. Ecco, come l’abbiamo fatto tutto questo? L’abbiamo fatto con la passione e quindi il sottoscritto ha interpretato un ruolo di inclusione di persone, di sponsor.
Non è stato tutto rosa e fiori però…
“Assolutamente. Nei primi due anni gli sponsor erano quasi tutti da fuori Livorno. A Livorno non si dava nessuno credito. È tutto un lavoro che abbiamo fatto. Quindi a un certo punto quando è divampata la passione abbiamo capito che stavamo portando avanti qualcosa di buono. Lo vedevamo negli occhi, lo sai di chi? Dei bimbi. Perché io personalmente ho rivisto negli occhi di mia figlia, negli occhi degli altri bambini che mi abbracciavano prima e dopo la fine della partita, ho rivisto la stessa passione che avevo io. Mi hanno riportato indietro di trent’anni. Quando questo fuoco che è tornato ad avvampare te lo senti dentro le vene. Ed ecco che il mio ruolo è stato al servizio. Sì, il mio è stato un ruolo di servizio”.
Si spieghi meglio. Cosa intende come servizio?
“Sono stato un presidente al servizio di un sentimento. Lo puoi chiamare passione, lo puoi chiamare attaccamento ai colori della Libertas, ma in realtà ha un nome molto più semplice: si chiama amore. Perché quel fuoco che ti brucia dentro quando vedi questi bambini che tifano la Libertas non può avere un’altra parola che amore. Vivere una passione grande tutti insieme… è amore. Io non trovo un’altra parola che lo descriva”.
Lei al servizio di un amore così grande… Giusto?
“Io sono stato al servizio di un progetto fatto di amore, un amore eh che era stato tradito e violentato sui gradoni del PalaMacchia nella finale del 1989 e che bramava di riprendersi. Abbiamo scritto una storia come dei novelli Manzoni perché questo matrimonio tra Livornesi e la Libertas in serie A… s’aveva da fare. Ci hanno provato in tutti i modi a impedircelo ma s’aveva da fare. E noi questo romanzo lo abbiamo scritto cent’anni dopo Manzoni. Per Livorno. Questo romanzo ha avuto un’epica conclusione. Epica perché? Non è un gioco di parole, nemmeno una figura retorica. Dico epica perché dopo le sconfitte di Piacenza, dopo la sconfitta di Vigevano e poi la sconfitta di Roma in Coppa Italia, questa squadra che si è fortificata piano piano insieme alla società, raggiunge un risultato. Un risultato storico perché riporta in serie A dopo 33 anni la nostra Libertas”.
Euforia ma anche di difficoltà, perché essere promossi il 12 giugno vuol dire fare la squadra quando l’hanno iniziata già a fare tutti.
“Abbiamo fatto delle scelte e abbiamo cercato di portare dei giocatori importanti a Livorno. Uno su tutti è stato Adrian Banks. Questo è stato fatto. Non ho avuto nemmeno il tempo di festeggiare più di tanto. Sul pullman mentre tornavamo da Roseto ho chiuso il contratto con Filloy. Per dare un esempio”.
Assurdo… E pensare che poi Lei non si è mosso da li quando è subentrato il nuovo presidente quando poteva tranquillamente mandare tutti quanti a fare un giro…
“Ce l’abbiamo messa tutta per mettere questa società nella possibilità concreta di disputare una serie A. E dopodiché con lo stesso spirito di servizio con cui io ho portato avanti la società in questi cinque anni, nella stessa maniera, io mi rimetto a disposizione, mi son rimesso a disposizione della Libertas e del nuovo presidente. Una questione di servizio su questo grande sentimento di amore”.
Non è da tutti quello che ha fatto Lei in questi anni, ma anche quello che ha fatto dopo, nel senso: non si è scalfito di un millimetro, è tornato lì sui gradoni, ha tifato fino alla fine come un bimbo, con l’amore di un bambino…
“Veramente come un bimbo, perché addirittura ai playout gli Sbandati mi hanno chiamato, mi hanno chiesto di andare a tifare con loro, perché in un momento anche di difficoltà ecco, io lì sono andato, ho cercato di portare il mio entusiasmo. Questa è stata la mia caratteristica: l’amore deve produrre entusiasmo, no? Non paura. Io quello che mi è un po’ dispiaciuto quest’anno è aver visto che alcuni tifosi, per il grande amore anche, l’abbiano vissuta questa stagione come una sorta di calvario e non si sono goduti il fatto che la loro squadra sia tornata a Bologna, a Milano, a Verona, a Torino, a Cantù”.
La Libertas ha sofferto molto però…
“Questi playout sono stati uno spettacolo meraviglioso, e sono stati vissuti con un più paura che divertimento. È un po’ una caratteristica anche nostra eh, di noi livornesi, che dobbiamo soffrire per forza. Siamo fatti per soffrire”.
Ha spesso parlato di inclusione…
“In questo ultimo periodo mi sono soffermato proprio su quello, su il Baskin e sul basket in carrozzina. Per quanto riguarda il Baskin, abbiamo messo su questo progetto meraviglioso che forse non è stato adeguatamente ancora capito ma è una rivoluzione. Baskin significa basket inclusivo. Ma noi l’inclusione dove la facciamo? La facciamo nelle scuole. Noi abbiamo deciso di fare questo progetto come PCTO insieme al Liceo Cecioni. Quindi la squadra, ricordiamocelo, è la Libertas Baskin Liceo Cecioni e rappresenta una scuola di Livorno.
Cosa fate nello specifico?
“Spesso le famiglie faticano a far uscire i disabili dalle mura domestiche e noi cosa facciamo? Andiamo a prendere i ragazzi con disabilità nelle classi. E abbiamo trovato dei bimbi meravigliosi. Questi bimbi che vengono a giocare con noi stanno tutti insieme. Se tu sei disabile, se ne occupano i loro compagni di squadra, i loro coetanei. Esistono tante squadre di basket in Italia dove giocano gli adulti perché i genitori per far giocare i bimbi disabili, giocano con loro. Ok, è una cosa bella, niente da dire, ma il nostro progetto è un’altra cosa. Il nostro progetto è una rivoluzione perché giocano tutti i bimbi sotto vent’anni. E questa cosa è piaciuta talmente tanto che altre scuole si stanno affiancando al progetto. Noi il prossimo anno andremo a fare altre squadre di basket legate alla scuola e il progetto crescerà ancora”.
Tornando alla sua Libertas, la società adesso si sta professionalizzando sempre di più. E’ così?
“Adesso la Libertas si avvia verso nuove sfide in maniera sempre più organizzata. Quello che io sono contento di aver fatto insieme a tanti altri, non da solo in particolare mi permetto di nominare dal lato dirigenziale Gianluca Mannucchi e dal lato tecnico Marco Andreazza. Abbiamo insieme creato una struttura, un modo di intendere il lavoro nel club che è talmente solido che chiunque adesso si ritrova a lavorar lì trova una struttura non solo professionale ma anche con dei sentimenti importanti, per cui le persone che ci lavorano sono un po’ trasportate da quella che è stata la maniera Libertas”.
Torniamo con la mente a quella serie playoff contro Roseto. Cosa si ricorda di aver detto ai suoi ragazzi?
“Dopo gara tre di Roseto, io li guardai negli occhi e gli dissi: ragazzi, noi ci andremo in serie A, non vi preoccupate, non è un problema di Libertas, ma io questo percorso l’ho fatto con voi, voglio che andare in serie A siate voi. Perché loro erano parte di questa missione e il risultato, questo sia chiaro, l’hanno ottenuto loro, non l’ha ottenuto Roberto Consigli, non l’hanno ottenuto i tifosi che l’hanno però supportato, tutti l’abbiamo supportato, ma l’hanno ottenuto quelli che sono andati in campo con, ovviamente, il grande merito di chi in campo ce li ha messi”
Serviva una guida salda anche lì…
“Se facciamo un po’ mente locale a quelle che sono state le scelte tecniche fatte in quel periodo, effettivamente vediamo che questa stessa filosofia di inclusione, di partecipare tutti insieme, di condividere gli obiettivi, la ritroviamo nella scelta persino dei giocatori. Dove si va a scegliere prima l’uomo e poi il giocatore. Si privilegia l’esigenza del gruppo rispetto all’esigenza tecnica del singolo. Per cui pochi cambi ogni anno, massimo quattro giocatori cambiati.
Parola d’ordine?
“Continuità. Questa è stata la filosofia per quello che dovevamo fare noi. Non è detto che sia la filosofia giusta in assoluto, non ho questa convinzione. Però è quella che è servita, sicuramente è quella che è servita. Quella che è che è stata vincente. I risultati lo dimostrano. E mi fa piacere pensare che alla fine, oltre al talento, oltre al tuo lavoro d’allenamento, oltre alle capacità, anche un po’ di questo sentimento che abbiamo condiviso sia stato ancora lì quello una chiave per portarci a vincere”.
Cosa ha detto quel 12 giugno ai ragazzi?
“Prima di salire sul pullman, io ho guardato in faccia i ragazzi e gli ho detto: la partita più difficile l’abbiamo già giocata, questa si gioca da sola, perché questa non siete soli a giocarla. Avete avuto un’esperienza di mesi, se non anni, a Livorno. Portatevi in campo tutto quello che avete trovato in questa città. Perché stasera in campo con voi ci verranno i Quattro Mori, gli scogli dell’Accademia… Siamo tutti insieme. E con questo spirito noi l’abbiamo affrontata. E quando un ragazzino, con i riccioloni, che un giorno giocherà in Eurolega, che si chiama Gregorio Alinei, e che ha cominciato a fare canestro come un ossesso, gli altri non hanno voluto diventare protagonisti, hanno cavalcato il talento di Gregorio. Perché questo era lo spirito di questa squadra. Alberto Bucci diceva: io non mi ricordo i risultati, ma mi ricordo tutte le persone”.

Capitan Fantoni alza al cielo la coppa della promozione sul parquet del PalaMaggetti
Bellissima frase.
“Le persone poi alla fine sono quelle che rimangono, sono quelle che contano e quindi Roberto non è cambiato niente negli ultimi sei anni. I ruoli sono quelli che poi servono nello specifico per la crescita della società. Ero, sono e sarò al servizio di questa società e di questo bellissimo progetto”.
Adesso che ruolo ricopre all’interno della Libertas?
“Sono nel consiglio di amministrazione della Fondazione. E poi mi occupo del Baskin. Parlerò con Bartocci per il 2025-26 e vedremo che ruolo dovrà avere ognuno per fare un buon servizio. Mi piaceva dare anche un messaggio a questa città, dove molto spesso le persone devono essere sempre iper-protagoniste. A volte per fare cose grandiose bisogna avere anche l’umiltà di mettersi al servizio di una causa e cercare di dare il contributo necessario al momento giusto. Tutti insieme. Invece questa città che ha potenzialità immense da un punto di vista economico, sociale e artistico, in realtà secondo me emerge molto meno di quelle che sono le potenzialità, perché siamo tutti uno contro l’altro
Oggi è il 12 giugno… quindi… come si dice….auguri?
“Penso che questo giorno del ritorno della Libertas in Serie A sia un giorno che vada ricordato. Siamo riusciti a fare questa cavalcata meravigliosa con un condottiero come Marco Andreazza che io paragono a Mascagni. Che ha condotto Livorno in questa cavalcata. Noi siamo stati veramente la cavalleria rusticana che ha travolto Roseto guidata da un allenatore fantastico, un artista del basket come Gramenzi. Ecco se Andreazza è il Mascagni della pallacanestro italiana, Gramenzi è il Gabriele D’Annunzio”.
Rimpianti? Rifarebbe le stesse scelte, le stesse cose? Si è mai detto, cavolo ho sbagliato?
“Io sono quello sicuramente che ha sbagliato più di tutti. Sono uno che serviva per prendere decisioni, e decisioni l’ho prese. Non è detto che le decisioni sbagliate siano quelle che mi hanno fatto soffrire di più, perché ci sono state delle decisioni tipo quelle di aver salutato alcuni giocatori con cui avevo dei rapporti umani meravigliosi, però dovevo… era il mio ruolo. Quindi è stato molto difficile per me salutare soprattutto Francesco Forti, il giorno che lui sia andato è stato per me il giorno più brutto. Ma anche con tanti altri ragazzi sono rimasto molto legato. Non li cito tutti perché finisce l’articolo. Però tra i tanti errori che si fanno, io credo che un manager risponde per quello che sa fare, per quello che è la sua professione. Conta prendere le decisioni al momento giusto e anche quando prendi una decisione sbagliata devi avere l’umiltà di capirlo e di aggiustare il tiro. Se alla fine i risultati sono arrivati vuol dire che in fin dei conti, diciamo così, le decisioni in qualche modo non hanno ostacolato questi grandi campioni nel darci queste meravigliose soddisfazioni che ci hanno dato. Però non posso avere la presunzione, non ce l’ho, lo so benissimo, di aver preso solo decisioni giuste”
Cosa Le lascia questa avventura da presidente?
“Le infinite relazioni che ho costruito in questi anni. L’amicizia non può essere semplicemente salutarsi e dirsi ti voglio bene. Le amicizie per funzionare devi farci un progetto insieme. Rendersi conto che non era solo una malattia ma qualcosa che ha germogliato che prolifera. Sicuramente seguirò dove andrà Marco Andreazza. Ho anche ottimi rapporti con gli altri presidenti. Questa è un’altra cosa che la gente non sa e non vede. Però sono nati tanti rapporti di amicizia con tanti presidenti. Dal presidente di Bernareggio che è diventato dopo quella sfida uno dei miei migliori amici, è venuto a casa mia non so quante volte, io sono stato a casa sua. Legami profondi anche con il presidente di Montecatini, con il presidente di Piombino, ma gli stessi presidenti della Pielle, sia con, con Francesco Farneti che con Roberto Creati, c’è stato un rapporto sinceramente molto bello. L’abbraccio dopo il primo derby con Roberto a metà campo per me è un momento che mi porterò nel cuore sempre. Un’emozione unica… Con ottomila persone che si che si sfottono e io e lui che ci abbracciamo in al campo. Questo mondo del pallacanestro muove anche tanti bei cuori, ecco”.
Qua sotto una clip celebrativa di quel 12 giugno 2024, una clip gentilmente concessa dalla Montalo Production, estratta dall’ultima puntata della docu-serie in onda dal 6 giugno su Prime Video “Livorno a Due”
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