Maurizio Melis: “Con quella fiaccola in mano ho sentito di rappresentare lo sport di tutti”
Il presidente di Toscana Disabili Sport ripercorre un momento simbolico che va oltre il gesto atletico e diventa messaggio collettivo.
Il presidente di Toscana Disabili Sport, Maurizio Melis, racconta l’emozione di essere stato tedoforo per Milano-Cortina 2026: cinque minuti che racchiudono una vita, lo sport come strumento di autodeterminazione e una missione che parte dagli ultimi per parlare a tutti.
Maurizio, hai scritto che non potevi essere breve. Perché questa esperienza meritava di essere raccontata così?
«Perché lo sport, quello vero, non è mai breve. Non è solo gesto atletico o competizione: è sociale, inclusivo, accorpativo, sano. Quando lo vivi in questa accezione più limpida, ogni parola diventa necessaria».
Hai già vissuto momenti storici come Torino 2006. Eppure parli di un’emozione unica e irripetibile.
“È proprio questo il punto: pensavo che certe sensazioni non potessero ripetersi. Invece sono tornate, diverse ma altrettanto potenti. Forse proprio perché sai già cosa stai vivendo, ne percepisci ancora di più l’unicità”.
Cosa hai sentito nel momento in cui hai preso in mano la fiaccola?
“Ho avuto la consapevolezza netta che, in quell’istante, rappresentavo lo sport nella sua forma più universale. Senza distinzioni: sesso, etnia, religione, orientamento, altezza, colore dei capelli, disabilità o meno. Tutti. Ognuno di noi, in quel momento, è lo sport”.
Viverlo da persona con disabilità cambia qualcosa?
“Cambia tutto. Le sensazioni si moltiplicano, il loro valore si amplifica. Ogni emozione pesa di più, scava più a fondo”.
E viverlo anche da dirigente sportivo, allenatore e atleta?
“Ti restituisce il senso della responsabilità. La Stella al Merito Sportivo non è un riconoscimento personale fine a se stesso: è il simbolo dell’importanza sociale dello sport paralimpico. La mia “mission possible” è sempre stata una: creare opportunità”.
Opportunità che hai costruito anche fondando società sportive.
“Sì, dal Basket Disabili Sardegna fino a Toscana Disabili Sport. Lo sport può strappare le persone alla solitudine sociale, far capire che ognuno ha qualcosa da dare: ai compagni di squadra, al pubblico, perfino agli avversari”.
Cinque minuti, 250 metri, una fiaccola. Cosa rimane davvero?
“Rimane una vita intera condensata. Le voci che urlano “Forza Maurizio”, consapevole che non incitavano solo me, ma ciò che rappresentavo. Il ruolo del tedoforo, dal greco antico dadoforos, portatore di fiaccola: un simbolo potente”.
Gli organizzatori vi avevano chiesto soprattutto di sorridere.
“Perché rappresentavamo un mondo intero. E il sorriso è venuto naturale: salutavo, la gente prima si stupiva vedendomi in carrozzina, poi sorrideva e applaudiva. È stato un dialogo silenzioso ma profondissimo”.
C’è stato un momento di rimpianto?
“Uno solo: non avere accanto l’amore della mia vita, Antonella, i miei figli, i nipotini, alcuni amici. Ho vissuto tutto a Cagliari, la mia città natale, in un luogo meraviglioso. Ma Livorno, che oggi è casa mia e fatta di amicizie vere, mi è mancata”.
Quando hai passato la fiaccola al tedoforo successivo, cosa hai provato?
“Per un attimo ho pensato fosse finito tutto. Invece mi sono sentito pieno di qualcosa di concreto: lo spirito olimpico e paralimpico. Non è enfasi, è realtà”.
Per te lo sport cos’è, oggi?
“Una filosofia di vita. The way of life. Un obiettivo, un potentissimo mezzo di comunicazione. Lo pratico, lo insegno, lo trasmetto ai ragazzi, agli atleti, ai miei figli e nipoti”.
Un’ultima soddisfazione personale?
“Piccola ma significativa: nella foto ufficiale dello sponsor Coca-Cola, sulla mia carrozzina, c’è lo stemma di Toscana Disabili Sport. È lì che deve stare”.
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