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Novi, 20 anni di scatti amaranto. “Tutto iniziò con le lacrime di Protti”

Domenica 27 Ottobre 2019 — 07:45

Alessandro Novi, fotografo ufficiale del Livorno Calcio, festeggia 20 anni di "matrimonio amaranto". E ha scelto di raccontare questa avventura lunga due decadi, tra gioie, lacrime e aneddoti, a QuiLivorno.it

di Filippo Ciapini

“Novantaquattresimo a Como, stagione 2000-2001. Livorno appena eliminato ingiustamente contro i padroni di casa, che invece esultano promossi. Una partita storica con la solita curva mobile, un giovane Igor Protti piangente in campo. Un fotografo con un cappellino lo sollevò dicendogli di alzarsi ed andare a salutare i tifosi perché l’anno dopo sarebbe andato in serie B. Tutto ebbe inizio da lì”.
Con queste parole è cominciata l’intervista ad Alessandro Novi, storico fotografo livornese che quest’anno festeggerà vent’anni di matrimonio con il Livorno Calcio. Una passione ereditata dallo zio Mauro e dal babbo Mario (scomparso nel luglio scorso) ed una tradizione magistralmente portata avanti da lui stesso, dal cugino Riccardo, il nipote Alessio e il fratello Fabrizio. Una linea di difesa a quattro tutta in famiglia che farebbe invidia a qualsiasi squadra professionista. Sono dunque passate due decadi in cui il celebre marchio FotoNovi che campeggia su ogni memorabilia amaranto, è riconoscibile da tutti, grazie anche alla tremenda e morbosa dedizione alla maglia amaranto. “Vent’anni di lacrime e soddisfazione, in pieno stile Livorno – ha confidato Ale Novi – amicizie speciali, freddo, neve, piogge torrenziali e sofferenze, lo ripeto, perché questa squadra si è sempre sudata tutto sul campo”.

L’IMMAGINE SIMBOLO DEL CAMPIONATO 2000/2001. UN IGOR PROTTI PIANGENTE DOPO LA SCONFITTA CONTRO IL COMO VIENE AIUTATO A RIALZARSI DA UN “CERTO” ALESSANDRO NOVI

Sì perché Novi, è fotografo ufficiale da inizio era-Spinelli e come si fa con i calciatori, ha un palmarès di tutto rispetto: 3 promozioni in serie A, 2 campionati di serie C con conseguenti promozioni in B, diversi derby vinti e la prestigiosa Coppa Uefa. Già la Coppa Uefa, un traguardo così storico che ancora oggi fatica a credere sia stato vero: “Ero emozionatissimo, Barcellona su tutto. Vedere più di mille tifosi sulle Ramblas e salutarti come essere sul viale Italia era un sogno”. Come la storia del calcio, e in primis quella del Livorno Calcio insegna, ci sono stati anche momenti difficili, prima su tutti la tragedia di Piermario Morosini“Mi ricordo che la partita successiva contro il Cittadella fu giocata in un clima assurdo”. Una storia di fotografia, una storia di passione e ricordi, lacrime versate e brividi sulla pelle, storia di scatti, per chi, come noi, gli scatti all’Armando Picchi con la maglia amaranto non li farà mai, per chi, come noi, grazie a quegli scatti potrà rivivere per sempre emozioni inspiegabili a parole se non grazie a una macchina fotografica, quella di “Foto Novi”. L’intervista.

Ciao Alessandro, vent’anni pieni di soddisfazione, non credi?
“Assolutamente sì. Tantissime soddisfazioni sportive, ma anche di delusioni e mazzate. Ho vissuto a pieno gli anni migliori della nostra storia, venticinque anni fa ci saremmo sognati di vedere allo stadio campioni con e senza la nostra maglia, una cosa indescrivibile”.

Ecco, prima domanda a bruciapelo, chi sono quelli che ti hanno impressionato maggiormente?
“Per forza di cosa il campione dei campioni, anche per questioni affettive è Igor Protti. Un altro campione riconosciuto dopo quattro minuti fu Diamanti, in un paio di azioni ne mise a sedere due o tre, si vedeva fin da subito. Chiellini, dopo una partenza macchinosa ed un precampionato da terzino dove sembrava nato da Geppetto, fece qualche partita e gli dissi che sarebbe diventato inamovibile in Nazionale, la stessa cosa l’ho detta quest’anno a Enrico Del Prato, con uno ci ho azzeccato, adesso vediamo l’altro (ride, ndr)”.

Cosa significa lavorare per la tua squadra del cuore, avere la curva dietro e non poter cantare?
“È una sorta di castrazione chimica, vivi la cosa distaccandoti dalla realtà. Devi scindere l’essere hooligan, dal professionista. Ammetto che è difficile non essere in curva, alcune volte picchieresti l’arbitro, in altri momenti vorresti rispondere a quella avversaria che ti tirano e ti dicono di tutto. Non è facile ma lo devi fare, sei un professionista”.

Come le hai vissute queste prime due decadi?
“Facendo tutto quello che ho fatto senza alcun rammarico. C’erano momenti dove poter scherzare ed altri no, i primi anni sono stati magici, bene o male ero della stessa generazione dei calciatori e ho sempre tenuto fertile il terreno per il confronto”.

Sono quelli quindi gli anni migliori?
“Penso proprio di sì. Jaconi fu il vero artefice del passaggio del Livorno dall’anonimato alle ambizioni da metropoli: società, città, squadra e tifosi era un’unica cosa ed è durata per un po’, quella era una squadra con la mentalità vincente. I grandi momenti del Livorno sono sempre stati dettati da grandi allenatori, Mazzarri per l’attaccamento e la cultura della preparazione pre-partita, Donadoni per la classe e l’umanità e Nicola che era un frullato di loro tre, sono indubbiamente i miei preferiti”.

Dai, analizziamo i singoli calciatori di quelle annate…
Galante lo metto sul podio degli amici-calciatori, una persona vera e trasparente. Doga grande talento anche come dirigente, sempre aperto ai consigli extracalcistici, anche con lui ho un rapporto speciale. I più simpatici? I gemelli Filippini. Autentici trascinatori del gruppo. In serie A avevamo personalità vere, anche i fratelli Lucarelli, entrambi fuoriclasse dal punto di vista calcistico e non. Poi mi ricordo Grauso, Fiore, Barone e Coco. Ultimo, ma non certo ultimo per importanza, David Balleri. Calcisticamente nulla da invidiare a nessuno, anzi. Quest’anno è riuscito a ritagliarsi una nuova figura professionale. I dubbi erano sul plasmare la sua interiorità: è sempre stato molto introverso. Adesso però dubbi non ci sono più, si è cucito addosso quel ruolo”.

Ecco, appunto, Balleri coordina lo staff tecnico, quanto è importante il ruolo del dietro le quinte?
“Lo staff è l’altra parte vitale della squadra, oltre ai giocatori ed allenatore, fanno un lavoro oscuro ma che spesso e volentieri è fondamentale. Manlio (Porcellini, ndr) recentemente è stato assolto da ogni responsabilità, ha sofferto in prima persona come essere umano e venne caricato di accuse e responsabilità che lui sapeva di non avere. Una delle persone più educate, sensibili e professionali con le quali abbia avuto a che fare. Sono proprio felice che sia uscito da questa faccenda. Ho avuto con tutti loro rapporti ventennali, anche con Paolo Nacarlo, con il quale ho contatti continui anche a campionato fermo”.

Quale è stato il momento di gioco più emozionante?
“Treviso come gran parte dei tifosi del Livorno è stata un’esplosione di gioia. Durante quel famoso minuto finale, stavo mettendo gli obbiettivi nella borsa, ero mentalmente preparato al tristissimo viaggio di ritorno come mille altre volte. Quando ho visto sviluppare l’azione, l’istinto mi fece tirare su la macchina fotografica, fu un delirio orgasmico. Anche la trasferta in coppa Uefa a Barcellona mi ha emozionato: vedere la marea amaranto per le Ramblas e salutarli come se fossimo sul viale Italia fu una cosa veramente difficile da descrivere a parole”.

Ci sono stati momenti difficili?
“Come tutte le cose alcune volte ti viene voglia di voltare pagina, perdi le motivazioni e l’entusiasmo. Il dolore di Morosini mi ha fatto piangere di dolore. Ci piango tuttora quando ci penso (racconta mostrando la pelle d’oca sul braccio destro, ndr). Non mi vanterò mai di dire che lo conoscevo benissimo ed era mio amico, ci ho parlato quattro o cinque volte e sembrava un bravissimo ragazzo. Un ispettore della Lega quando debuttò mi disse avete preso un giocatore vero. Ricordo in una gara casalinga tiratissima dove la stavamo portando in porto, si girò e mi chiese quanto mancava perché non vedeva l’ora che finisse. Attaccatissimo alla maglia”.

Fotografando ci si accorge dell’atmosfera dello stadio?
“Assolutamente sì ed anche i calciatori capiscono quando giochi in casa o fuori casa. Nella partita dopo Morosini, contro il Cittadella, c’era clima surreale. Dopo la tragica alluvione un silenzio ovattato. I giocatori più sensibili avvertono i primi mugugni e se i tifosi ospiti sono più calorosi della squadra di casa, anche se devo dire che la curva Nord di ora sta cercando di resistere al gioco del massacro”.

Perché?
“Sono sempre stato parte integrante con la Curva appoggiandola in tutto e per tutto, la speranza è sempre quella di vedere pieno lo stadio. I ragazzi di oggi sono bravi, stanno cercando di salvarla a tutti i costi, purtroppo però c’è chi ha voluto fermare la continuità degli anni d’oro e continua a farlo. Credo proprio che il numero di diffide che ha avuto Livorno in quanto a tifoseria non sia secondo a nessuno. Poi anche il calcio è cambiato, ci portano più a stare in poltrona invece di vederlo allo stadio, nessuno fa niente per guardarlo dal vivo invece che a casa”.

Cosa si nasconde dietro una foto?
“Quello che spero di trasmettere è un’emozione con sensibilità, non deve essere mai la mera cronaca, ci deve essere qualcosa di più, una delle foto più dolorose scattate è la rabbia di Igor contro l’Atalanta dove si spaccò la testa per fare un gol, l’arbitro Ayroldi annullò la rete e lo espulse. In tutti i milioni di scatti ho le mie sei/sette perle che coincidono con i gol promozione, da quello di destro di Diamanti al volo, al gol di testa di Paulinho, passando per Bonaldi, Igor, Melara e l’ultimo di Giannetti che ci valse la salvezza”.

Ti è mai capitato di fare una bella foto per sbaglio?
“Diciamo che non successe a me, ma ad un mio amico improvvisato collega per quell’occasione. In un Milan-Livorno del 2008 giocato in notturna portai un mio amico con me e gli misi una macchina in mano. Mi ricordo di lui che guardava la partita inebetito dallo stadio quando vidi l’azione e gli dissi scatta scatta scatta scatta… fu lui a riuscire a prendere il gol di Pulzetti da trenta metri. Ancora oggi se ne vanta (ride, ndr)”.

Hai mai avuto paura di sbagliare?
Le due volte di Ciampi. Quando venne a Livorno contro il Chievo c’era una tensione generale inimmaginabile, ogni cosa doveva essere perfetta nei dettagli, ero l’unico fotografo ammesso all’interno nella saletta delle cerimonie, poi solo ammiragli e comandanti. In certi momenti sono in apnea distaccata, implodo dentro me stesso e cerco di non farlo notare. La seconda di Ciampi, fu durante la visita all’altare della Patria, l’ultima uscita ufficiale prima della pensione. In quel momento c’era la squadra, Ciampi, Spinelli, Siri ospiti del povero Frizzi, che fece il cerimoniere. A fotografare il tutto io e il fotografo del Quirinale. Era come giocare una Coppa del Mondo, foto che non puoi né sbagliare né rifare”.

Cosa ti ha spinto ad andare avanti per vent’anni?
“Intimamente mi sento di far parte del Livorno, a volte mi son sentito giocatore, ho battuto i rigori ad Amelia con la macchina al collo e ho preso il sette, con Surraco ho vinto una cena perché feci gol da calcio d’angolo. Non posso parlare di rimpianti perché mi son sempre sentito parte della famiglia Livorno Calcio e al tempo stesso parte del tifo. E’ una sensazione strana e difficile da descrivere, il mondo del calcio dai dirigenti ai collaboratori è come un elefante nella cristalleria, basta un movimento e distruggi tutto, essere resistito vent’anni facendo sempre quello che mi sentivo di fare è un bel riconoscimento, è appagante perché mi fa sentire un punto di riferimento”.

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