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Dopo 70 anni racconta l’orrore della Guerra in un video girato dalla figlia

Giovedì 25 Aprile 2019 — 07:01

Una vita passata a fingere di aver dimenticato un'infanzia fatta di orrore e dolore infinito per la colpa di appartenere alla religione sbagliata nel periodo sbagliato. Ecco il docufilm girato dalla figlia

di Jessica Bueno

Quella di Giuliana Menasci è una storia taciuta per 70 anni perché la forza per affrontare l’argomento non era mai abbastanza. 70 anni (cliccando qui è possibile vedere la versione integrale del video-docufilm girato dalla figlia Marcella).
Una vita passata a fingere di aver dimenticato un’infanzia fatta di guerra, umiliazione, fughe, dolore infinito per la colpa di appartenere alla religione sbagliata nel periodo sbagliato: quello della seconda guerra mondiale e delle leggi razziali. Un’infanzia che solo in apparenza era stata accantonata dalla memoria e che si presentava prepotentemente durante la notte, oscura ospitante di tremende sofferenze. Vedendo ed ascoltando storie e racconti di altri testimoni di quel terribile periodo storico Giuliana ha trovato il coraggio di sedersi e raccontare davanti ad una telecamera la sua esperienza, cosa fu costretta a passare a causa del suo essere ebrea, di “razza ebraica” come riporta violentemente il timbro sul suo certificato di nascita. La sua vicenda diventa così al centro del docufilm “Escaping the war” realizzato da sua figlia Marcella Ferretti, videographer di professione. Un lavoro messo a punto in occasione del 25 aprile e che vuole essere un monito al negazionismo e a tutti i promotori di movimenti fascisti ed antisemiti, oltre che una preziosa testimonianza.

Giuliana è l’assoluta protagonista del video. Il suo racconto viene narrato sullo sfondo di scene della sua vita quotidiana, alle prese tra le faccende domestiche e il tempo passato con le nipoti che aiuta spesso coi compiti, dato il suo passato da professoressa di storia e lettere, oltre che di testimone diretta di alcune epoche da loro studiate nei libri. La testimonianza parte dal 1938, suo anno di nascita e di applicazione in Italia delle leggi razziali. Giuliana nasce a Livorno e poco dopo la famiglia si trasferisce a Venezia, città in cui sui padre esercita la professione di banchiere, che nel 1940 dovrà abbandonare: gli ebrei infatti furono costretti a lasciare gli incarichi pubblici. Si trasferiscono a Livorno nel 1940: scoppia la guerra e lei e la sua famiglia si trovano obbligati a riversare nelle campagne lucchesi. Nel 1943 cominciarono i rastrellamenti. Giuliana spiega che inizialmente i suoi familiari credevano che ad essere colpite fossero solamente le persone colpevoli di aver commesso reati. Non pensavano che il solo fatto di appartenere alla religione ebraica costituisse già di per sé un reato e pure mortale. Durante la loro permanenza a Ponte San Pietro, un amico di suo padre figlio di un pezzo grosso fascista disse loro di allontanarsi, perché erano stati scoperti ed i nazisti sarebbero presto andati a catturarli. Non tutti i membri della sua famiglia scapparono: suo zio Tito, ad esempio, rimaneva fermo nell’innocente convinzione di non poter essere incolpato di niente. “Non possono portarmi via se non ho fatto niente, che colpe ho?”. Decise così di non fuggire, insieme ai nonni. Non li rividero mai più.

Giuliana ed il resto della famiglia si allontanano la sera stessa. I nonni avevano lasciato loro dei soldi per poter raggiungere la Svizzera, dove sarebbero stati al sicuro. Ed in Svizzera arrivarono, dopo essere più volte scampati alle SS e dopo aver scalato in una notte le Alpi. Un’impresa titanica, un vero e proprio incubo fatto di tormente di neve, freddo e filo spinato vissuto portando avanti il sogno della salvezza e di una vita normale. Questa la convinzione che li portava avanti. “Quando siamo arrivati in Svizzera, una sentinella ci ha visto e ci è venuta incontro piangendo. Eravamo ridotti in condizioni pietose”. Vennero così trasportati in un campo della Svizzera tedesca dove i rifugiati ebrei venivano raccolti. La salvezza si era materializzata, ma il corpo di bimba di Giuliana, di soli 5 anni, non era rimasto indenne dall’impresa della notte precedente e da tutto quel patire: il rachitismo incombeva, il cibo del campo era troppo scarso e le ferite si stavano infettando. Venne separata dai suoi parenti e data in adozione ad una facoltosa famiglia di Ginevra, una delle tante che per ottenere sgravi fiscali decideva di prendere in carico bambini rifugiati. Qui visse altre difficoltà derivanti dalla non conoscenza della lingua, dalla freddezza di questi ricchi svizzeri e dalla lontananza dai genitori. Una lontananza che continuò a farsi sentire anche negli anni successivi, quando venne affidata ad altre famiglie, più affettuose ma che sicuramente non avrebbero sostituito il calore materno. Poi finalmente il 25 aprile.

“In giro vedo rinascere l’antisemitismo – dice Marcella Ferretti, realizzatrice del docufilm – Vedo diffondersi uno spirito di negazione rivolto anche alla Resistenza, andando a minare i principi cardine della libertà e della Costituzione, sembra quasi che non sia più reato parlare di un ritorno al fascismo.  In occasione del 25 aprile ho raccolto questa preziosa testimonianza e per ribadire la preziosità della libertà ottenuta. Non possiamo tornare indietro. Mamma ha accettato di raccontare la sua storia anche alla scuola Bartolena, nella classe delle mie figlie che stanno per l’appunto studiando quel periodo storico. E’ stata invitata dal professore e l’intervento ha suscitato interesse e curiosità, tanto da essere riproposto per l’anno prossimo”.
Il video è rivolto a tutti – prosegue – ma in particolar modo ai miei coetanei, alla fascia “di mezzo” della popolazione. Molto spesso la vera piaga sono loro, leggo sui social molti commenti pericolosi dal punto di vista sociale e della sicurezza. I giovani mostrano per la maggior parte interesse verso l’argomento e sono molto più sensibili. Essendo millennials sono più avvezzi all’utilizzo dei mezzi informatici e meno propensi a cadere nelle trappole delle fake news“.

Marcella porta avanti la sua passione di regia, produzione e montaggio video dal 2009: una passione che l’ha portata fino in America, dove ha avuto la possibilità di seguire corsi di specializzazione e che si è trasformata in lavoro.

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